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Ci risiamo: è boom dei subprime, a 4 ruote
È alquanto sorprendente tornare negli Usa, da dove la Grande Recessione si è originata, e trovare di nuovo parole dimenticate dalle cronache, come subprime, cartolarizzazioni, ABS, e tutto l’arsenale che informò le cronache di allora. Il fatto è che si tende a dimenticare che i meccanismi lungo i quali la rinascita dell’economia si è articolata dopo la crisi sono simili a quelli che l’hanno provocata. Questo spiega perché la ripresa celi ampie zone zeppe di rischi, che crescono all’ombra della disattenzione dell’opinione pubblica. Ne abbiamo già osservata una, adesso scrutiamone un’altra: il boom dei debitori subprime nel settore dei prestiti auto statunitensi.
Per apprezzare questo grafico dovete sapere che la linea ocra indica l’ammontare di prestiti concessi a debitori con merito di credito basso, inferiore a 620, i cosiddetti subprime. Un articolo molto informato della Fed di Richmond riporta che tale crescita ripida, che solo di recente è stata frenata dal sistema bancario, ha portato la quota totale di debito per prestiti auto alla somma di 1.200 miliardi, al terzo posto nella classifica dei debiti privati Usa, quello per i mutui (8.700 miliardi) e quello dei prestiti agli studenti (1.300 miliardi). La pendenza della curva dei prestiti agli automobilisti subprime mostra che il tasso al quale questi prestiti crescono è paragonabile a quello delle altre categorie di debitori, sfiorando quello dei superprime, ossia i prestiti sicuri. Sicuri per modo di dire, ovviamente. Questi ultimi sono addirittura cresciuti in percentuale meno degli altri, ma hanno superato il picco del 2006 già da inizio 2015.
Gran parte di questi andamenti si deve alla forte competizione fra le società finanziarie collegate alle case automobilistiche e quelle indipendenti, che ha finito con proporre credito anche a chi rischia di non poterlo ripagare. Il copione pre 2007 reloaded. Questa evoluzione si percepisce nella sua profondità facendo un po’ di storia. L’invenzione della finanza automobilistica si deve alla General Motors e risale al primo dopoguerra.
La produzione di massa di automobili rese necessario disporre di una rete di concessionari capaci di acquistarne in grandi quantità dalla fabbrica e quindi di poterli rivendere agevolmente. Questo in un periodo dove le banche erano ancora molto restie a concedere credito per l’acquisto di automobili a scopo ricreativo, un bene che i risk manager di allora non sapevano ancora come considerare. Sicché GM produsse l’innovazione di cui il mercato aveva bisogno: creò una società finanziaria, la General Motors Acceptance Corporation (GMAC) allo scopo di fornire ai suoi concessionari credito sufficiente per comprare le auto dalla casa madre, e potendo contare su rapporti con le banche che le garantivano tutte le risorse finanziarie che le abbisognavano.
L’uovo di Colombo: mi indebito per te, visto che posso permettermelo, e poi ti presto i soldi a tasso più elevato e ci guadagno pure. Ovviamente il costo più salato sul prestito lo pagava l’acquirente finale dell’auto. Vendere un prestito insieme alle quattro ruote aveva persino il vantaggio di poter agire sulla scontistica o sul versante finanziario o su prezzo dell’auto.
Il sistema, come sa chiunque abbia comprato di recente un’automobile, è sostanzialmente lo stesso che funziona oggi. La differenza rispetto ad allora è che nel mercato sono entrati altri soggetti che offrono credito cercando sempre più di attirare clienti, più o meno solvibili. L’avventura di GM nella finanza immobiliare, iniziata nel 1919, durò fino al 2006, quando la maggioranza della GMAC fu venduta a un fondo di private equity. L’entusiasmo di GM si raffreddò ulteriormente nel 2008, quando, a crisi avvenuta, il governo dovette intervenire con un investimento da 17 miliardi per tenerla in piedi. E tuttavia GM è rimasta nel mercato finanziario. Nel 2010, fra le altre cose, ha acquistato l’azienda specializzata proprio in prestiti subprime AmeriCredit. L’aria è cambiata, dal 2008, e nessuno vuole perdersi un buon affare.
La Fed ipotizza che i prestiti ai subprime a quattro ruote abbiano raggiunto il picco. Il flusso di prestiti su base trimestrale a questa categoria, infatti, ha rallentato a 30 miliardi nel 2016, portandosi a circa 30 miliardi. E forse a tale rallentamento ha contributo la crescita dal 2,5 al 4,3% del tasso di delinquency sui debitori subprime. Un livello più elevato di quello raggiunto nel 2008, secondo i dati di S&P Global. Senonché, proprio come accadeva allora per qualunque categoria di prestiti, si è assistito a una notevole crescita delle cartolarizzazioni dei prestiti per auto, cresciute parecchio fin dal 2000. I dati mostrano che gli asset-backed securities (i famigerati ABS) con il debito auto come sottostante crebbero fra il 2000 e il 2005 da 70 a 106 miliardi l’anno, portandosi a un totale che crebbe dai 185 ai 280 miliardi di dollari. L’emissione di Abs crollò dopo il 2008, ma dal 2010 in poi questi strumenti sono tornati ad essere molto popolari. Si è passati dai 45 ai 96 miliardi l’anno e oggi gli Abs su prestiti auto rappresentano il 45% del totale degli ABS emessi.
Il grafico ci consente di osservare come le emissioni di ABS spiccati su debiti subprime abbiano superato di 4,5 punti il picco del 2007, portandosi al 22,5% del totale, e questa è l’ennesima conferma che questo mercato è fonte di potenziale instabilità. Un altro dato vi convincerà: la percentuale di “deep suprime”, debitori da profondo rosso diciamo, sul totale dei prestiti subprime cartolarizzati è passata dal 5% del 2010 al 33% del 2017. Chi ricorda la crisi dei mutui subprime sa bene che all’epoca bastarono alcuni pagamenti saltati per generare il panico.
A qualcuno questi campanelli d’allarme sembrano esagerati. In caso di crisi, ha detto Christopher Killian, managing director and head of the securitization group alla SIFMA, “ci sarebbero perdite, non perdite a cascata”. Sarà, ma la storia (dimenticata) ci insegna un’altra cosa: nessuno può mai sapere con certezza cosa accadrà nel circuito finanziario in caso di shock, prima che lo shock si sia verificato.
La cronaca ci insegna anche un’altra cosa, raccontata proprio dalla Fed. A marzo 2017 la sussidiaria Usa del Banco de Santander, la Santander Consumer USA, specializzata in finanza automobilistica, ha firmato un accordo per pagare 26 milioni di dollari così come previsto dalle autorità del Massachusetts e del Delaware, che hanno accusato il colosso spagnolo sostanzialmente di drogare il mercato e raggirare i poveri debitori. Tanto è vero che ben 19 milioni di questi 26 sono stati versati a circa 2.000 di loro. Molti si sono allarmati, temendo il sorgere di casi analoghi. Ma quello che di più dovrebbe allarmare è un altro grafico diffuso sempre dalla Fed.
Le vendite di veicoli, infatti, sono ben lontane da quelle degli anni d’oro e sono sostanzialmente stagnanti dal 2015, nonostante la crescita dei prestiti subprime. Il cavallo beve poco. Anche quello a motore.
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