categoria: Draghi e gnomi
Fallimenti bancari, il barometro della paura torna a salire. Crisi in vista?
Spread. Questa breve parola inglese, che significa differenziale di rendimento, è sicuramente una delle parole relative al mondo dell’economia che negli ultimi anni è diventata ampiamente di linguaggio comune. È diventata così di linguaggio comune che, se si parla di “crisi dello spread”, è raro trovare qualcuno che non sappia si tratti della crisi del 2011, quando il differenziale di rendimento tra il decennale italiano e quello tedesco veniva considerato come l’indicatore dello stato della crisi italiana.
Se usciamo dai nostri confini e torniamo indietro nel tempo alla crisi del 2007, un altro differenziale di rendimento, un altro spread, veniva comunemente osservato per misurare la febbre del sistema economico e finanziario, non solo italiano, ma internazionale. Questo spread era il LIBOR-OIS misurato prevalentemente a 3 mesi.
Il LIBOR (London InterBank Offered Rate) è il tasso di interesse al quale 20 principali banche internazionali (reference banks) dichiarano di esser disposte a concedersi prestiti senza collaterali a garanzia, sul mercato di Londra. Creato circa 50 anni fa, questo tasso d’interesse è calcolato per i prestiti secondo varie scadenze, nelle principali valute internazionali. Sebbene questa misura sia stata oggetto di numerosi scandali nel passato più recente, e sia pertanto stato previsto (anche se con difficoltà) l’abbandono dal 2021, rimane ancora il benchmark di riferimento di operazioni finanziarie per centinaia di trilioni di dollari. Il tasso d’interesse di varie operazioni, dai mutui ipotecari ai prestiti personali, dalle emissioni obbligazionarie societarie a quelle strutturate, viene calcolato prendendo come base di riferimento il relativo LIBOR per valuta e scadenza.
Il confronto tra questo tasso ed un tasso, con la stessa scadenza, ma privo di rischio (come è considerato quello su Overnight Index Swap – OIS), può darci indicazione del premio al rischio che le banche internazionali sono disposte a offrire, ed a pagare, per prestarsi depositi senza garanzie. Questo premio per il rischio, in condizioni di normalità, dovrebbe esser paragonato al costo sopportato per proteggersi dalle fluttuazioni dei tassi overnight. Se così non fosse, se il differenziale tra questi due tassi fosse superiore a questo costo, esisterebbero delle facili opportunità di arbitraggio per chi fosse disponibile a offrire liquidità a tre mesi finanziandosi, sempre per tre mesi, overnight.
Questa condizione di normalità può però esser rotta quando, ad esempio, vi sia un aumento del rischio di controparte, quando cioè vi sia il rischio che la banca prenditrice possa fare default. In questo caso, il premio per il rischio non tiene conto solo della protezione per le fluttuazioni overnight, ma anche della protezione tramite CDS del rischio di default della controparte. Andare pertanto a controllare come si muove questo spread può fornire indicazione delle condizioni di normalità o di alterazione dei mercati internazionali. Per dirla con le parole usate dall’ex Governatore della FED Alan Greenspan, “il Libor-OIS resta un barometro della paura dei fallimenti bancari”.
Se prendiamo come riferimento lo spread LIBOR-OIS sul dollaro con scadenza tre mesi (figura 1), il differenziale in condizioni “normali” ruota intorno ai 10 bps. Così era prima della crisi del 2007 e così è stato anche successivamente, salvo il periodo durante la crisi dell’eurozona. Nel 2016 le modifiche introdotte al funzionamento dei fondi di mercato monetario negli Stati Uniti hanno avuto un temporaneo effetto sul LIBOR-OIS, prontamente rientrato una volta che la riforma è andata a regime e il sistema di rifinanziamento in dollari sui mercati internazionali ha ritrovato un suo nuovo equilibrio.
Figura 1: Spread LIBOR – OIS basato su dollaro USA per operazioni a 3 mesi. Fonte dati Bloomberg
Ultimamente però questo spread ha ricominciato a salire, raggiungendo un valore superiore a 45, il massimo dal 2012. Di nuovo ci si interroga su quali possano essere le cause e se ci stiamo avvicinando ad una nuova crisi internazionale. BlackRock, qualche mese fa, sottolineava come la recente riforma fiscale varata da Trump avrebbe drenato liquidità in dollari sui mercati internazionali, a causa del rimpatrio delle disponibilità offshore delle società americane. Inoltre, finito da poche settimane lo shutdown, il Governo statunitense ha collocato una quantità rilevante di titoli a breve termine, drenando dollari sul mercato e alzando i rendimenti. Tutto ciò in un contesto in cui la politica monetaria della FED si va facendo non solo restrittiva sui tassi ma anche sulla liquidità offerta al mercato.
È però ancora presto per dire se si tratti solo di cause legate alla liquidità internazionale (e quindi destinate a rientrare nel giro di qualche mese) o se non vi siano anche delle specifiche fragilità nei bilanci bancari ancora non pienamente emerse, legate ad esempio ai recenti rialzi dei tassi d’interesse. In fondo, si dice spesso che quando l’acqua è alta tutte le barche galleggiano, mentre quando si ritira molte rimangono incagliate. Ecco, si può pensare che in questo preciso contesto l’acqua, la liquidità internazionale, si stia piano piano ritirando. Chi rimarrà incagliato?
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