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Renzi, il settore edilizio e l’eccesso di finanziamenti, un déjà vu degli anni Settanta
Nel recente rapporto della Banca d’Italia sulle economie regionali si evidenzia il miglioramento dei prestiti alle imprese in tutte le aree. I segnali di recupero si sono concentrati nei prestiti alle imprese della manifattura e dei servizi. Male, invece, come nel 2013, i prestiti alle costruzioni. Concentriamoci sul rapporto tra edilizia e sistema bancario.
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi di recente rispondendo al direttore del Sole 24Ore Roberto Napoletano ha ribadito che il settore dell’edilizia resta cruciale per la ripresa: “Il settore costruzioni, come senz’altro non le sfugge, è forse l’unico che ha avuto incentivi fiscali. Strabenedetti peraltro. E tuttavia è fermo, inchiodato, ancora. Mancano soprattutto i cantieri pubblici, mancano i permessi in tempi certi, manca la possibilità di finire i lavori senza che un Tar dia la sospensiva, manca il credito alle piccole imprese in sofferenza. Manca questo. Se parla con qualcuno che conosce il mondo dell’edilizia si renderà conto, caro Direttore, che la zavorra non è fiscale come dice lei, ma burocratica e bancaria”.
Ci permettiamo di aggiungere che, mentre la sovrabbondanza di risorse a disposizione degli amministratori pubblici favorisce la corruzione – come abbiamo purtroppo visto nelle recenti cronache di Mafia Capitale – l’eccesso di capitale di debito a favore delle imprese porta al disastro gestionale. In presenza di risorse scarse, il focus aziendale è la il risultato positivo della gestione caratteristica.
Quando le risorse abbondano, le priorità diventano altre. Le enormi sofferenze bancarie del settore costruzioni sono qui a ricordarcelo. Se si pensa di vendere un appartamento a Rogoredo – poi abbellito magistralmente con Santa Giulia – a 10 mila euro al metro, poi non ci si meravigli del crash del progetto.
La storia economica abbonda di esempi che stanno lì a dimostrarci come epoche e settori caratterizzati da una forte abbondanza di capitale abbiano spesso coinciso con colossali disastri industriali. Un esempio paradigmatico ci viene dalla chimica italiana. Fino al 1969 il settore chimico italiano aveva un surplus di bilancia commerciale, una tradizione di primo piano, un know-how eccellente.
Negli anni Settanta la politica decise di creare occupazione attraverso i grandi complessi industriali. Per cui la chimica è stata inondata di danaro. La vera e propria inondazione di denaro – per lo più a fondo perduto – si è tradotta nel disastro della chimica italiana, ormai da lustri largamente in deficit.
Una delle cause centrali è da ricercarsi proprio nell’abbondanza di capitali.
La lezione da trarne è che quando la disponibilità di capitale è eccessiva, si generano malattie incurabili. La compiacenza, l’assenza di analisi serie di merito di credito, le troppe agevolazioni conducono al peggio, favorendo peraltro non gli industriali seri ma quelli che l’economista d’impresa Marco Vitale ha definito a suo tempo gli “intrallazzatori romani”.
Peraltro, aggiungo che i magistrati della Procura di Roma – molto sensibili alla politica andreottiana – si servirono del disastro della chimica italiana guidata da Nino Rovelli della SIR, per muovere un attacco ingiusto e pretestuoso ai vertici della Banca d’Italia, guidata allora da Paolo Baffi, che fu costretto a firmare il ritiro delle delega di Vigilanza al vice direttore generale Mario Sarcinelli, per consentirne la scarcerazione nell’aprile 1979.
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