categoria: Sistema solare
Turchia, crisi sovranista o globalista?
In questi giorni i media dibattono sulla crisi turca, esacerbando, per quanto possibile, la posizione, suggerendo soprattutto che sia causata dal sovranismo (o nazionalismo) di Erdogan.
Smontiamo la crisi turca
Una storia di espansione culturale ed economica per trovare una nuova dimensione geopolitica, una politica estera di grande potenza, una carenza di risorse energetiche domestiche, una bolla di credito facile da investimenti stranieri (e domestici), dulcis in fundo un po’ di sana Hubris nazionale (negli ultimi anni)
Una storia di espansione culturale ed economica per trovare spazio
Le radici della crisi turca sono profonde e partono, a mio avviso, dal 1990. A seguito del rifiuto della UE di averla tra i suoi membri, la Turchia, allora guidata da Ozal, cercava di trovare una posizione nel nuovo assetto mondiale (spinta ancora più accelerata dopo il crollo del muro di Berlino e la fine del bipolarismo Usa Urss). Da questo periodo si può fare risalire la spinta ad una visione pan-turca e sovranista di cui oggi Erdogan è il continuatore più che l’inventore.
Strumento principe di questa strategia di politica estera (con un mix di supporti umanitari, investimenti in infrastrutture e supporto alle aziende turche che facevano export in “nuovi mercati “ centro asiatici) è la TIKA (Agenzia per la Cooperazione e Sviluppo Turco.). Tra i tanti progetti panturchi la visione di integrare tutte le repubbliche turcofone (principalmente localizzate in centro Asia) sotto una sorta di guida turca. Con una crisi economica interna l’ambizione turca verso il mondo venne raffreddata per qualche tempo. A questo temporaneo raffreddamento sul tema “sorelle turche” si aggiunga che la democratica Turchia scoprì che molti degli stati (giovani repubbliche ex sovietiche), che voleva supportare, si dimostrarono un poco “acerbi”, dal punto di vista del concetto della democrazia. Da allora La Turchia ha avuto una forte crescita economica, con alcuni vulnus ben evidenti che, temporaneamente coperti dagli investimenti stranieri nella patria di Ataturk, non sono mai stati sanati. Arriviamo all’epoca Erdogan.
Una politica estera di grande potenza
La Turchia ha bisogno di prospettive. Non dal punto di vista di territorio fisico ma di aree per esportare i suoi prodotti ed, egualmente, per manifestare la sua influenza finanziaria. Su fronte centro asiatico, tra alti e bassi, con la creazione di soluzioni di avvicinamento (come il CCTS Concilio di Cooperazione degli Stati che parlano Turco) la Turchia ha tentato differenti approcci su vari fronti.
C’è da dire che la Turchia è una nazione che vive una sorta di bipolarità: da un lato gran parte della nazione è innestata nel blocco medio orientale (ma non dite ad un turco che sembra un arabo se volete sopravvivere), dall’altro, con Istanbul (in precedenza capitale dell’impero romano d’oriente, Costantinopoli) che è la punta avanzata (si potrebbe dire la faccia occidentale della nazione islamica) della Turchia moderata.
La politica turca di proiezione estera deve fare i conti con 4 fronti: il blocco occidentale, il medio oriente (con i Curdi che sono la “passione” del governo turco), il Centro Asia e come detto in ultima parte il gruppo caucasico. Ognuna di queste aree ha ovviamente attori regionali (Iran, Israele, Armenia, Arabia, Iraq, Siria) e i grandi fratelli come Usa, Russia e in via più defilata Europa e Cina. La politica turca è stata un poco erratica, in un movimento continuo per cercare di allargare i suoi interessi regionali senza scontentare i grandi fratelli (da cui dipendeva per supporto finanziario tramite investimenti privati e approvvigionamento energetico). Il risultato è, per dirla in modo semplice, un grande casino.
Sul fronte Medio orientale, per esempio, la partecipazione della Turchia al conflitto Siriano e la Guerra contro Isis è stata spesso ambigua. Quando la Turchia scese in guerra contro Isis (che molti suggerivano in precedenza trovare un appoggio sul fronte turco) i primi a farne le spese non furono i terroristi dell’Isis, ma i Peshmerga Curdi (alleati con gli USA contro ISIS) che si trovarono bombardati dall’esercito turco. Sul fronte Siriano egualmente la Turchia è stata ambivalente prima supportando il crollo di Assad (che aveva come supporto Iran e Russia) poi divenendo un tiepido sostenitore. Il tutto per una ragione semplice.
