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La speculazione colpisce chi si mostra debole e incompetente. De Gasperi lo sapeva
Non è così semplice entrare nel merito e prendere posizione sullo scontro che si è consumato domenica 27 maggio fra il capo dello Stato e i partiti che detengono la maggioranza relativa in Parlamento e prendere una posizione. Gli studi giuridici portano a propendere per il supporto alla condotta del capo dello Stato, sia per una questione formale (spetta a lui la nomina dei ministri), ma soprattutto per ragioni di metodo. La scelta di un nome non gradito al Presidente non può portare ad uno scontro frontale, teso a voler dimostrare la supremazia di un potere su un altro, senza un tentativo di mediazione o di negoziazione. Perché ciò comporta inevitabilmente l’irrigidimento dell’istituto della presidenza. Detto in termini ancora più semplici, non si può sfidare il capo dello Stato sulle sue prerogative in materia plateale, davanti agli occhi della nazione e del mondo.
Così Meuccio Ruini, presidente di quella Commissione dei 75 che elaborò il progetto di Costituzione: «(…) nel nostro progetto il Presidente della Repubblica non è l’evanescente personaggio, il motivo di pura decorazione, il maestro di cerimonie che si volle vedere in altre costituzioni (…) il capo dello Stato non governa, la responsabilità dei suoi atti è assunta dal primo ministro e dai ministri che li controfirmano; ma le attribuzioni che gli sono specificamente conferite dalla Costituzione e tutte le altre che rientrano nei suoi compiti generali, gli danno infinite occasioni di esercitare la missione di equilibrio e di coordinamento che gli è propria» (enfasi aggiunta).
Ma a cosa serve trovare il quasi scontato appoggio dei costituzionalisti, se poi il Paese non riesce a comprendere l’importanza e la delicatezza del tema? La Costituzione appartiene a noi tutti, decodificarne il linguaggio giuridico assume dunque una valenza pregnante per la sua longevità ed efficacia. Perché se non si spiegano le motivazioni che portano a giustificare i comportamenti del Presidente in termini chiari, semplici e – soprattutto – a mostrarne la convenienza nell’interesse del cittadino, il tutto sembrerà lontano, non comprensibile, finanche nemico.
Il vero problema di fondo è che sussiste e si allarga un sentimento diffuso di inutilità del voto democratico, molto grave. Dipende da una limitata conoscenza del nostro sistema, dagli esempi più noti che vengono dall’esterno (i sistemi elettorali statunitensi e francesi in particolare) e da leggi elettorali a volte scritte con uno sguardo rivolto alle sole prossime elezioni. Ma, soprattutto, dipende dalla sensazione che i destini del nostro Paese vengano decisi altrove, dall’Ue, dai mercati finanziari o da altre figure non determinate.
La verità è che le crisi finanziarie, soprattutto quelle non relative a fondamentali economici, vanno affrontate con istituzioni forti e non delegittimate agli occhi della popolazione.
Ma come dovrebbe reagire uno statista di fronte ad una difficile situazione finanziaria?Nemmeno ad Alcide De Gasperi piaceva la speculazione. Nell’aprile del ’47, in un discorso alla radio divenuto celebre, l’allora Presidente del Consiglio sfogò la sua frustrazione per la difficile situazione finanziaria che il Paese stava vivendo.
«Un soffio di panico e di follia passa attraverso certi strati del Paese (…) In mezzo a codesta folla sciocca la speculazione freddamente speculatrice gioca al rialzo, nasconde le merci, trafuga all’estero valute e gioielli, attende in agguato la crisi nella criminosa speranza di farsi ricca nella miseria generale e di valorizzare i propri beni pagando i debiti e i servizi con carta straccia. (…)».
Parole dolci come il miele per i tanti narratori odierni da talk-show e da tastiera, politici e non. Ma fermarsi alla cause esterne, vere o presunte, e farne un giustificativo interno, rappresenta la ricetta di chi non mira a tutelare gli interessi dei cittadini e chi di ha lo scopo di ergersi come salvatore della Patria contro il nemico da incolpare, finendo per ingannare, per finalità politiche o economiche, una popolazione in difficoltà.
Diverso l’approccio di De Gasperi,“trentino prestato all’Italia”, che – pur biasimando la speculazione finanziaria ma sapendo che la stessa colpisce chi si mostra debole e incompetente – trasferiva al popolo via radio il suo senso di responsabilità e invocava quello altrui.
«(…) Ma si tratti del presente Governo o di un altro qualsiasi, la verità è che nessuno può fare miracoli. La presente crisi economica è, alla base, crisi di sfiducia: di sfiducia non nei pochi uomini che stanno al Governo, ma nella forza del popolo italiano di riaversi dai disastri del dopoguerra. Questa crisi non può essere superata se gli organi naturali della vita economica, cioè gli istituti economici finanziari, le categorie degli industriali, (datori di lavoro ed onerai) e degli agricoltori (proprietari, compartecipanti o braccianti), dei commercianti, degli artigiani, e la stampa, che ne rappresenta gli interessi o le direttive, non si stringono intorno al Governo, questo o un altro che sia, per uno sforzo comune e solidale e non si propongano di mettere ordine in casa nostra, di difendere la moneta e guanto resta del patrimonio nazionale, sopportando proporzionalmente alla propria possibilità i sacrifici necessari. (…) Spero, anzi credo, sicuramente, ohe la grandissima maggioranza di queste categorie vedano chiaro e sappiano che con l’inflazione non si salva nessuno. Può essere che qualche singolo industriale mal consigliato e male avveduto accarezzi la sperarla che in ogni caso un suo impianto si salverà, e che qualche contadino si illuda che nessuno gli porterà via i buoi dalla stalla. Ma si ingannano entrambi. L’inflazione non è il disastro finale; è appena l’inizio della miseria, che porta all’anarchia, alla confisca o alla dittatura. Gli egoisti pagheranno per i primi (…) Di fronte al problema del risanamento finanziario, dell’approvvigionamento dei viveri e delle materie prime e al problema della vita stessa delle classi lavoratrici di tutto il popolo italiano, è necessario opporre a quello che i pavidi considerano fato inesorabile la concordia attiva di tutte le parti e di tutte le forze vive. Badate bene: se saremo concordi non saremo soli».
Dalle parole ai fatti, di lì a poco De Gasperi affidò le chiavi dell’economia a Luigi Einaudi, già Governatore della Banca d’Italia e futuro Presidente della Repubblica. Da quel momento partì il risanamento italiano, eccezionale esempio di collaborazione tra politici e tecnici, premiato dagli elettori alle elezioni del’48 e preludio di un lungo periodo di crescita e prosperità di cui ancora oggi ci vantiamo.
Twitter @frabruno88