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Anziani al lavoro, giovani con una vecchiaia complicata. Ecco i numeri da sapere
La Bce, nel suo ultimo bollettino, propone un articolo molto interessante sulla ripresa del mercato del lavoro nell’eurozona che ci consente di capire quali siano state le determinanti del buon andamento occupazionale nell’area. Per avere un’idea del progresso fatto, può essere utile riportare gli ultimi dati Eurostat.
La diminuzione della disoccupazione è stata associata a una crescita del tasso di partecipazione, che è in relazione con l’aumento della forza lavoro. Il tasso di partecipazione misura infatti il rapporto fra la forza lavoro di un paese e la popolazione civile in età lavorativa. La forza lavoro invece è la somma di lavoratori occupati e lavoratori in cerca di occupazione (e quindi disoccupati). Il tasso di disoccupazione è il rapporto fra il numero dei disoccupati e la forza lavoro. Aumentando la forza lavoro, ossia il denominatore, il tasso di disoccupazione potrebbe scendere pur rimanendo fermo il numero dei disoccupati, esattamente come accade quando aumentano gli inattivi. E’ bene ricordare sempre queste definizioni sennò non si colgono le sfumature dei dati. “Attualmente – scrive la Bce – la forza lavoro è maggiore del 2 per cento rispetto a prima della crisi”. Quindi questo andamento ha sicuramente contribuito al miglioramento del dato sulla disoccupazione. Ma ovviamente non è stato il solo. “Sono tre i principali fattori che hanno contribuito all’aumento dell’offerta di lavoro nell’area dell’euro negli ultimi decenni: il numero crescente di donne e persone più anziane occupate o in cerca di lavoro e l’immigrazione”.
Di questi tre fattori, il più interessante, anche per la sua influenza quantitativa, è sicuramente il contributo dei lavoratori più anziani, che è stato notevolmente influenzato dalle riforme pensionistiche intervenute in alcuni paesi europei. L’offerta di lavoro ormai ha superato il livello pre-crisi riportando l’occupazione sostanzialmente a quel livello.
Ma per apprezzare meglio il contributo dei singoli fattori, si può guardare a quest’altro grafico, che analizza come si sia distribuito fra i vari fattori l’incremento dell’occupazione fra il 2013 e il 2017.
Ricordo che stiamo parlando dell’intera eurozona. Ebbene, quasi l’80% della nuova occupazione creata nel periodo ha riguardato la classe dei 55-74enni, con le donne in leggera prevalenza. Cresciuti i posti di lavoro che richiedono maggiore istruzione e con contratti in gran parte a tempo pieno, pure se la Bce osserva il “forte ricorso a
contratti a tempo parziale” rispetto al passato.
Come si spiega questa prevalenza dei lavoratori più anziani? Da una parte dipende dal fatto che la generazione del baby boom sta diventando più attempata. Gli anni che passano conducono questi lavoratori in questa fascia d’età. Questa dinamica interessa tutti i paesi dell’area. Ma la vera novità è che a tale invecchiamento naturale non abbia corrisposto un uscita equivalente dal mondo del lavoro. Malgrado sia aumentato il numero delle persone in pensione, infatti, è cresciuto altresì il tasso di partecipazione della popolazione più anziana. Anche questo fenomeno ha interessato tutti i paesi dell’area, ma non tutti con la stessa intensità.
Le riforme pensionistiche, fatte in Francia e Germania prima della crisi e in Italia e Spagna dopo la crisi, hanno sicuramente contributo a questo trend ma non per tutti con gli stessi risultati. “L’età pensionabile stabilita per legge è aumentata in tutti i principali paesi dell’area dell’euro – scrive la Bce -. Tuttavia, l’età pensionabile effettiva è cresciuta in maniera significativa solo in Germania, segnatamente da 59 anni nel 1996 a 62,7 anni nel 2014”. In Italia si osserva una maggiore inclinazione della curva a partire dal 2012, talché il tasso di partecipazione di questa coorte sfiora il 30%, superiore a quello della Francia ma ben al di sotto di quello tedesco che gravita intorno al 45. D’altronde l’Ocse ha di recente certificato che l’età effettiva di pensionamento in Italia, in virtù dei varie espedienti concessi dai governi (ad esempio i cd Ape social), rimane molto bassa.
La crescita di occupazione nella fascia d’età 55-74, tuttavia, è stata rilevante, cumulandosi l’effetto dell’aumento del tasso di partecipazione con quello dell’invecchiamento della popolazione, col primo driver a prevalere sul secondo.
È interessante altresì osservare che dal 2000 si è notevolmente allargato il gap fra i tasso di disoccupazione dei più anziani e quello fra la popolazione in piena età lavorativa.
“I livelli generalmente bassi dei tassi di disoccupazione della popolazione in età più avanzata rispetto a quella in altre fasce di età si spiegano con il fatto che la popolazione in età più avanzata tende ad alternare lo stato di occupazione a quello di inattività piuttosto che quello di occupazione a quello di disoccupazione”. Questo forse spiega perché i 55-74enni abbiano un tasso di disoccupazione vicino a quello pre crisi, mentre il contrario non può certo dirsi per i giovani. Sono loro i veri sconfitti dalla crisi. E non solo perché faticano a trovar lavoro, ma perché in gran parte si tratta di lavoro temporaneo o a tempo parziale.
In queste condizioni, è lecito supporre che questi giovani avranno, oltre a una vita lavorativa adulta difficile, una vecchiaia complicata. Sia che lavorino, sia che riescano ad andare in pensione. Auguri.
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