categoria: Res Publica
L’Italia ignorante non sa che il riscatto parte dalla scuola
Una buona economia richiede delle buone leggi, poche e che vengano rispettate. Su questi due fronti l’Italia latita da quel dì. Tornato in Italia nel gennaio 1945, Luigi Einaudi, nominato governatore della Banca d’Italia, nel 1949 pubblica le smaglianti Lezioni di politica sociale, sulla base delle lezioni universitarie tenute in Svizzera nel 1944. In una di queste spiega come il mercato sia un’invenzione sociale preziosa, alla quale vanno affiancate alcune istituzioni per regolarlo a puntino:
“Tutti coloro che vanno alla fiera sanno che questa non potrebbe avere luogo se, oltre ai banchi dei venditori, i quali vantano a gran voce la bontà della loro merce, ed oltre la folla dei compratori che ammira la bella voce, […], non ci fosse qualcos’altro: il cappello a due punte della coppia dei carabinieri che si vede passare sulla piazza, la divisa della guardia municipale che fa tacere quelli che si sono presi a male parole, il palazzo del municipio, col segretario e il sindaco, la pretura e la conciliatura, il notaio che redige i contratti, l’avvocato a cui si ricorre quando si crede di essere a torto imbrogliati in un contratto. […] E ci sono le scuole dove i ragazzi vanno a studiare” (corsivo mio).
Einaudi nei suoi numerosi scritti si è sempre fatto portatore dell’uguaglianza delle condizioni di partenza. Se la famiglia è importante, la scuola lo è altrettanto. Se un soggetto sarà capace, dotato di conoscenze e competenze, determinato quanto basta, la diversità delle condizioni di arrivo sarà benvenuta. Ciò che lo Stato deve favorire è la parità nelle opportunità scolastiche.
Proprio in questi giorni sono divampate le polemiche dopo l’assurdo oltraggio a un professore di alcuni studenti a Lucca (tre verranno bocciati dopo la sospensione inferta), che hanno minacciato e insultato il professore in un istituto tecnico. Michele Serra su “Repubblica” è intervenuto evidenziando come gli allievi delle scuole meno qualificate, se si comportano come “fenomeni da baraccone”, non fanno altro che perpetuare la loro condizione. Siccome la verità fa male (come cantava anni fa Caterina Caselli), sulla rete sono montate polemiche accusando Serra di classismo. Le conventicole della rete (leggersi Cass Sunstein, #republic.com La democrazia all’epoca dei social media) sono fuori strada. Ha perfettamente ragione l’ex direttore di “Cuore”: “Che di questo disprezzo per le regole si sia fatto un titolo di vanto è un danno atroce inferto ai poveri: che oggi come ieri continuano a riempire le carceri e i riformatori”.
Come ha twittato il professor Marco Leonardi, “il vero problema è l’immobilità tra generazioni. 86% di figli di genitori non laureati non si laurea”. È il numero più alto del mondo, che sancisce l’immobilità di questo Paese, dove la mobilità sociale è ai minimi termini. Lo scrittore Gianni Biondillo spassosamente racconta: “Proprio quell’estate del 1984 lessi un’intervista a Vittorio Gregotti su un quotidiano nazionale. Il giornalista chiese un consiglio da dare ai giovani che si accingevano ad iscriversi ad architettura. Gregotti rispose, lapidario: “Consiglio loro di scegliersi genitori ricchi”.
Sebastiano Vassalli, nel suo romanzo “Marco e Mattio”, ambientato nel Veneto nel 1775, scrive: “Suo padre, Marco Lovat, era lo scarpèr cioè il calzolaio di Casal, e il destino del figlio primogenito era quello di fare lo scarpèr, anche se avrebbe preferito continuare a studiare per diventare dottore: la vita, a Zoldo, non permetteva quel genere di cambiamenti e chi nasceva oste doveva fare l’oste, chi nasceva scarpèr doveva fare lo scarpèr; altre alternative non c’erano!”. Ogni tanto sembra che in questo Paese siamo rimasti a fine ‘700.
I bulli mascherano le loro fragilità e debolezze aggredendo i loro professori. Gli studenti devono mettersi in testa che l’unica chance per migliorare la propria condizione sociale è, al contrario, rispettare i professori, seguire le regole stabilite, e studiare intensamente. Come ricordava spesso Carlo Azeglio Ciampi, alla Normale di Pisa “studiavo come un forsennato”. Non c’è alcun sinallagma per cui se si studia si avrà un bel lavoro (peraltro dipende cosa si studia: sforniamo a valanga letterati e giuristi, troppo pochi in materie scientifiche). Ma senza una cassetta degli attrezzi adeguata, che comprende la capacità di lavorare in team, e quindi il rispetto e l’ascolto degli altri, non si può andare da nessuna parte, se non regredire nelle classifiche del reddito familiare.
La cultura non è un lusso per privilegiati. È ciò per cui vale la pena vivere. Guai a vantarsi di essere ignorante. È la fine. Non si può che concordare con Serra che “lo sdogamento dell’ignoranza è uno dei più atroci inganni perpetuati ai danni del popolo”. Nell’esilarante “Tony Pagoda e i suoi amici”, Paolo Sorrentino scrive: “Berlusconi ha dato un riscatto estetico all’ignoranza. Non si era mai vista una concentrazione così corposa di analfabeti sparsi dappertutto a propinarci il loro sapere su qualsiasi argomento, dalla politica estera alle creme da mettere prima di andare a dormire. Una legione infinita di trogloditi che se ne stava compresa sotto i tombini, sdoganata allegramente e gettata con nonchalance a capo di ministeri e telegiornali, discoteche e fattorie”.
Nei giorni scorsi il Tribunale di Milano ha respinto la richiesta di ripristino della semilibertà (revocata per un banale furto di un paio di mutande e poco altro) di Renato Vallanzasca, il quale, a seguito dei numerosi reati che lo hanno visto protagonista, ha passato circa 45 anni (oggi ne ha 68) in carcere. Nonostante il parere autorevole del professor Adolfo Ceretti (criminologo), Vallanzasca non può beneficiare della Legge Gozzini, anche se non è più pericoloso. L’articolo 27 della Costituzione, che parla di pena volta alla “rieducazione del condannato”, rimanda alla possibilità nella propria vita di cambiare, di svoltare e scegliere un’altra vita. La decisione negativa per Vallanzasca fa capire come in Italia il cambiamento è visto come improbabile e poco creduto (“non è possibile ravvisare il requisito del sicuro ravvedimento”). Una ragione in più per gli studenti di oggi di impegnarsi allo spasimo, scavare, approfondire, studiare per riscattare le proprie eventuali condizioni di svantaggio di partenza. Luigi Einaudi ne sarebbe felice.
Twitter @beniapiccone