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Lavoro, uno non vale uno: la crescita zero delle retribuzioni nei servizi
C’è molto da imparare leggendo l’ultimo rapporto sul mercato del lavoro pubblicato da Istat. In particolare osservando un breve approfondimento che propone una visione decennale di alcuni indicatori macro.
Qualche premessa di metodo aiuta a leggere il grafico. La variabile oggetto di analisi è quella delle retribuzioni di fatto reali, ossia deflazionate con l’indice armonizzato dei prezzi al consumo, uno dei tanti indicatori che misurano l’inflazione. Tecnicamente le retribuzioni di fatto corrispondono alle retribuzioni medie erogate dalle imprese ai lavoratori seguendo il criterio di cassa e al lordo delle trattenute fiscali e previdenziali.
Si tratta di una variabile interessante perché incorpora sia le variazioni del prezzo del lavoro, sia gli effetti che derivano dal cambiamento della composizione dell’occupazione. Ad esempio in ragione dell’anzianità di servizio o della tipologia contrattuale. Confrontando l’andamento delle retribuzioni di fatto con quelle contrattuali si può avere un’idea delle dinamiche di fondo che agitano la struttura retributiva di un paese e quindi il suo mercato del lavoro.
Ciò detto, guardiamo i dati. “Dal 2007 al 2017 – scrive Istat – la retribuzione media di fatto dell’industria e dei servizi di mercato è aumentata del 4,3% in termini reali. Parallelamente, si è assistito ad una contrazione della domanda di lavoro nel settore industriale e all’espansione del settore terziario che presenta retribuzioni mediamente più basse”. Provo a tradurre. In dieci anni la domanda di lavoro si è spostata dall’industria, dove è pagata meglio, ai servizi, dove è pagata peggio. Questa evidenza è chiaramente osservabile dal grafico. Nell’industria le retribuzioni contrattuali sono cresciute del 6,9% (indice da 100 a 106,9) mentre quelle dei servizi di mercato del 3,5. Se vi vanno a vedere le retribuzioni di fatto la differenza è ancora più marcata. Le retribuzioni dell’industria cresco quasi del 10% (9,8), quelle dei servizi appena dello 0,2%. In dieci anni.
Poiché l’inflazione è uguale sia per i lavoratori dell’industria che per quella dei servizi, l’andamento divergente delle retribuzioni reali di fatto, che addirittura crescono per l’industria rispetto a quelle contrattuali e decrescono quasi azzerandosi nel decennio per i servizi, ha evidentemente a che fare con la composizione dei posti di lavoro di questi settori. La tipologia dei contratti, ad esempio. O, meglio ancora, la diversa storia contrattuale a livello nazionale.
“Nel comparto industriale il regolare svolgimento della contrattazione nazionale (la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è di poco superiore al 10% nella media del periodo) contribuisce in misura consistente, almeno fino al 2015, a sostenere la crescita retributiva di fatto, pari al 9,8% nell’intero periodo”, scrive Istat. Lo slittamento salariale, ossia la differenza fra le retribuzioni contrattuali e quelle di fatto risulta positivo per sei anni di fila.
Segno che è la composizione dei posti di lavoro a far davvero la differenza fra i singoli settori. Probabilmente anche in ragione della diversa produttività che esprimono. Le ragioni possono essere le più diverse. “Nei servizi di mercato – spiega Istat – la contrattazione di primo livello si caratterizza per una minore regolarità nella successione dei rinnovi”. Di conseguenza “l’apporto alla dinamica retributiva complessiva della componente contrattuale è più contenuto rispetto al comparto industriale”, dove al contrario i rinnovi sono più regolari.
Ma pesa molto anche la circostanza che nel settore dei servizi spesso l’occupazione si sposti a favore dei settori caratterizzati da retribuzioni mediamente più basse. “È quanto emerge nelle attività dei servizi di alloggio e di ristorazione e del noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese, in cui il peso occupazionale cresce di oltre il 10% rispetto al 2007 e le retribuzioni medie sono inferiori di almeno il 20% rispetto al totale servizi”.
Quindi l’occupazione può anche aumentare, ma l’occupazione non è tutta uguale. In Italia, sempre nel settore dei servizi, si osserva “una contrazione del peso relativo dei settori tipicamente a retribuzioni medie più alte, come le attività finanziarie e assicurative, anche a seguito dell’attivazione di strumenti per l’accompagnamento alla pensione”. Mandare in pensione un bancario e magari assumere da un’altra parte un cameriere significa mantenere invariata l’occupazione. Ma non vuol dire migliorare il mercato del lavoro. Non sempre uno vale uno.
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