categoria: Vicolo corto
Evviva il conflitto (se gestito bene)!
C’è uno strumento di lavoro fondamentale che poco viene capito e soprattutto viene usato male: il conflitto.
Prendiamo la sua definizione:
“Il conflitto può essere definito come la presenza, nel comportamento di un individuo, di assetti motivazionali contrastanti rispetto alla meta. In altri termini il conflitto in psicologia indica uno scontro tra ciò che una persona, o il proprio gruppo di appartenenza, desidera e un’istanza interiore, interpersonale o sociale che impedisce la soddisfazione del bisogno, dell’esigenza o dell’obiettivo connessi a tale desiderio”.
Nel concreto, quando si lavora e ci si relaziona con gli altri, possono verificarsi due situazioni molto diverse tra loro.
La prima è che la relazione avviene lungo linee razionali riconosciute da tutte le persone coinvolte e quindi le decisioni e le azioni sono figlie di un lavoro logico, di analisi e deduzioni in cui si è tutti orientati alla ricerca di ciò che è meglio fare. In un contesto di discussione del genere tutti mettono in chiaro i propri interessi, che così vengono “razionalizzati” ed inseriti nel decision-making, secondo regole definite.
Ma siamo tutti esseri umani e il processo descritto sopra è molto difficile da ottenere e richiede un grado di controllo e sicurezza in se stessi elevati, quindi rari. Molto più frequentemente, quindi, esistono nelle relazioni elementi emotivi, interessi nascosti (leciti o meno), volontà di prevaricazione di alcuni, paure, emozioni di ogni tipo più o meno note a chi le prova. Fino ad arrivare a simpatie e antipatie o attrazione sessuale, o ancora legami familistici e amicali che inquinano qualsiasi tentativo di essere obiettivi nelle opinioni e decisioni. Infine vi sono eventi passati che hanno determinato in alcune persone le aspettative sui comportamenti altrui, il cosiddetto “bollare l’altra persona”. In questi casi l’unico modo realistico per migliorare le relazioni sono i conflitti.
Il conflitto può essere qualcosa che si subisce o qualcosa che si usa in modo esplicito e controllato. L’obiettivo principale di un buon conflitto è uscirne avendo migliorato la relazione. La ragione principale per cui solo il conflitto funziona in questi casi è che riesce a spostare la discussione da un piano razionale a uno emotivo, che è dove appunto si collocano i blocchi alla relazione. La ragioni principali per cui le persone cercano di evitare i conflitti non capendone il loro ruolo, sono:
1. Paura di rovinare la relazione
2. Paura di trovarsi in campo aperto manifestando emozioni di cui non si ha il controllo
3. Costo psicologico che ogni buon conflitto richiede
Per chi voglia impostare un buon conflitto ci sono regole abbastanza stringenti da seguire:
Trasparenza radicale sulle proprie opinioni, emozioni, interessi: bisogna dire la verità su ciò che si pensa e si prova;
Mai “bollare” la persona, ma stare sempre sui comportamenti, manifestando fiducia nel fatto che possa cambiare;
Curiosità pervasiva per le opinioni, interessi ed emozioni altrui. Questi sono dei fatti non discutibili e come tali vanno presi. L’obiettivo è capire esattamente cosa l’altro ha nella testa.
Riconoscimento dei propri errori, problemi e difficoltà: mano a mano che il conflitto si dipana e ci si rende conto che una parte dei problemi è stata generata dai propri comportamenti bisogna lasciare l’orgoglio da una parte e riconoscerli esplicitamente prendendosi l’impegno di cambiare. Questo atteggiamento è anche propedeutico al fatto che anche gli altri poi facciano lo stesso.
Il conflitto si deve concludere sempre con “contratti” espliciti su come la relazione dovrà cambiare in futuro. Espliciti vuole dire che ci si dice (e ancora meglio si scrive) quali decisioni vengono prese dalle parti sui comportamenti futuri. Successivamente al conflitto ogni violazione dei contratti fatti deve essere motivo di ulteriore confronto tra le parti. Senza alcuna pietà o accettazione del “fallimento” del conflitto. Chi si è preso un impegno lo deve mantenere e se non lo mantiene – senza riconoscerlo – bisogna immediatamente aprire un altro conflitto, a una scala di intensità superiore al primo.
Muniti di un tale armamentario di regole del gioco ogni conflitto che si presenta all’orizzonte, invece di essere messo sotto al tappeto (e quindi ingigantito nel tempo), andrebbe affrontato immediatamente, a viso aperto e senza requie. In generale un atteggiamento del genere porta a relazioni interpersonali con un livello di conflittualità alto all’inizio e progressivamente in diminuzione, fino a che non ci si conosce molto bene e si sono sviluppate regole nella relazione che quasi azzerano i conflitti.
Un ambiente lavorativo costruito su queste basi è duro in entrata per i nuovi, molto migliore nel lungo periodo, rispetto ad ambienti che evitano i conflitti e quindi non rimuovono le loro cause e creano un Vietnam umano in cui sopravvivere, senza mai affrontarne le cause.
Ogni buon conflitto è un’occasione fenomenale di migliorare le relazioni e quindi non andrebbe mai sprecato. Bisogna imparare ad amare i conflitti e a usarli nella propria scatola degli attrezzi professionali. E perché no, anche nelle altre relazioni.
Twitter @lforesti