Brexit a una svolta. Ecco i passaggi più delicati per l’economia

scritto da il 26 Giugno 2018

Pubblichiamo un post di Mario Angiolillo, direttore dell’Osservatorio Relazioni EU-UK-USA di The Smart Institute. Esperto di tematiche geopolitiche e di relazioni internazionali, svolge attività di advisory per diverse società con particolare riferimento agli impatti e alle opportunità offerte da Brexit

La riunione del Consiglio Europeo del 28-29 giugno rappresenta uno step essenziale, seppur ancora non decisivo, del percorso che porterà nel marzo 2019 all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, avendo all’ordine del giorno il completamento della discussione sull’accordo di recesso ai sensi dell’art. 50 del trattato sull’UE e l’avvio della discussione sulle future relazioni tra le parti per il dopo Brexit.

Un dibattito estremamente importante alla luce delle conseguenze che l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea potrà avere sull’economia globale e quindi sull’economia degli Stati membri, Italia inclusa.

Il Consiglio Europeo del 22-23 marzo scorso ha già approvato l’intesa di massima raggiunta tra i negoziatori della Commissione Europea e del Regno Unito su larga parte dell’accordo di recesso, ed in particolare sul mantenimento dei diritti acquisiti dai cittadini Europei residenti nel Regno Unito e viceversa, e sul mantenimento degli impegni finanziari assunti dal Regno Unito per il bilancio dell’Unione 2014-2020.

I punti salienti dell’intesa sono rappresentati dalla decisione di conferire un nuovo status ai cittadini europei che risulteranno essere residenti nel Regno Unito da prima della data fissata per l’uscita dall’UE, con riconoscimento dei diritti acquisiti e reciproco riconoscimento per i cittadini britannici residenti negli Stati membri dell’Unione.

Per quanto attiene invece all’accordo finanziario è stato convenuto che il Regno Unito contribuirà all’attuazione dei bilanci annuali dell’Unione Europea per gli anni 2019 e 2020 come se fosse rimasto nell’Unione e riceverà una quota di tutti i benefici finanziari che sarebbero ricaduti su di esso se fosse rimasto uno Stato membro.

È stato inoltre trovato un accordo di massima sulle operazioni di cooperazione in tema di sicurezza e sulle procedure giudiziarie ancora in corso alla data fissata per Brexit. Resta invece ancora da definire, è questo sarà uno dei temi focali del prossimo Consiglio Europeo, il tema del confine tra Irlanda del Nord e Repubblica di Irlanda, nel tentativo di individuare una soluzione che eviti la costituzione di un “hard border” e che non stravolga gli storici accordi del “Venerdì Santo” in termini di libertà di movimento e di diritti di cittadinanza dei cittadini irlandesi.

Il punto, ma non è l’unico, è talmente controverso da far temere che l’intero accordo possa naufragare, tanto che in queste settimane che precedono la riunione del Consiglio Europeo, sia alla Camera dei Lord che alla Camera dei Comuni è in corso un serrato dibattito su quale dovrebbe essere il ruolo del Parlamento Britannico nel caso in cui si arrivasse al marzo 2019 senza un accordo.

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Seconda parte del dibattito all’ordine del giorno, che si terrà verosimilmente il 29 giugno, è quello sulle future relazioni nel dopo Brexit.

La gamma delle possibilità, e delle posizioni in campo, è molto vasta a spazia dalla Hard Brexit, con l’uscita senza un accordo, al referendum sull’eventuale accordo che nelle intenzioni dei promotori dovrebbe aprire la strada in caso di bocciatura ad una marcia indietro dalla Brexit.

In realtà le soluzioni più probabili sembrano essere tre:

la realizzazione di un Free Trade Agreement sul modello svizzero, con la negoziazione di trattati commerciali settore per settore;

la permanenza nell’Unione doganale, che manterrebbe la situazione attuale in termini di regolamenti per gli scambi commerciali ma determinerebbe una situazione in cui il Regno Unito non avrebbe voce in capitolo nella politica commerciale dell’UE pur dovendo rispettare le condizioni di ogni accordo che l’UE dovesse raggiungere con un Paese terzo;

il modello norvegese con l’ingresso del Regno Unito nell’European Economic Area che ne determinerebbe il mantenimento dell’accesso al mercato unico continuando a contribuire al budget europeo, soluzione che al momento sembra essere la meno probabile;

Allo stato sembra esserci la volontà di trovare un accordo equo ed efficace nell’interesse di ambo le parti per garantire la continuità di proficui rapporti di partnership economica e commerciale, lo dice il capo dei negoziatori europei Michel Barnier e lo dice la premier britannica Theresa May.

E l’opportunità del raggiungimento di un buon accordo è certificata dai numeri che descrivono l’entità dei rapporti commerciali intercorrenti tra Unione Europea e Regno Unito: circa 600 mld di euro di scambi commerciali nel 2015, secondo fonti dell’Office for National Statistics, e oltre 650 mld nel 2016. E lo stesso dicasi per l’Italia che esporta verso il Regno Unito 23 mld di euro per un ammontare complessivo di scambi commerciali pari a 42 mld di euro annui. Un buon accordo è possibile e auspicabile, e l’esito del Consiglio Europeo del 28-29 giugno ne sarà un’importante cartina al tornasole.

Twitter @DottAngiolillo