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Ecco perché Mattarella potrebbe rimandare alle Camere la legge di Bilancio
Luigi Einaudi, nato a Carrù nel 1874, è stato uno dei maggiori protagonisti dell’inizio della storia repubblicana. Dopo l’esilio svizzero durante il fascismo, tornò in Italia nel gennaio 1945 per essere nominato governatore della Banca d’Italia. Nel 1947, da vicepresidente del Consiglio e Ministro del Bilancio, in collaborazione con Donato Menichella e Paolo Baffi di Bankitalia, realizzò la politica di stabilizzazione (blocco dell’inflazione galoppante post conflitto) che creò le basi per il miracolo economico.
Quando si trattò, in sede costituente, di discutere sul bilancio dello Stato all’art. 81, Einaudi volle dare il suo contributo e propose che dopo l’ultimo comma – “Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese” – fosse inserito l’obbligo di accompagnare le proposte di spesa “con la proposta correlativa di entrata a copertura della spesa, cosicché la proposta abbia un’impronta di serietà”.
Nel suo intervento disse: «L’esperienza ha dimostrato che è pericoloso riconoscere alle Camere tale iniziativa, perché mentre una volta erano esse che resistevano alle proposte di spesa da parte del Governo, negli ultimi tempi spesso è avvenuto che proprio i deputati, per rendersi popolari, hanno proposto spese senza nemmeno rendersi conto dei mezzi necessari per fronteggiarle».
La proposta di Einaudi fu approvata con una formula meno imperativa. Invece di usare le sue parole – «Le leggi che propongono maggiori oneri finanziari devono provvedere ai mezzi necessari per fronteggiarli» – fu scritto: «Ogni nuova legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte». Il senso, comunque, era chiaro: il bilancio non deve essere l’occasione per caricare di impegni le generazioni successive.
È utile ricordare che, nella traiettoria della crescita del deficit e del debito pubblico, un ruolo determinante fu svolto dalla Corte Costituzionale la quale, in modo improvvido, nel 1966 riconobbe la possibilità di ricorrere all’indebitamento per sopperire alle necessità di copertura finanziaria delle leggi, sostenendo che fosse ammissibile coprire le spese future – oltre che con nuovi tributi o con inasprimento di tributi esistenti, riduzione di spese già autorizzate, accertamento formale di nuove entrate – anche con l’emissione di prestiti. Prima di allora tutta la legislazione di bilancio si era mossa interpretando alla lettera l’einaudiano art. 81 della Costituzione.
La strada del debito cominciò alla fine degli anni Settanta quando l’art. 81 venne aggirato con una legge (la Finanziaria) che consente al governo di introdurre innovazioni normative in materia di entrate e di spesa. Fra il 1950 e il 1969 il debito fu mediamente pari al 30% del Pil, nel 1970 salì al 40,5%, nel 1980 al 58%, nel 1990 al 94,8%, nel 2000 al 108,5%, nel 2010 al 118,7%. Oggi ha superato il 130%.
Nel 2012, in pieno governo Monti, si crearono le condizioni per modificare l’art. 81, e relatore della nuova formulazione fu Giancarlo Giorgetti, allora presidente della commissione Bilancio della Camera, oggi potente sottosegretario (leghista) alla presidenza del Consiglio. Il 23 novembre 2012, nel corso della prima lettura alla Camera, Giorgetti aveva dichiarato che “il pareggio di bilancio è funzionale, in una prospettiva di medio periodo valida per tutti i Paesi dell’euro, ad assicurare il rispetto dei parametri europei in termini di deficit e di debito pubblico”, e ancora, che “occorre dare un segnale politico forte ai mercati, chiarendo che l’Italia e l’Europa hanno imboccato in modo duraturo la strada del rigore”. Caro Giorgetti, può riferire le stesse parole ai dioscuri Di Maio e Salvini, desiderosi di sforare qualsiasi parametro di spesa?
La nuova formulazione dell’art. 81 – che ben pochi conoscono – è la seguente: “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”.
Di fronte a una legge di bilancio zeppa di nuove spese (reddito di cittadinanza, disgraziata revisione della Fornero, vera riforma strutturale) – purtroppo molta spesa corrente e ben pochi investimenti – che ruolo gioca la fase favorevole a livello di ciclo economico che stiamo vivendo? In teoria quando la congiuntura volge al brutto avrebbe senso aumentare la spesa, ma se il ciclo è favorevole, la Costituzione all’art. 81 non prevederebbe l’equilibrio di bilancio, o, ad abundantiam, il recupero di risorse per i tempi grami? Anche John M. Keynes, che ben pochi hanno letto, invitava ad approfittare del ciclo favorevole per accumulare “munizioni” pubbliche.
Veniamo all’oggi. Nei prossimi giorni – entro il 20 ottobre – sarà presentato in Parlamento il disegno di legge di Bilancio. Tra i poteri del Presidente della Repubblica, l’art. 87 della Costituzione prevede anche l’autorizzazione alla presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo. Si può ipotizzare che Sergio Mattarella, nei colloqui con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, abbia fatto presente l’equilibrio di bilancio così come previsto dall’art. 81.
La legge di bilancio è vincolata a livello costituzionale. Se il presidente della Repubblica dovesse riscontrare dei vizi di costituzionalità o di merito, in sede di promulgazione potrebbe rinviarla alle Camere. Nella storia della Repubblica, non è mai successo. È improbabile che accada nel 2018, ma una speranza ce l’abbiamo. Il messaggio al governo giallo-verde sarebbe chiarissimo. Non si può creare deficit non sostenibile che va ad ingrossare il debito, che grava come un macigno sulle spalle delle prossime generazioni.
Di Maio e Salvini sembrano rievocare la battuta di Groucho Marx: “Perché dovrei preoccuparmi delle generazioni future, in fondo cosa hanno fatto loro per me”. Come custode della Costituzione, noi confidiamo in Mattarella che nel maggio di quest’anno ricordò proprio Luigi Einaudi, il quale “si servì in pieno delle prerogative” di presidente della Repubblica. Le usi anche lei, caro Presidente. Come scrisse Alcide De Gasperi, “un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista guarda alle prossime generazioni”.
Twitter @beniapiccone