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Contrastare la corruzione? Si può fare se…
L’autore di questo post è Giuliano Bastianello, imprenditore recentemente premiato con una menzione speciale al Premio Giorgio Ambrosoli per aver denunciato appalti truccati –
Mi permetto di aggiungere qualche riflessione all’intervento di Carlo Nordio, pubblicato sul Messaggero del 4 settembre, nel quale l’ex procuratore veneziano muove le sue critiche al DDL anticorruzione ed a quelli che chiama i “soliti arnesi” messi in campo dal Governo per combattere il fenomeno: pene più severe e nuovi reati sono buoni per la propaganda ma inutili a contrastare una pratica tanto diffusa quanto a basso rischio di sanzioni.
Ritengo che qualcosa in più si possa fare per frenare il ricorso alla corruzione da parte di chi vuole ottenere ciò di cui non avrebbe diritto. Cominciamo con alcune abolizioni.
Per primo va ridimensionato il concetto di lex specialis, ovvero la facoltà di ogni Stazione Appaltante di creare un regime normativo autonomo per ogni gara d’appalto. Con l’istituto della lex specialis per ogni appalto si possono decidere i requisiti per ammettere alle gare, i criteri di valutazione delle offerte e tanti altri parametri pre e post selettivi. Nelle mani del funzionario che traligna sono potenti strumenti per orientare l’esito di una procedura.
Via tutta questa roba: regole uniche per tutto il territorio nazionale, salvo deroghe motivate da perizia giurata che dimostri la necessità di norme particolari. Dobbiamo invece registrare persino diversi modi per calcolare il peso dell’offerta economica con formule a volte bizzarre, come quella calcolata sul ribasso percentuale che è, nei fatti, meno onesta del sorteggio.
Altra riforma a costo zero è l’obbligo di certificare la provenienza dei capitolati tecnici che devono essere tutti firmati e redatti da solo funzionari interni con titoli che ne dimostrino la competenza o, in mancanza, da professionisti esterni di provata e specchiata esperienza.
Oggi, invece, la maggior parte dei capitolati tecnici è fornita agli Uffici dalle imprese interessate che, ovviamente, non perdono l’opportunità di indicare i propri prodotti a base della fornitura. E’ cosa nota a chi opera nella piattaforma MePA (Consip) che le R.d.O. (richieste di offerte) provengono da specifiche descrittive suggerite dagli stessi fornitori. Un’altra bella ipocrisia.
C’è poi il capitolo delle verifiche e dei collaudi. Un kafkiano meccanismo scoraggia l’impresa che ha rispettato il bando di gara alla contestazione di lavori o forniture difformi dal capitolato d’appalto. La “tolleranza” di queste difformità viene ovviamente acquistata con la corruzione dei verificatori, da imprese “più furbe” che si aggiudicano gli appalti con ribassi impossibili se si fornissero le qualità previste nel bando. Per questa ragione i certificati di collaudo o regolare esecuzione devono essere analitici e resi pubblici, come i nomi dei collaudatori o verificatori in modo che chiunque possa riscontrare le differenze tra quanto richiesto e quanto, invece, fornito.
Anni di promesse di semplificazione hanno prodotto modalità di accesso agli appalti pubblici che richiedono un ufficio apposito che le piccole aziende, potenzialmente più competitive, non si possono permettere.
Basterebbe una sorta di “abilitazione” associata alla Partita Iva, continuamente aggiornata con DURC, PASSoe, Antimafia, bancarie, fiscali ecc.. L’impresa dovrà indicare P.I. e C.F. e, se tutto è a posto, verrà ammessa alla procedura di selezione del contraente. Evidente il risparmio di tempo con minimo rischio di esclusione per errori formali.
Semplicità disarmante eppure non si fa. Perchè?
Inoltrandoci nel campo penale, tanto caro a Nordio, che lamenta l’impari lotta tra guardie e corrotti, anche qui si potrebbero fare molte più cose di quelle annunciate nel DDL anticorruzione.
In vent’anni di frequentazioni di Procure e Polizia Giudiziaria di tutte le latitudini (da Bolzano a Catania) ho constatato, salvo rare eccezioni, una generale impreparazione degli uffici investigativi che, per ogni indagine, oltre alle complicate regole degli appalti in generale, si devono studiare proprio “quell’appalto”- e le sue lex specialis – sul quale è incentrata l’indagine. Una mission impossible perché nei tre gradi del processo la difesa degli imputati avrà buon gioco nell’appellarsi a sfumature interpretative che, giustamente, tutelano il reo mandandolo assolto, vanificando anni di indagini anche in presenza di fatti scandalosi. Non a caso in Italia la percentuale di reclusi per reati contro la P.A. è tra le più basse. Un’altra assurdità è la frammentazione della Polizia Giudiziaria.
