categoria: Vendere e comprare
Come sopravvivere ad Amazon e agli altri giganti dell’e-commerce, spiegato in breve
L’autore di questo post è Silvano Joly, country manager di Centric Software Italia, che dal 1995 lavora in aziende high tech seguendo il mercato italiano e del Mediterraneo; 52 anni, torinese, si è laureato con una tesi su il Sole 24Ore (L’Italia del dopoguerra attraverso le pagine di un quotidiano economico) e ha conseguito un Executive Master presso LIUC CFMT nel 2012. Fan dell’innovazione e del “networking for work”, si occupa pro bono di alcune startup e aiuta studenti neolaureati nella loro formazione teorica e professionale –
Difficile parlare di e-commerce senza premettere e ricordare (troppi lo dimenticano) che si tratta pur sempre di Commerce, ovvero vendita, attività che deve essere fatta con margine, al fine di generare profitto, rilasciare dividendi e earning per share, etc … , che il Commerce si fa con Prodotti e che, se tali Prodotti non piacciono ai Clienti, o non sono sullo scaffale (on line o fisico poco importa) al momento giusto, nessuno li comprerà. A mio avviso quindi per sopravvivere occorre anche ragionare sui processi che servono a definire, progettare, acquistare o produrre il Prodotto che si propone al Mercato.
Faccio quindi una premessa ed una riflessione necessaria per scoprire forse la ricetta per grandi e piccoli brand, che desiderino sopravvivere ad un mercato che corre a mille all’ora. Essendo solo un venditore tecnologico, ricorro per darmi un tono a Confucio: “Solo i più saggi o i più stupidi degli uomini non cambiano mai”. E mai più di oggi grandi e piccoli brand sono davanti ad un baratro… come quello che nel 1991 Geoffrey A. Moore descriveva in Crossing the Chasm – libro epocale che tratta il tema dell’adozione di tecnologia ed innovazione da parte delle grandi Aziende ed Organizzazioni.
Nel volume, datato 1991, poi rieditato nel ’99 e nel 2014, Moore teorizzava come i primi a “credere” nella disruptive innovation siano i visionari e gli entusiasti, seguiti dagli early adopter ed infine dai pragmatici, che risultano essere la early majority.
Geoffrey A. Moore – che non ha nulla a che fare con le celebri leggi… – è un professore laureato a Stanford il quale, oltre ad insegnare alla Olivet University del Michigan, ha lavorato in aziende che la tecnologia e l’innovazione l’hanno venduta, tanto per citarne una la Rand Technologies; si è inoltre occupato di consulenza strategica per le aziende e per diversi Venture Capital.
Questo suo libro negli anni ’90 veniva letto (e fatto leggere) in tante aziende, produttrici e utilizzatrici di tecnologia, nelle prime per capire come vendere e nelle seconde per capire come usare cotante tecnologie; personalmente in quel periodo lavoravo in PTC, Parametric Technology Corporation, facevo il VP della divisione grandi aziende e passavo le giornate a spiegare ad aziende manifatturiere top come giovarsi della progettazione 3D, dell’ingegneria collaborativa, della prototipazione digitale e virtuale. Insomma, si buttavano i tecnigrafi, quelli veri e quelli bidimensionali dentro alle workstation, e si passava al tridimensionale, che oggi è diventato una commodity.
Diciamocelo, non era facile vendere innovazione. La tecnologia era sovente vista come un bene di lusso e si preferiva ragionare sulla “cost reduction”, che spesso si realizzava alla buona ovvero tirando il collo ai fornitori di materie prime e semi-lavorati. Il famoso “indotto” che oggi è estinto o è in veloce via di estinzione proprio a causa di queste politiche (Piemonte, Triveneto, qualcuno ricorda?).
