Sicuri sicuri che il 70% del debito sia italiano? Luoghi comuni e voglia d’Italexit

scritto da il 07 Settembre 2018

Questione 1 – metafora della garanzia o di un disagio

Potremmo chiudere immediatamente la partita nel modo che segue: uscire dall’euro comporta svalutazione e inflazione; svalutazione e inflazione comportano l’aumento del costo del lavoro; l’aumento del costo del lavoro comporta la perdita di competitività e occupazione; la perdita di competitività e occupazione comporta il ritorno a un debito incalcolabile.

Potremmo, ma… preferiamo evitare un resoconto di superficie, di cui, a ogni modo, si renderebbe conto pure uno studente iscritto al primo anno di economia, e puntare a quel ragionamento logico che tanto stiamo già rimpiangendo. Ora, siccome abbiamo l’obiettivo della semplificazione e della liberazione del linguaggio dalle astruserie, vogliamo provare a immaginare di recarci in banca per un mutuo fondiario, non avendo tutte le carte in regola. Che cosa fa il responsabile mutui? Ci chiede la firma di un garante. E se non ne abbiamo? Tanti saluti!

Che significa questa mediocre metafora? Significa in modo diretto ed elementare che la BCE è il nostro garante. Tutti noi abbiamo ormai sentito parlare di Outright Monetary Transaction, ovverosia dell’acquisto illimitato dei titolo di Stato da parte dell’odiata Banca Centrale Europea in caso di gravi difficoltà di uno dei paesi-membri. Uscire dall’euro implicherebbe la rinuncia a questa garanzia. Il rendimento dei BTp crescerebbe in modo inarrestabile perché gli investitori non si fiderebbero più del nostro paese, cosicché dovremmo offrire interessi molto allettanti per convincerli a non andare via. Di conseguenza, il debito diventerebbe incalcolabile. I profeti del no-euro insistono nel dire che, se ci riappropriamo della sovranità monetaria, la Banca d’Italia potrebbe comprare titoli senza limiti, ma è chiaro che per avviare questo processo sarebbe necessario introdurre una tale quantità di moneta nel sistema che l’inflazione finirebbe coll’essere irrazionale e incontenibile. Ne conseguirebbero l’erosione dei salari e dei risparmi. Nello stesso tempo, il credito bancario si ridurrebbe ai minimi termini fino a essere inaccessibile per famiglie e imprese, tenendo conto, tra le altre cose, dell’infelice sorte delle banche.

Aggiungere materiale a questa raccolta di elementi pro euro è più facile che preoccuparsi per la faciloneria con cui si chiede l’uscita dall’Eurozona. Vogliamo parlare di cosa si potrebbe acquistare con diecimila lire? O di quanto costerebbe sostituire tutto il circolante? O ancora: il popolo degli agitatori sa che cos’è il sistema TARGET 2? Si tratta del metodo che regola i pagamenti dell’area euro (…quelle strane cose chiamate bonifici) e che, anche questa volta, vede la BCE quale istituto di garanzia. Dato che gli scambi avvengono mediante accrediti e addebiti in un protocollo contabile, com’è naturale, e considerando che per l’Italia le passività vengono registrate dalla Banca d’Italia, in che modo salderemmo i nostri quasi 500 miliardi di passivo? E le banche italiane che fine farebbero? S’è pure sentito dire da alcuni ‘criminali’: – Non paghiamo più nessuno! –. Cioè? Vogliono dichiarare guerra ai paesi dell’UE?

Rimettiamo i piedi per terra e lavoriamo dentro la realtà!

Interludio – linguaggio ideologico ed economia

Purtroppo, ciò che conta, per lo più, non è se una vicenda sia vera o meno, ma quanto sia utile a colmare dei vuoti psicosociali o dei bisogni. Così, gli italiani finiranno coll’essere delatori della propria credulità o, meglio, delle azioni che proiettano sul fantasmagorico nemico e che sarebbero indesiderate secondo la morale comune. Certe dichiarazioni di denuncia diventano un supplemento di esistenza, sebbene nessuno si accorga che la spaccatura tra mondo mentale e mondo reale è ormai netta.

Insistiamo sull’analisi del linguaggio adottato nell’economia e nella politica che se ne occupa perché tra i fatti e il modo in cui noi li raccontiamo si crea spesso uno scarto notevole, talora pericoloso: non a caso, vaghezza, ambiguità e deduzione sono gli strumenti principali della nostra presenza linguistica nel mondo. Si tratta di forme d’interazione e comunicazione molti utili e senza le quali uno scambio tra esseri umani sarebbe impossibile, per carità, tuttavia, come la storia c’insegna, nel momento in cui le parole diventano simboli di una qualsivoglia ideologia, perdono i propri confini semantici e non hanno più alcun fine critico-informativo, le democrazie scompaiono. Se, per esempio, diciamo “Non possiamo più farci ricattare dall’UE”, di fatto, non informiamo il nostro interlocutore di qualcosa, ma, nello stesso tempo, generiamo una posizione ideologica di scontro, designiamo un nemico e lo facciamo non rendendo il nostro interlocutore edotto di un ragionamento logico. In altri termini: cancelliamo logica e dialettica a vantaggio di un fine, creiamo le condizioni di esistenza per principi non negoziati (diktat).