Anziché disporre di un’Unica a Sezione Investigativa specializzata in reati dei vari settori: informatico, alimentare, finanziario, sanitario, industriale, ambientale, amministrativo ecc. le Procure continuano a delegare a svolgere le indagini le locali Stazioni dei Carabinieri, di Polizia di Stato, di Guardia di Finanza ecc.. , distogliendole dalla presenza sul territorio. Una vera Polizia Investigativa formata da agenti ad alta specializzazione, non in concorrenza tra loro, come a volte accade tra i corpi di Polizia, avrebbe più risorse e sinergie per condurre indagini produttive di imputazioni capaci di resistere in giudizio anziché infrangersi per difetto di supporto probatorio.
In questa direzione si deve rivedere quello che la giurisprudenza chiama “elemento soggettivo” del dolo intenzionale nel reato di abuso d’ufficio. Un fattore decisivo che, non solo a parere di scrive, ha subito modifiche con forzature interpretative tali da stemperare gran parte delle imputazioni per questo diffusissimo reato diventato ormai una figura giuridica dallo scheletro vuoto.
Serve una nuova e meno ambigua formulazione dell’Art 323 del nostro Codice Penale, assieme alla riscrittura dell’Art. 353 ( turbativa d’asta) che, dopo gli ultimi inapplicabili aggravamenti di pena, rivela tutta la sua inadeguatezza rispetto all’astuzia dei disonesti.
Dobbiamo constatare che nessuna delle riforme della nostra Pubblica Amministrazione ha prodotto significativi passi avanti nella trasparenza e nella semplificazione degli atti amministrativi che permangono ancora strutturati secondo il Regio Decreto del 1934 (TU legge comunale). Portali Web come soldipubblici, gli opendata e tanti bei giocattolini software che mostrano gli atti in PDF, ovvero banali fotocopie elettroniche, non permettono il necessario incrocio dei dati a fini investigativi e di controllo dell’operato della P.A.
Serve, quindi, una vera riforma degli atti delle P.A. basata sulla totale revisione delle procedure amministrative a partire dagli atti di spesa con i quali si attuano i programmi di Comuni Province Regioni e altri Enti: delibere e determine dirigenziali. Ogni Ente si fa le sue, ognuno a suo modo, anche se gli argomenti sono gli stessi. Come per l’Anagrafe Unica nazionale, che interessa solo il 10% della popolazione, è impossibile incrociare i dati, verificare se quell’opera pubblica incompleta è stata appaltata ad un’impresa priva di struttura, che noleggia le attrezzature, subappalta tutte le lavorazioni ed è in ritardo con i pagamenti. Fino a quando non si disporrà di un moderno sistema unificato di redazione degli atti amministrativi, corredato da reference normativo “autopulente” nel senso che ogni deroga o forzatura di norme ( ad esempio i tempi di pubblicazione di un bando) sia automaticamente segnalata, resteranno ampi spazi per abusi e malversazioni. L’istituto dell’Accesso Civico agli atti poteva essere un forte deterrente alla corruzione solo se avesse conservato lo spirito del DLvo 33 del 2013 che vedeva la trasparenza come “accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.” Principi rivoluzionari per l’Italia.
Infatti il Decreto Madia ha fortemente depotenziato l’Accesso Civico, ripristinando la disciplina della vecchia 241/90 forse con qualche barriera in più, come avevo segnalato in un articolo “Tutti gli atti sul web” uscito nel 2016.
Le vere armi efficaci contro la corruzione nelle P.A. sono due: ridurre la discrezionalità dei responsabili dei procedimenti e dare istantanea pubblicità alle decisioni assunte dalle P.A. senza interporre ostacoli alla loro conoscenza. Per fare questo gli Atti Pubblici devono essere: semplici, conoscibili, comprensibili e, soprattutto, facilmente accessibili. Ci penseranno i cittadini ed i controinteressati ad evidenziare anomalie o violazioni non appena vedranno l’intera procedura pubblicata sulla pagina web dedicata all’Accesso Civico.
I funzionari, consapevoli che i loro atti verranno immediatamente “radiografati”, avranno più forti motivi per rifiutare le proposte corruttive.
Twitter @bastiano56