Non era tutto sangue e fango. C’erano anche dei diamanti grezzi. Erano visionari: uomini e donne che capivano che l’“abbiamo sempre fatto così” o il “questa è una Ferrari, a noi basta una 500” era in realtà un comportamento negazionista, come quello di chi finge di ignorare che mangiare troppo aumenta i trigliceridi e si illude di stare meglio… poi però basta una corsa per prendere il metrò e ci si ritrova piegati in due dallo sforzo! E così succedeva: c’erano i resistenti (potremmo dire anche i vecchi dentro!) che preferivano i mainframe IBM alle Silicon Graphics e gli innovatori che tornavano da un viaggio in Cummins o in Caterpillar con gli occhi fuori della testa per aver visto sempre meno tecnigrafi tra tanti schermi con modelli 3D perfettamente funzionanti…
A riprova di come fossero quelli tempi particolari, un gustoso e verissimo aneddoto: durante una sessione di telefonate a freddo (cold call, quasi come nel film Americani, una pratica ormai desueta e persino un poco illegale con le nuove leggi sulla privacy…) ai potenziali clienti, ai quali vendere il CAD tridimensionale (3D), il direttore tecnico di una delle più belle realtà novaresi dell’epoca fraintese 3D con 3 dì (giorni) e mi disse: “Ma quale tre dì? Noi qui si lavora anche il sabato!”. Ecco, lui era come il generale nella vignetta (qui sopra) che “non avendo tempo per ascoltare” perse un’occasione di evoluzione. E probabilmente la battaglia… l’azienda novarese, infatti, oggi è un capannone di Amazon…
Lo ammetto mi sono un poco, anzi tanto, dilungato, ma era importante per comprendere la situazione in cui ci troviamo oggi: nel mondo moda quanto nel mondo retail. Secondo me, anche se è passato un quarto di secolo il caro “Crossing the Chasm” è sempre attuale, anzi attualissimo. Dal 2011 seguo meno il manufatturiero e lavoro al 99% con aziende Fashion, Consumer Goods, Retail, la cosiddetta “Alta Gamma”, e vedo – ahimè – la storia ripetersi. Tale e quale.
“Nihil sub sole novum”: solo che in questi mercati le dinamiche competitive che hanno ribaltato ad esempio il mercato dell’Automotive nel ’90 arrivano con anni di ritardo, quasi 20. Questo relativo ritardo è un ottimo alibi per chi crede di poter fare a meno dell’Innovazione e vincere la scommessa del mercato e del Commerce, che con la “e” o senza resta sempre commerce. L’ho già detto ma giova ripeterlo, in quanto questo è un mondo tutto diverso.
Ancora un esempio: negli anni ’90 c’erano 10 costruttori di auto, Kia e Hyundai venivano guardate con un sorriso di scherno a Mirafiori, Tesla manco ce la immaginavamo. E se volevamo una maglietta polo? 3-4 marche: Lacoste, Fila, Sergio Tacchini. Robe di Kappa per i torinesi come me … oggi se vogliamo una maglia abbiamo almeno 150 loghi e 100 siti su cui navigare… Ma restiamo all’oggi. Io faccio il Country Sales Manager, in italiano potrei dire che sono un Connesso Viaggiatore… vedo circa 10 aziende alla settimana e ho un sacco di storie vere e vissute da raccontarvi come quella del 3D e della settimana corta.
La settimana scorsa, ad esempio, ho incontrato un executive che ha passato 75 minuti di riunione a rintuzzare ogni singola mia proposta e referenza di innovazione…
“Best Seller ha deciso di usare il PLM (Product Lifecycle Management) per pianificare, creare collezioni e ottimizzare il lavoro di design e sviluppo nei vari marchi oltre che avere un maggior controllo sulla velocità di sviluppo dei prodotti e sugli aspetti di collaborazione con i vendor” … “Sì, ma noi siamo produttori” … “ Abbiamo appena rilasciato una tecnologia di touch screen che agevola il lavoro dei designer e dei product manager” … “ Ho visto la stessa cosa in fiera a Londra la scorsa settimana da un tuo concorrente” … e così via …
Alla fine mi sono arreso e certo di rendere un servizio all’umanità ed all’industria del Fashion “Italo-Francese” – gli ho prestato la mia preziosa copia originale del ’99 di Crossing the Chasm! Spero lo legga e si trovi descritto almeno tra la late majority e non proprio i laggard (ritardatari).