Questione 2 – antefatto storico-economico (banale, ma necessario)

Scettici, contestatori e agitatori, molto di frequente, come abbiamo detto, non forniscono ai lettori documenti validi e, soprattutto, corredati di studi statistici, ma sfruttano il bisogno della gente di credere in qualcosa, trasformando l’elettore in un cieco forcaiolo smanioso d’immolare qualcuno alla sacra causa. L’Unione Europea deve essere sempre esaminata unicamente sulla base di 60 anni di storia e di economia, dal Trattato di Roma a quello di Maastricht, attraverso lo SME, e non può essere continuamente configurata per mezzo dei vincoli su debito e deficit, che, se imposti secondo la retorica dell’austerità, diventano segno di disinformazione. È inevitabile allora trascurare che, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, nel nostro paese, l’inflazione si aggirava intorno al 20%, il debito pubblico aveva già oltrepassato il 90% del PIL e il bilancio dello Stato era paurosamente in deficit (oltre 150 miliardi di lire) e senza una ragionevole speranza che la rotta s’invertisse facilmente. Aderire a Maastricht e ai parametri economici, in seguito all’ingresso nel Sistema Monetario Europeo del 1979 e all’adesione all’Atto Unico Europeo del 1986, ha sicuramente posto fine all’indebolimento finanziario dell’Italia. Un problema che spesso – chissà perché – non viene discusso a sufficienza è quello della flessibilità dei cambi, che, all’epoca, non permetteva all’Italia di reggere il confronto internazionale, tanto più che uscì pure dal Serpente Monetario Europeo, entro cui l’oscillazione era contenuta. Grazie all’euro, pertanto, è stato possibile tenere a freno inflazione e tassi d’interesse. Vien fatto di chiedersi, a questo punto: perché tante persone rimpiangono la lira e si lasciano affascinare da talune tesi anarchiche?

Questione 3 – storiella sul 70% di un debito pseudo-italiano

Ad esempio, dire che il debito pubblico è pari al 132 % del PIL equivale a riprodurre un dato del mondo reale, un fatto, quale che sia il ronzio che si genera attorno a esso. Allo stesso modo, riportare lo spread o documentare che molto del debito pubblico è allocato nel medio periodo e aggiungere che ciò costituisce un allarme, quantunque parziale, vuol dire definire un elemento del linguaggio che può essere paragonato, per valore di verità, alle forze del campo gravitazionale: ci sono; non si può fingere che non ci siano. Per converso, si sente dire, molto di frequente e con discreta approssimazione, che il 70% del nostro debito pubblico è detenuto dalle banche italiane e, per ciò stesso, possiamo stare tranquilli, la distanza tra mondo reale e mondo mentale aumenta e così pure i pericoli. È vero che un investitore estero è meno sicuro perché si lascia influenzare maggiormente dai fattori d’instabilità globale e informativa, ma, nello stesso tempo, sono altrettanto vere alcune conseguenze di relazione: 1) se aumenta il rendimento dei BTp e, logicamente, peggiora la tenuta finanziaria dello Stato, di rimando peggiorano la gap analysis e il rischio di liquidità per le banche; 2) nello stesso tempo, l’azionariato delle banche italiane è già, in buona parte, in mani estere; 3) da ultimo, le banche, il cui valore di mercato si riduce, diventano il tramite di fondi speculativi che, come si suol dire, ‘shortano’ sul debito italiano, cioè assumono posizioni di guadagno sui ribassi.

Dunque: perché si fa gran vanto della teoria di un debito tutto italiano? Qual è l’anomalia che stiamo tentando di denunciare? Si ricorre a un fatto, ma lo si adombra con una congettura, costruendo, tra le altre cose, una categoria di ‘performante’ vaghezza, tale che i confini del dialogo si smarriscono facilmente ai danni di coloro che, non essendo addetti ai lavori, non dispongono degli strumenti epistemici per violare l’area neutrale e riappropriarsi del fatto. In pratica, il meccanismo da cui è investito il sistema e del quale alcuni hedge fund sono stati di recente protagonisti è quello della vendita allo scoperto, una vera e propria scommessa contro il valore di un asset. Ipotizziamo che un qualsivoglia short seller americano si faccia prestare dei titoli di una banca italiana, che naturalmente non possiede, allo scopo di rivenderli immediatamente al prezzo di mercato X. Naturalmente, oltre a pagare un interesse sul prestito, ha il dovere di rifondere il prestatore. Tale investimento è interamente basato sul convincimento che il titolo passerà da X a X-1, giacché, a un certo punto, dovrà acquistarlo per restituirlo al fornitore, guadagnando per l’appunto sul ribasso.

Qui si conclude l’operazione, ma cominciano le implicazioni. Se lo short seller ha avuto ragione del mercato, ciò è accaduto perché il valore di mercato della banca è sceso, mentre sono cresciuti gli interessi dei BTp e la conseguente quota di debito. Tra le altre cose, se la crescita dello spread non si arresta, gli investitori, prima o poi, smetteranno pure di acquistare titoli italiani e, in quel caso, le ripercussioni in termini di pressione fiscale potrebbero farsi pesanti. Qualcuno, a questo punto, potrebbe approfittare di taluni bassi rendimenti del comparto bancario per rastrellare azioni sul mercato. Le famiglie e le imprese assisterebbero a un’ulteriore stretta del credito e il rapporto creditizio residuo sarebbe gravato da interessi superiori. Tra le altre cose, tutte le volte in cui un quotidiano d’informazione economica e finanziaria riporta il segno meno accanto al nome dei nostri istituti di credito, ciò vuol dire che gli investitori non hanno fatto altro che ‘scaricarne’ le azioni.

Epilogo – vacuità e pericolo

Qual è il peggiore dei problemi? Se, ogni qual volta in cui si adottano frasi generiche sull’economia e sulla scienza, non s’interviene a chiarirne le caratteristiche strutturali, la connotazione – per usare un termine di gergo –, allora ci ritroveremo presto con delle categorie linguistico-comportamentali del tutto vuote, che sono l’anticamera degli estremismi e delle grandi depressioni.

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