categoria: Vendere e comprare
Esportare il lusso italiano: soldi e conti. L’importanza cruciale dei dati
Il made in Italy – specialmente il Lusso – è un concetto, più che un prodotto o un servizio. È un modo di vivere e godersi la vita. Molti clienti che possono permettersi questo piacere vivono fuori dai confini patri. Con questa premessa e considerando quanto il comparto del lusso (con la sua filiera) apporta al Pil nazionale risulta necessario comprendere come esportare il lusso made in Italy. Esportare il lusso è una questione molto pratica economica e di produzione. Insomma numeri e soldi.
Ho pensato di dialogare con alcuni attori che possono offrire una visione operativa e di grande respiro a chiunque, tra le medie aziende italiane che ambiscono ad affermarsi come produttori di servizi o beni di lusso in mercati non italiani.
Armando Branchini è vice presidente di Altagamma, la fondazione italiana che rappresenta le aziende del lusso più importanti a livello nazionale. Luca Medici, Ceo e Cfo esperto di brand di lusso con un passato in Calvin Klein e Timberland. Silvano Joly, country manager di Centric, il software che è il sistema “pensante” di tutti i maggiori brandi di lusso e piattaforme relative (da Yoox in poi).
Prima di tutto è bene comprendere quali siano i mercati (singole nazioni o are geografiche) che offrono un miglior rapporto rischio opportunità per il lusso italiano.
“L’opportunità è determinata dalla presenza significativa di consumatori alto-spendenti in un determinato mercato, locali o, meglio, locali più turisti. I rischi possono venire dalle politiche protezionistiche. Dazi alti o sovra-dazi rendono più cari i prodotti importati in un dato mercato. E perciò meno competitivi”, premette Branchini.
“Le imprese Altagamma hanno cominciato ad esportare in Cina dall’inizio degli anni ’90, quando i dazi doganali erano al 90% e la cultura di consumo – nonostante la grande spinta al rinnovamento pubblico e privato di Deng Xiaoping – era ben diversa dall’attuale.
Fino al dicembre 2004 le imprese straniere potevano avere solo la licenza d’Importazione e la licenza di vendita all’ingrosso. Il ministro del Commercio Bo Xilai diede la possibilità di avere anche la licenza di vendita al dettaglio, fino ad allora spettante ad imprese cinesi, commerciali o alberghiere. Ma non c’erano vincoli all’apertura di negozi o di filiali. La Repubblica Popolare Cinese ha aderito al WTO nel dicembre 2001 e all’inizio del 2002 furono significativamente ridotti i dazi doganali, nelle misure tuttora vigenti, che vanno per i beni di consumo Altagamma dal 17% al 35%.
Questo cambiò tutto il quadro mondiale, come si vede dal grafico che segue. Nell’anno 2000 i consumi dei Cinesi, in Cina e fuori, furono meno di 2 miliardi di euro. Nel 2017 furono 84 miliardi di euro. Fu proprio la presenza di negozi e marche italiane ed europee in Cina l’elemento stimolante dei consumi, domestici ed all’estero.
(fonte Altagamma)
Attualmente i negozi monomarca che vendono prodotti delle imprese Altagamma in Cina sono più di 600, in parte gestiti direttamente ed in parte in franchising. Ci sono in Cina rischi-paese particolari? La risposta è negativa. Se si escludono crescenti richieste da parte del ministero delle Finanze di aumentare la parte dei profitti da tassare in Cina.
Per le nuove imprese italiane che intendono entrare ora nel mercato cinese due risorse sono fondamentali: una marca e la capacità gestionale adeguata. Per quanto riguarda i prezzi. Il grafico che segue mostra come i differenziali di prezzo si siano molto ridotti tra il 2011 ed il 2017. Nel 2011 c’erano state ragioni di fluttuazione tra le valute internazionali che aveva portato tali differenziali al massimo storico.