Una carenza di risorse energetiche domestiche
La Turchia, infatti, per sostenere le sue industrie necessita di approvvigionamento energetico che non può trovare in patria. Come mostra il grafico ripreso dall’ufficio statistco turco la crescita di domanda energetica è cresciuta molto velocemente.
Di qui una serie di alleanze per assicurarsi, per esempio, una fetta di energia dalla pipeline Baku (Azerbaijan) Tiblisi (Georgia) Ceyhan (Turchia) o BTC.
Nella guerra delle pipeline petrolifere (il BTC è sulla rotta caucasica) si innesta quella del Gas. Di qui le tensioni tra Turchia e Iran / Iraq per avere più metri cubi. Se osserviamo l’analisi dell’università di Oxford (dati del 2016) Russia e Iran sono i maggiori fornitori di Gas. L’Iran tuttavia ha diminuito le furniture di Gas. Alla Turchia quindi è rimasta la soluzione russa. Non è un caso, forse, che Erdogan, dopo le dichiarazioni di Trump (che comunque non erano legate alle furniture di Gas) sian andato a chiamare subito Putin.
Putin del resto è un alleato peculiare: prima, nel conflitto siriano, era in opposizione alla Turchia (in origine parte dell’alleanza Usa, Ue e ribelli siriani assortiti per deporre Assad). La stessa tv russa RT era arrivata ad affermare che la Turchia commerciava alla luce del sole con ISIS (stessa posizione abbracciata da Israele). Dopo una serie di bombardamenti strategici russi, che hanno tagliato le line dei trafficanti di petrolio che portavano l’oro nero in Turchia (il governo ha sempre ribadito che non era a conoscenza della cosa), Erdogan ha trovato opportuno aprirsi a Putin. Tutte queste operazioni hanno portato beneficio alla popolazione turca? Non molto.
In vero la continua oscillazione in politca estera turca ha non poco confuso gli alleati storici (occidente) irritato i potenziali alleati locali (Iran Iraq) e il grande fratello russo.
Una bolla di credito facile da investimenti stranieri
In aggiunta a questo scenario internazionale si sviluppa (e degenera) quello finanziario. La Turchia, con una veloce crescita negli ultimi anni, sembra che abbia favorito i mercati finanziari e la speculazione facile (per esempio gli immobili quali mondo retail, edilizia familiare etc.) rispetto alla produzione e investimenti in infrastrutture.
La domanda viene naturale: chi ha finanziato queste importazioni?
L’Europa, o meglio le banche europee, hanno trovato interessante finanziare prestiti brevi e mutui immobiliari rispetto (ma non voglio sembrare troppo sovranista) e usarli per supportare la crescita nelle rispettive nazioni. Le tre banche più impantanate sono tre realtà di tre nazioni che hanno una crisi economica non indifferente: Unicredit per l’Italia, Bnp Paribas per la Francia e Banco di Bilbao per la Spagna.
L’indebitamento delle aziende e i cittadini turchi è stato un piccolo ciclo economico che, per certi aspetti, non ha nulla da invidiare alla crisi finanziaria americana del 2006-2008.
Se osserviamo lo spaccato qui sopra, possiamo notare che, aggregando alcuni dati, otteniamo che i settori che possono creare un volano velocemente grazie a credito facile (immobiliare come wholesale and retail, hotel and restaurant, real estate, financial etc.) costituiscono un blocco primario degli investimenti stranieri nell’economia turca (seguiti dal settore manufatturiero, come abbiamo detto ad alto consumo energetico).
Le banche turche, incluse le tre possedute dalle banche europee sopra mezionate (e molte altre, tra cui una forte presenza tedesca ad osservare le percentuali di seguito) sono esposte a prestiti in valuta straniera che le aziende turche trovano difficile ripagare a causa del collasso della lira.