Ancora oggi infatti nel mondo della moda, molti sono ancora convinti che la tecnologia si possa scindere dall’innovazione e che si possa risolvere il tema dell’efficienza con metodi scelti non per i loro contenuti ma perché “all’interno della propria confort zone”. La loro resistenza può costare molto molto cara…
Proprio per questo anche i Brand devono uscire dalla propria comfort zone per sopravvivere e andare là dove il mondo comincia ed accettarne le sfide, in primis quella di dotare le aziende del bagaglio di tecnologia e know-how utile e necessario a competere con i “giganti dell’e-commerce” ovvero coloro i quali stanno sparigliando le carte e cambiando le regole del gioco del “commerce”. Che essendo commercio vive della regola “comprare (produrre) bene e vendere meglio”.
Questa semplice equazione è l’esercizio di back to the basics che Brand della moda e Alta Gamma dovrebbero tornare a fare, i clienti infatti possono essere influenzati ma oggi sono abbastanza scaltri nell’individuare e scegliere un outfit o un accessorio e poi cercarlo on site, oppure on line, al prezzo e della marca che sentono come più adeguati sia nel rapporto prezzo/qualità che naturalmente per la disponibilità. Un altro esempio pratico: i meccanismi del fast fashion portano le stagioni fino a 52 (cinquantadue!) per anno. Se un’azienda vuole esserci e vendere deve lavorare sul just in time, ridurre il time-to-market e costruire una macchina organizzativa, produttiva, logistica perfettamente integrata, sincrona e collaborativa capace di sfornare quello che la gente vuole, quando la vuole, al prezzo giusto. Naturalmente guadagnandoci.
Per fortuna c’è anche chi è uscito dalla comfort zone per lanciarsi con coraggio, budget, personale valido e valoroso in un percorso di aumento della potenza commerciale e della capacità operativa, organizzativa, produttiva. Ad esempio un mio cliente, Buccellati, che prevede di “aprire entro i prossimi cinque anni 88 nuovi negozi nel mondo e portare l’azienda a decuplicare le proprie dimensioni”, come afferma Gianluca Brozzetti, CEO del Gruppo, ha effettuato importanti investimenti in tecnologia, fra cui una soluzione ERP (Enterprise Resource Planning), un software specifico per la vendita al dettaglio e nel 2018 anche un sistema per lo Sviluppo prodotto (PLM). Con il quale traccerà ogni fase del prodotto a partire dalla sua creazione, con accurate descrizioni e analisi dei costi, generando istantaneamente rendiconti mensili per l’analisi dei margini di profitto, collegando la sezione retail allo sviluppo dei prodotti, ivi inclusa la possibilità per i rivenditori e i singoli clienti di consultare su tablet cataloghi digitali connessi al PLM.
Intanto tanti altri, forse troppi, si crogiolano nel tepore dei margini sontuosi (detti anche grasso che cola) della brand reputation (leggasi vacche grasse), che hanno permesso di tollerare incapacità di programmare produzione e costing e di fidelizzare clienti, facendo scambiare una lista d’attesa per valore aggiunto. Per me “it’s all over now”: se un cliente non trova una borsa la compra di un’altra marca e la relativa evoluzione del cliente lo porta a cercare la qualità vera, non solo il blasone di un brand.
