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Ma quale Brexit, ecco come una frenata cinese rischia di far male al Pil inglese
Chi teme gli esiti della Brexit sull’economia britannica, si stupirà osservando quanto potrebbe nuocere a Londra uno slump di quella cinese, peraltro ormai quotidianamente bersagliata da Trump, che con ogni probabilità neanche sospetta che rischia di danneggiare il Regno Unito (UK) con le sue politiche anti cinesi. I pericoli di contagio che l’economia britannica può subire da quella cinese sono bene illustrati nell’ultimo bollettino trimestrale della Bank of England dove si osserva che la Cina è stata protagonista di un boom creditizio che si è connotato per essere uno dei “più ampi e duraturi mai osservati”. L’ampliarsi del ciclo finanziario cinese non poteva essere senza conseguenze per un paese come l’UK che sulla finanza ha costruito la sua fortuna. Esistono anche canali commerciali, ovviamente. Ma i legami diretti della Cina con l’UK sono di piccola dimensione – solo il 4% dell’export UK va in Cina – e quelli indiretti, mediati dall’eurozona, sono importanti ma tutto sommato gestibili. E’ sul versante finanziario che il collegamento fra Cina e UK, per il tramite di Hong Kong, che rende molto concreto il rischio di contagio. Ecco perché un hard landing cinese rischia di danneggiare sostanzialmente l’Uk.
Sarebbe strano il contrario. Un’economia come quella cinese, che ormai rappresenta il 15% del pil mondiale (era appena il 2% nel 1990) non può sgonfiarsi troppo senza fare grossi danni ai suoi partner. Questa crescita è stata alimentata da un boom creditizio notevolissimo, come si può osservare su questo grafico che paragona i prestiti al settore privato sul pil cinese con altri episodi simili finiti poi malissimo.
Una crescita che secondo la BoE ha condotto alla formazione di tre caratteristiche dell’economia cinese assai peculiari: un sistema finanziario alquanto “complesso e opaco”, un notevole dipendenza dal settore edilizio e un rischio di fughe di capitale in tempo di stress. Da qui i timori, mai del tutto dissipati, di uno sgonfiamento improvviso dell’economia cinese, che si sono acuiti dopo l’aumento delle tensioni con gli Usa. A tal proposito è molto utile osservare quest’altro grafico che fotografa lo stato dell’interconnessione commerciale fra la Cina e il resto del mondo.
Soprattutto è opportuno ricordare che la Cina è uno straordinario consumatore di materie prime, al punto che ormai Pechino sta lavorando sempre più seriamente per avere una crescente visibilità, e quindi potere di influenza, in questi mercati. Si pensi al petroyuan.
A fronte di questa importanza rilevante nella cosiddetta economia reale, la Cina ha ancora un peso specifico ridotto nel sistema finanziario globale. “La quota cinese di partecipazione alle attività e passività globali sull’estero rimane bassa, al 5% e al 3%, rispettivamente. – riporta la BoE. In confronto, la quota USA è molto più alta, rispettivamente del 18% e del 23%”. Quest’altra peculiarità viene confermata se guardiamo anche il grafico dei collegamenti bancari della Cina col resto del mondo, assai meno significativi di quelli commerciali.
Ed è qui che viene fuori che la Cina partecipa al sistema bancario globale in buona parte indirettamente tramite Hong Kong. Ma soprattutto emerge che le banche inglesi sono collegate sia direttamente che indirettamente a quelle cinesi con una esposizione rilevante.
In sostanza l’UK ha un’esposizione superiore a quella congiunta di Usa, Giappone, Eurozona e Corea del Sud, malgrado la sua economia sia appena un quindicesimo di quella rappresentata dalla somma di questi paesi. Questo spiega bene perché la BoE monitori con tanta attenzione lo stato di salute della Cina. Questi legami contribuiscono a spiegare perché uno calo del pil cinese del 10% costerebbe ai britannici a 1,3-1,4% di pil minimo, visto che i meccanismi di amplificazione collegati al canale finanziario possono arrivare a raddoppiare questa perdita di prodotto. Altro che Brexit. Forse più che negoziare con l’Ue la May dovrebbe fare due chiacchiere con Trump.
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