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Breaking news: il problema dell’Italia è il debito privato. Parola del FMI
Ho scoperto, leggendo l’ultimo staff report sull’Italia del Fmi, che il problema dell’Italia versione 2015 non è più il debito pubblico, che pur essendo “esposto a diversi rischi rimane sostenibile”, ma il debito privato. Non tanto delle famiglie, che appaiono comunque fra le meno indebitate d’Europa, ma delle imprese. I non performing loans (NPLs), scrive, “al 17% hanno raggiunto un livello sistemico, impedendo l’offerta di credito e limitano potenzialmente gli investimenti”.
Se infatti guardiamo al grafico che analizza l’offerta e la domanda di credito notiamo due cose: la prima è la scomparsa della domanda di credito, che segnala della scarsa propensione delle aziende italiane a investire, ma anche l’inabissarsi dell’offerta. Comprensibile, quando ballano circa 330 miliardi di crediti incerti.
“Infatti – nota il Fmi – gli investimenti privati reali sono caduti a un livello mai visto in 15 anni, rallentando drammaticamente il passo della ripresa e proiettando ombre sull’output potenziale”
A ciò che si aggiunga che le sofferenze (scritto in italiano nel testo) ammontano a più della metà di questi 330 miliardi. Questo ha avuto anche un pesante impatto sulle banche, che hanno visto diminuire la loro profittabilità proprio mentre la crisi ha fatto aumentare drammaticamente i crediti difficili. La conseguenza è che “malgrado la disponibilità di denaro a basso costo, le banche sono diventate molto più caute nel concedere crediti, specie per le piccole e media imprese”, ossia la grandissima maggioranza del nostro tessuto industriale.
Insomma, la diagnosi è chiara: l’abbuffata di debiti privati nel periodo pre-crisi, unita al loro lievitare a causa della crisi, ha determinato che i “NPLs in Italia abbiano raggiunto un livello sistemico”. E questo malgrado il grosso di tali esposizioni sia concentrato su piccoli importi. Oltre il 75%, infatti sono inferiori a 250mila euro. Mentre per tre quarti sono concentrate nel settore corporate, in particolare nei servizi e nelle aziende a bassa intensità tecnologica.
Il Fmi si aspetta che entro la fine dell’anno arrivino dal governo proposte per la riforma del sistema delle insolvenze, mentre la Banca d’Italia sta lavorando a uno schema di supervisione per definire come e quando si debba arrivare a una svalutazione dei crediti dubbi. Il governo, inoltre, sta lavorando all’ipotesi di una Asset management company (AMC), quella che la vulgata chiama bad bank, della quale però, nota il Fmi, “i dettagli non sono ancora noti”.
A tal fine, immagino, il Fondo monetario dispensa alcuni suggerimenti, ricordando che “una soluzione potenziale bisogna sia onnicomprensiva dei diversi aspetti del problema”, che sono finanziari, economici e legali.
Le questioni aperte, infatti sono diverse e complesse. A cominciare dalla circostanza che “i potenziali e sostanziali gap sui prezzi (di questi crediti, ndr) conducono a disincentivi per le banche a svalutarli e venderli”. In quanto evidentemente, subirebbero perdite che non vogliono accollarsi. Anche perché “il trattamento fiscale penalizza le banche italiane che volessero svalutare più aggressivamente i crediti dubbi”.
Che fare dunque? Il Fmi nota che “ogni incertezza sulla qualità degli asset bancari italiani deve essere risolta”, magari coinvolgendo i regolatori, che devono aiutare le banche a vedersela con questi crediti dubbi. E in tal senso sarebbe utile varare “forti disincentivi verso le banche che tengono tali crediti in bilancio”, accoppiandoli però a incentivi fiscali a liberarsene. Insomma, strategia “carota e bastone”, per usare le parole del Fmi.
Dulcis un fundo, una “AMC può altresì giocare un ruolo utile per sviluppare un mercato del debito incerto”. Meglio ancora, “una AMC centralizzata con alle spalle lo Stato può anche aiutare a far partire questo mercato”.
Sarà pure inefficiente (si veda l’infografica) l’amministrazione pubblica italiana. Ma, so che può risultare impopolare, quanno ce vo’, ce vo’. Lo Stato.
Twitter @maitre_a_panZer