categoria: Res Publica
Nel cambiamento promesso è incluso l’abbandono delle periferie?
L’autore di questo post è Fabio Fimiani, giornalista professionista, temporaneamente capo di gabinetto del sindaco di Pavia. In aspettativa da Radio Popolare è collaboratore della Confederazione Italiana Agricoltori di Milano e di Consumatori di Coop Lombardia. È stato assessore all’ambiente di Sesto San Giovanni, è maestro assaggiatore di formaggi Onaf, e cura l’omonimo blog sulla sostenibilità fabiofimiani.it –
In questi giorni alla Camera dei Deputati è in discussione la conversione in legge del decreto cosiddetto Milleproroghe, già votato all’inizio di agosto al Senato. Tra i provvedimenti decisi dal governo c’è anche lo spostamento fondi del Bando Periferie per il 2018, un miliardo e cento milioni, al 2020, provvedimento che impedirebbe ai Comuni di pianificare in assenza di un accertamento di entrate. Contro la decisione si sono schierati tutti i sindaci attraverso l’Anci, l’Associazione Nazionale Comuni Italiani, il cui presidente Antonio Decaro, primo cittadino di Bari, è stato ascoltato dalla commissione finanze, dove il governo era assente e il relatore Francesco Forciniti del Movimento 5 Stelle non ha lasciato spazio per un ripensamento.
Non rispettare il Bando Periferie è più grave del miliardo e seicento milioni che dovrebbero essere erogati ai comuni tra 2017, cinquecento milioni, e 2018, dopo oltre un decennio di riduzione dei trasferimenti e di contrazione della spesa autofinanziata.
Qualora un soggetto privato dovesse assumere una decisione analoga a quella che sta intraprendendo l’attuale governo arriverebbero immediatamente i decreti ingiuntivi. Le convenzioni firmate tra la Presidenza del Consiglio e i Comuni sono infatti contratti, il cui mancato rispetto è pertanto sanzionabile.
Le amministrazioni locali e gli uffici di Palazzo Chigi sono tre anni che lavorano su questo bando, e nei centoventi progetti tra città metropolitane e capoluoghi di provincia spesso si sono attivati anche gli indotti, sia pubblici che privati.
In questo momento ci sono già amministrazioni locali che hanno stipulato accordi con soggetti finanziari, come Cassa Depositi e Prestiti, per anticipare le spese per progettazione e realizzazione, così da riuscire a velocizzare le rigenerazioni urbane. Il 15 settembre c’è una delle scadenze stabilite dalle convenzioni stipulate: la consegna dei progetti esecutivi per le opere da parte dei comuni destinatari della seconda parte dei finanziamenti.
Fermare tutto questo va quindi oltre i fondi non erogati ai comuni, una cifra considerevole comunque insufficiente per le esigenze delle amministrazione locali. Si bloccano gli investimenti indotti, quelli ipotizzati come effetto leva dal bando, e che dovrebbero riattivare lo sviluppo locale dei territori. Si crea una incertezza nel diritto e nel patto istituzionale tra Governo ed enti locali che paralizzerà le attività di collaborazione tra Stato e comuni, e il coinvolgimento del settore privato. Ci saranno, infine, difficoltà nella formazione dei bilanci dei comuni già in fase avanzata di elaborazione.
Da questa decisione saranno quindi penalizzate le amministrazioni locali più attive, come sempre da oltre un decennio a questa parte, basti pensare ai tagli lineari della spesa, che hanno reso la gestione più onerosa per chi ha rispettato le norme delle leggi finanziarie e di stabilità.
Nelle convenzioni del Bando Periferie tra Presidenza del Consiglio e comuni, peraltro assai stringenti per le fasi attuative, ci sono gli strumenti per gestire eventuali ritardi, anche con penalizzazioni nei casi dolosi.
La sentenza della Corte Costituzionale di illegittimità di una parte del bando periferia dovrebbe essere affrontata in modo istituzionale, rispettando importo e ripartizione. L’impugnazione della Regione del Veneto, inerente il titolo quinto che attribuisce alla regioni la competenza per la riqualificazione urbana e sicurezza delle città metropolitane e dei capiluogo di provincia, è risolvibile con l’emendamento al decreto Milleproroghe che consente di trovare l’intesa nelle fasi attuative attraverso la Conferenza permanente per i rapporti Stato-Regioni. I comuni non hanno bisogno di ulteriore incertezza e penalizzazione, visto che sono stati l’architrave per la revisione della spesa pubblica nazionale. Non si può dire lo stesso con l’amministrazione centrale.
Twitter @fimianif