Le aziende in questi anni hanno dato il massimo per ridurli, anche con significativi cali della marginalità. Perché i dazi – dal 17% al 35% – ovviamente incidono sul prezzo landed-duty-paid ed ovviamente anche il costo degli 11mila chilometri di trasporto. Ma non esiste in Cina una legge che imponga restrizioni alla libertà di fissare i prezzi. Viceversa in Brasile le norme sulle importazioni, sui dazi doganali, sulle tasse sui prodotti industriali, il contributo di integrazione sociale, eccetera, fanno sì che il prezzo landed-duty-paid sia significativamente superiore al doppio di quello in partenza. Non si giunge agli stessi limiti di accesso al mercato in India, ma non siamo lontani. Ma in più vi sono limiti alla libertà d’impresa. Per gestire una rete al dettaglio monomarca l’azienda straniera può possedere al massimo il 51% della società di diritto indiano, il 49% deve essere di proprietà di un soggetto indiano. Un mercato da cui ci aspettiamo una crescita è quello del South-East Asia. Una comunità di 600 milioni di abitanti tra Singapore, Malesia, Indonesia e Filippine. Paesi tra loro senza dazi e senza visti. La crescita dei consumi di prodotti di alta gamma e lusso dipenderà dalla loro crescita economica generale”.
La posizione di Branchini permette di cogliere una visione di insieme molto complessa a cui fa eco quella di Medici. “Le opportunità rimangono tali e non si possono trasformare in rischi, in quanto analizzate preventivamente e precauzionalmente evitate. Ogni potenziale mercato, opportunamente analizzato da un punto di vista commerciale e di penetrazione, diventa, quindi un mercato penetrabile. È importante cogliere anche una sinergia tra quantità e qualità del mercato. Penso per esempio a mercati come quelli del Medio Oriente dove, per esempio, pur esistendo delle sacche di ricchezza sono quantitativamente concentrate in aree geografiche (penso a Dubai) e quindi facilmente identificabili. Questo, ovvio, permette anche un investimento mirato soprattutto pensando al traffico turistico e domestico aggregati. Dubai, per tornare all’esempio di prima, ha un traffico di clienti del lusso che includono turisti provenienti dal Sud Africa, dall’Iran e altre zone limitrofe, grazie anche all’elevato network di collegamenti aerei”.
Con queste premesse comprendere quali sono le precauzioni che un azienda del lusso dovrebbe prendere, prima di cominciare un percorso di internazionalizzazione, diventa un passo fondamentale per ogni Ceo e Cfo.
“Più che precauzioni, si tratta di avere adeguati fondamentali del business. McCharty e Kotler li definivano le 4P: Prodotto, Prezzo, Punto Vendita, Promozione”, dice ancora Branchini, “ e c’è da aggiungere una quinta P, quella di People: le capacità imprenditoriali e manageriali. E poi una non-P ma una R, le Risorse economiche per affrontare una politica di internazionalizzazione e poterla sostenere nel tempo.
D’altro canto, esportare ed ancor più internazionalizzarsi non è un obbligo, lo deve fare quell’impresa che si è attrezzata con la conoscenza e le competenze gestionali necessarie, dell’imprenditore e dei manager. Un’azienda che ha marca e gamma di prodotti note ed interessanti per i consumatori in mercati diversi e lontani, che ha le risorse per avere negozi monomarca e presenza digitale, realizzare attività di marketing e comunicazione, tutte adeguate a creare e nutrire il desiderio dei consumatori e delle consumatrici in un dato mercato”.
Focalizzandoci su un esperienza sul campo Medici spiega: “Tralasciando gli aspetti commerciali e di valutazione del mercato che vengono effettuati ex-ante e che diamo per scontati, distinguerei le due attività. In caso di export in mercati così ‘lontani’ (per cultura, sistemi legali, contabili, fiscali e culturali) nelle mie esperienze lavorative ho sempre richiesto una lettera di credito o il pagamento anticipato. Se vogliamo è il reversal di quello che i produttori cinesi fanno con le forniture ai mercati europei. Tali mercati sono pronti ad accettare tale sistema in quanto sono i primi a non rilasciare la spedizione se non hanno ricevuto il pagamento.