I crediti deterioriati (bad loans) nel sistema bancario turco “si dice” siano circa il 3%. Ma numerosi media riportano che vi siano ulteriori debiti ristrutturati che potrebbero raggiungere il 10% totale. Una cifra preoccupante. Parlando delle banche europee, come riporta Reuters, gli spagnoli della BBVA sono esposti per circa il 14%. Unicredit, tramite la sua unità Yapi Kredi, è sotto osservazione di Goldman Sachs, che vede l’istituto italiano a rischi essendo Kredi, come spiega GS, il più esposto in termini di capitalizzazione. Bnp appare “sotto” di circa 1,1 miliardi di euro.
Dove sono finiti i soldi che le banche straniere e turche hanno prestato/investito in Turchia. La bolla dei consumi privati tra case, auto e oggetti di consumo è esplosa negli ultimi 15 anni. Il grafico sotto riporta l’indebitamento e la crescita del credito al consumo. Non ci vuol molto a comprendere che la crisi turca attuale ha dei sottostanti ben definiti che sono figli di almeno 15 anni di finanza “allegra”.
Società e politica domestica
A questi aspetti si sono aggiunti una serie di tentativi turchi di affermarsi come faro della civiltà mussulmana moderata (sunnita). Di qui una serie di scelte, in politica domestica, che hanno non poco indispettito la popolazione. Una tra tutte una crescente enfasi sul tema della religione. Per quanto la Turchia sia laica la presenza della religione è pur sempre vitale. La differenza tra la Turchia peninsulare ed occidentale (Istanbul) ha portato, tra le altre cose, agli scontri di piazza Taksim. Scontri nati per motivi legati a speculazione immobiliare ma ben presto divenuti un caso sociale ed economico. E’ da notare che molti investimenti stranieri sono finiti proprio nella area di Istanbul, considerate dagli stranieri come una città completamente europea ( e quindi facilmente, all’apparenza almeno, comprensibile per un occidentale)
Non è difficile immaginare che la popolazione di Istanbul si sia sentita fortemente tradita da una serie di scelte di Erdogan (dal velo ai divieti all’uso di alcool nella città), questo “tradimento percepito” ha creato fratture crescenti tra quella che possiamo definire la Turchia laica e la crescente (per importanza) Turchia islamista e populista. Tensioni che hanno di fatto generato delle crepe sia nella società civile che nella società militare. Il grande apparato militare turco, in effetti, è sempre stato un organo ombra, che tutelava (e controllava) la laicità e la visione di Ataturk. Una tensione che è andata crescendo ed è sfociata nel tentato golpe contro Erdogan di un paio di anni fa. Erdogan ha approfittato della situazione con una serie di azioni legali e militari da fare invidia alle purghe staliniste. Migliaia di dipendenti pubblici (tra militari e civili) licenziati e arrestati. I vertici dell’esercito decapitati ed “epurati”.
Le tensioni tra Turchia e altri membri dell’unione europea (prima tra tutti la Germania) stanno rendendo i rapporti molto instabili (per quanto nelle ultime ore Erdogan abbia tessuto le lodi dei capi di stato europei a partire dalla Merkel, a giudicare dal grafico sottostante sugli investimenti tedeschi in Turchia, difficile non comprendere la ragione).
Dulcis in fundo le uscite sovraniste (quelle che sono divenute subito il ritornello perfetto per i media europei e italiani che supportano le frange globaliste) di Erdogan che tirano in ballo Allah e la salvezza della nazione chiedendo ai cittadini di convertire le valute estere in lira, (oro, preziosi etc.) stanno creando il panico tra la popolazione, che, facilmente influenzabile, sta diventando molto nervosa.
Non è quindi una sorpresa se, a fronte di una serie di dichiarazioni “forti” di Erdogan, le banche (specialmente quelle occidentali) si siano terrorizzate cercando di salvare il salvabile. Un timore che sembra attanagliare gli istituti finanziari è se la Turchia (e i suoi cittadini e aziende) possa ripagare i suoi debiti.
Che Erdogan sia sovranista non mi pare un segreto. Che la crisi turca sia stata causata dal sovranismo è una osservazione piuttosto esagerata. La crisi turca sembra essere figlia di una speculazione finanziaria e investimenti “allegri” che ricordano molto la bolla finanziaria americana che ha prodotto la grande crisi esplosa nel 2006-2008.
Trovami su Linkedin