categoria: Res Publica
Il non detto sul decreto dignità e gli avvertimenti del Consiglio di Stato
L’autrice di questo post è Vitalba Azzollini, giurista. Lavora presso un’Autorità di vigilanza. Scrive (a titolo personale), tra gli altri, su Lavoce.info, Phastidio.net e Istituto Bruno Leoni –
Nei giorni scorsi si è parlato molto delle norme del “decreto dignità” in tema di lavoro. Il profilo più rilevante attiene agli impatti del decreto o – meglio – alla loro assenza nel documento preposto ad esplicitarli: la relazione di analisi di impatto della regolamentazione. Di cosa si tratti è ormai noto a (quasi) tutti, ma vale la pena ribadirlo, usando le parole del regolamento – emanato nel settembre 2017 – che ne ha modificato la disciplina:
“Obiettivo dell’AIR è quello di offrire, nel corso dell’istruttoria normativa, attraverso un percorso trasparente di analisi, basato sull’evidenza empirica, un supporto informativo in merito all’opportunità e ai contenuti dell’intervento normativo”.
Il nuovo regolamento presenta molti profili innovativi: in particolare l’obbligo di predisporre una relazione sugli impatti anche per i decreti-legge. Invece, ai sensi della disciplina previgente, si poteva chiedere l’esenzione dall’AIR al Dipartimento Affari Giuridici e Legali (DAGL) della Presidenza del Consiglio, tra l’altro, per casi straordinari di necessità ed urgenza.
Il regolamento AIR prevede anche regole di trasparenza: “la relazione AIR che accompagna i decreti-legge, verificata dal DAGL, è trasmessa al Parlamento e pubblicata sul sito istituzionale del Governo”. Ma la relazione AIR riguardante il “decreto dignità” non si trova sul sito indicato, né tra gli allegati al decreto trasmesso in Parlamento, pubblicato sul sito della Camera completo di altre relazioni, ma non di quella sugli impatti. E risulta rimosso dal sito del governo il contenuto del link inerente alla valutazione che di tale relazione dà il Nucleo AIR presso il DAGL (anche se sul web è reperibile comunque). Circa tale relazione, il Nucleo AIR scrive che
“non dà conto dell’impatto sociale ed economico del provvedimento sui destinatari. Essa, infatti, non fornisce informazioni né sul numero e la tipologia di destinatari, né sui costi di adeguamento e sui benefici attesi per lavoratori e imprese che deriveranno dall’attuazione delle nuove disposizioni”.
Ma nella relazione AIR non solo mancano gli impatti: anche gli obiettivi del legislatore non vengono indicati chiaramente. A parte il generico “contrasto al precariato”, il DAGL afferma che gli obiettivi specifici coincidono “con i contenuti dell’intervento” cioè “con gli strumenti individuati (…) per affrontare le criticità e realizzare gli obiettivi”. In altri termini, la relazione fa coincidere i fini con i mezzi. Quali sono le conseguenze?
È lo stesso Nucleo AIR a dirlo: senza finalità chiare è difficile elaborare indicatori di risultato, quelli che servono a verificare se una legge ha “funzionato”. Gli indicatori definiti dal governo sono “insufficienti” – dice il Nucleo AIR – pertanto arduo sarà svolgere “un’efficace azione di monitoraggio e una successiva, eventuale valutazione a posteriori dell’intervento”. E questo è un problema rilevante che, in generale, impedisce la manutenzione della regolamentazione: non sapere mai quali regole hanno prodotto benefici e quali, invece, solo danni, e quindi vanno modificate o eliminate.
Detto tutto questo, e tornando agli impatti, colpa del ministro del Lavoro, che non stima quelli delle proprie norme? La risposta è nel parere del Consiglio di Stato (giugno 2017) sul nuovo regolamento AIR sopra citato. Circa i decreti-legge, usati in casi di necessità e urgenza – casi che non ammettono dilazioni – i giudici dicono che
l’effettuazione dell’AIR, nella migliore delle ipotesi, si rivelerebbe del tutto superflua, posto che essa inevitabilmente si limiterebbe a una surrettizia giustificazione di scelte politiche già assunte; nella peggiore delle ipotesi, invece, l’AIR rischierebbe di pregiudicare la rapidità dell’azione normativa del Governo. Se, invece, i decreti-legge fossero preceduti da un’AIR svolta in modo approfondito e per un tempo adeguato, potrebbe dubitarsi perfino della sussistenza dei requisiti prescritti dalla Costituzione per la loro emanazione e, dunque, della loro legittimità costituzionale.
In altri termini, il Consiglio di Stato è molto critico sulla scelta dell’obbligo di AIR per i decreti-legge: essa rischia di tradursi in una farsa o, alternativamente, nella palese dimostrazione che una farsa erano la necessità e urgenza, che dei decreti-legge sono i presupposti. Ciò può giustificare il titolare del dicastero del Lavoro per le carenze della relazione AIR del proprio decreto? Non sembra affatto, poiché a quanto sopra detto i giudici pongono un’unica eccezione, cioè quella
“di un problema sociale o economico, lungamente studiato dal Governo, che, a causa di sopravvenienze, si trasformi in un’urgenza (…): in questo caso l’emanazione di decreti legge sarebbe correttamente sostenuta da un’AIR adeguata”.
Questo pare proprio il caso del “decreto dignità”. Da lungo tempo, infatti, esponenti del governo attuale dichiaravano necessario un intervento sul Jobs Act, e l’avevano pure esplicitato nel contratto del “governo del cambiamento”: quindi, evidentemente, da altrettanto tempo lo stavano studiando. Pertanto, ci si sarebbe potuti aspettare “un’AIR adeguata”, per usare le parole del Consiglio di Stato. E allora, perché la relazione sugli impatti del “decreto dignità” non la è? Perché tra il discettare di interventi quando si è all’opposizione e lo stimarne puntualmente gli effetti in relazioni di supporto ad atti normativi c’è un abisso: abisso che misura la distanza fra le promesse politiche e la loro attuazione.
Serve talento per dolersi sempre ex post di provvedimenti normativi che non raggiungono i risultati sperati, anziché valutarne ex ante gli effetti, come previsto. A proposito, nel parere del Consiglio di Stato sopra menzionato c’è ancora un’utile notazione, già conosciuta a chi si occupa della materia: quanto ad analisi di impatto della regolamentazione, tutti i governi sono stati finora gravemente superficiali, e i giudici di palazzo Spada ne espongono le carenze. Dunque, nessun politico si senta assolto: per completezza, è necessario dire pure questo.
Twitter @vitalbaa