E lo dicono i numeri: le trimestrali di tante aziende “top”, specie italiane, dicono: “Bene i risultati ma XYZ pesa sui ricavi”, questo vuole dire una cosa sola: l’azienda non sa quanto sta pagando un prodotto, non sa a quanto lo doveva vendere (target price) ovvero “non sta comprando (producendo) bene per vendere meglio”. Di fatto, scomodando di nuovo il latinorum: certe aziende sono deficienti, mancano di qualcosa che possa supportare le loro scelte decisionali.
Un’altra scorciatoia/errore molto diffusa è il “calcio mercato”: c’è anche chi va avanti assumendo e licenziando C-level. Ancora peggio: solo stabilità e programmazione, magari con il coraggio di farsi fare un serio check up da una società di consulenza, sono la ricetta sicura per avere un piano di fuga, anzi di ingresso e trasformazione in un nuovo mondo con nuove regole.
Lo dico avendo visto tanti entrare ed uscire dal Lingotto, piazza Montegrappa, e da tante “belle realtà del Made in Italy” vent’anni fa, come di nuovo oggi vedo passare grandi professionisti “da un brand all’altro” senza avere il tempo – non dico di finire – ma nemmeno di cominciare un piano di trasformazione ed evoluzione digitale che faccia dimenticare quell’“abbiamo sempre fatto così”, mettendo invece in pratica il mantra digitale “Innovate or die” che è la vera pozione di Panoramix 4.0.
Alla base del buon commercio una volta c’era solo il margine. Bastava la capo contabile, (magari la moglie del titolare o la sorella nubile…) che con una bella calcolatrice faceva di conto per vedere se e quanto si stesse guadagnando… anche se poi il conto si tirava alla fine dell’anno, che prima non si capiva, troppa confusione, ma qualcosa si intravedeva… del resto con solo un centinaio di concorrenti era quasi facile.
Ma oggi che per sfornare migliaia di prodotti in centinaia di collezioni la Olivetti Summa non basta, ci vuole qualcosa di più potente ed esteso.
In questo ambito un caso davvero peculiare è YOOX / YNAP che dell’e-commerce è stato a suo tempo pioniere e oggi leader, che nel 2017 ha iniziato rivedere la sua organizzazione per darsi una visione globale della produzione. Proprio con una soluzione non solo votata alla vendita, alla creazione di lead ma capace invece di gestire l’intero ciclo di vita di un prodotto, dal prototipo alla produzione; controllare il divario tra il budget iniziale che abbiamo a disposizione per ogni marchio e il costo reale delle merci ordinate; tracciare il costo dei campioni; e comunicare con i fornitori mediante un formato e una piattaforma standardizzati.
YNAP infatti non è solo il partner di vendita online scelto dai principali marchi della moda e del lusso, ma disegna e produce le proprie Private Label, per un totale che supera le 4.000 SKU (stock keeping unit, o articolo gestito a magazzino) a stagione per conto di una serie di brand diversi. Il loro “asset aziendale” arriva dai 17 anni di esperienza nell’e-commerce della moda di lusso, dalla conoscenza di abitudini e modelli di acquisto dei clienti che da dato si trasforma in conoscenza per offrire prodotti in grado di soddisfare le loro richieste.
Oggi come vent’anni fa il successo nel commercio, e quindi anche nell’e-commerce, è fatto di duro lavoro, organizzazione e ri-organizzazione, investimenti in intelligenza (sia umana che artificiale). Spero di essere riuscito a testimoniarlo con l’esperienza dei miei clienti e personale.
Come diceva Adriano Olivetti, che ha saputo anticipare molte idee, logiche e tecniche organizzative attualissime, “l’Italia procede ancora nel compromesso, nei vecchi sistemi del trasformismo, del potere burocratico, delle grandi promesse, dei grandi piani e delle modeste realizzazioni”. Ma, ahimè, le scorciatoie non esistono. Chi vuole sopravvivere deve sapersi adeguare ed evolvere, attraverso organizzazioni e “continuous improvement” realizzati con risorse adeguate e personale motivato.
Ma non temete, si può fare!
Twitter @sjoly_ita