In caso di apertura di una branch (una sede operativa con uffici e dipartimenti marketing, vendite, pr ed eventualmente ricerca) la situazione è un po’ più complessa, in quanto ci si trova a dover affrontare tutte le differenze che menzionavo prima nel day by day. Urge pertanto affidarsi ad un ottimo e fidato advisor locale, referred dei consulenti aziendali, al quale demandare la fase introduttiva/costitutiva e il reperimento di un team locale fidato e professionale”.
Il percorso di analisi dei fattori commerciali, quali margini, ricavi, costi etc.. è un tema che deve essere affrontato dal Cfo anche sul fronte costi e produzione.
“In ambito PLM (product lifecycle management) si comprende come un fattore determinante a supporto delle decisioni del Cfo proviene dallo studio dei dati”, interviene Silvano Joly, country manager di Centric (tra i loro clienti la gran maggioranza dei brand di moda anche Yoox-YNAP ). “Uno dei fattori determinanti che può supportare le decisioni dei Ceo e dei Cfo in ambito di internazionalizzazione sono dati ed informazioni di redditività”, spiega Joly.
“Consideriamo uno scenario critico: una media impresa, con un prodotto di alta gamma al suo primo progetto estero, si ritrova a fronteggiare una richiesta imprevista di un forte sconto.
Ebbene la decisione se accettare lo sconto o recedere dal contratto, dipende in modo quasi esclusivo dalla padronanza del fattore costi ricavi. Le soluzioni di Plm che sempre più spesso sono presenti anche nelle aziende di medie dimensioni del lusso (dopo essere divenute uno standard operativo nelle grandi aziende, soprattutto all’estero) svolgono un ruolo cruciale per orientare le scelte dei Cfo”, chiarisce Joly.
Parlando di dati e numeri è fondamentale, quindi, lo studio di tutti i dati finanziari (costi, fornitori, margini) in una pianificazione commerciale verso mercati non occidentali. “Saper tenere sotto controllo i costi e saper definire i prezzi è fondamentale in tutti i mercati, da quello italiano a quello statunitense, che spesso si è dimostrato ben più difficile da gestire di altri mercati orientali”, conclude Branchini.
“Queste dinamiche sono le stesse identiche del mercato domestico, con l’aggravante, se così la possiamo chiamare, dell’aggiunta dei costi effettivi e figurativi derivanti dall’internazionalizzazione e/o dall’export”, incalza Medici. “Questi paesi lavorano però con mark-up molto più alti di quelli europei (quasi doppi!!!) proprio per coprire questi ultimi costi. Quindi un efficiente sistema di Plm unito ad un efficace controllo di gestione, danno informazioni puntuali sull’industrializzazione e ‘costificazione’ del prodotto (sia esso destinato all’export che al mercato domestico) garantendo la redditività aziendale”, conclude Medici.
“L’approccio Plm è fondamentale”, continua Joly, “sempre più spesso notiamo come la domanda, da parte dei Cio dei nostri potenziali clienti, risulta spinta da una richiesta di dati attendibili e in tempo reale, che siano di supporto ai decisori C level (Ceo e Cfo in particolare). Una volta integrato in ogni parte dell’azienda il Plm diventa di fatto la spina dorsale, al pari del sistema ERP, che ne è il sistema nervoso, dell’azienda. Dal marketing alla produzione tutti sono in grado di prevedere spese e ricavi e la programmazione, anche in casi di emergenza come quello che ho indicato, sono affrontabili con maggiori dati”, conclude Joly.
Se consideriamo che la via internazionale non è solo importante ma vitale, come confermano i positivi risultati degli associati di Altagamma, diviene cruciale per le medie aziende del lusso che sono in cerca di nuovi mercati analizzare con cautela i singoli aspetti finanziari e i fattori di produzione per meglio comprendere quando un opportunità “estera” può essere un caso storico di successo per gli annali, oppure una tragedia per mancanza di informazioni.
Twitter @EnricoVerga