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Il Veneto presenta il conto del referendum, ma la politica si nasconde
Il 4 dicembre 2016 ha segnato una tappa importante della recente storia politica italiana, provocando – tra le altre cose – la caduta di un Governo. È stato un periodo in cui la nostra Costituzione era al centro delle cronache politiche, “costringendo” un po’ tutti a tentare di conoscerla meglio. Cosa è rimasto di quel tentativo di riforma un anno dopo? Non sono più oggetto di dibattito la struttura bicamerale del Parlamento, le procedure legislative, i poteri di Governo, Presidente della Repubblica e della Corte Costituzionale.
L’unico tema del tentativo di riforma costituzionale che resta attuale, sebbene a fasi alterne, riguarda il Titolo V e la conflittualità del rapporto Stato-Regioni. La riforma prevedeva un riordino dell’articolo 117 della Costituzione favorevole allo Stato, con eliminazione della legislazione concorrente ed una ripartizione più o meno netta tra competenze statali e competenze regionali, nonché una clausola di supremazia statale. Dopo il 4 dicembre tutto è cambiato. Le Regioni, che sembravano sull’orlo di un’irrilevanza inevitabile, si trovano un anno dopo in una posizione di rinnovata forza. Ne sono testimonianza i recenti referendum per l’autonomia tenutisi in Lombardia e Veneto per l’attuazione dell’articolo 116 comma 3 della Costituzione (“Terzo Comma” nel prosieguo), l’azione promossa dall’Emilia-Romagna per il medesimo Terzo Comma, ma anche le diatribe tra il Governo e la Regione Puglia su vicende spinose come quelle relative al gasdotto TAP e al piano industriale per l’ILVA di Taranto o le veemenze del Presidente della Calabria sulla questione sanità.
La Regione Veneto, forte del netto risultato elettorale, spinge sull’acceleratore. Ne ha ribadito le intenzioni il Presidente Zaia in audizione presso la Commissione per il federalismo fiscale, dove ha anticipato la trasmissione al Governo – avvenuta in data 20 novembre – di un Progetto di legge statale approvato dal Consiglio Regionale, rubricato “Iniziativa regionale contenente, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, della legge regionale 19 giugno 2014, n. 15, percorsi e contenuti per il riconoscimento di ulteriori e specifiche forme di autonomia per la Regione del Veneto, in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”. I contenuti sembrano all’altezza dei proclami.
La proposta si articola in tre Capi. Il primo contiene le disposizioni generali, dalle quali si capiscono le intenzioni della Regione:
– In primis le competenze richieste, che sono tutte quelle richiedibili ai sensi del Terzo Comma (le tre competenze statali previste in quest’ultimo e tutte le competenze concorrenti indicate nell’art. 117 della Carta);
– In secondo luogo la questione più delicata, quella delle risorse, «Spettano complessivamente alla Regione (…) le seguenti quote di compartecipazione ai tributi erariali riscossi nel territorio della Regione stessa: a) nove decimi del gettito dell’Irpef; b) nove decimi del gettito dell’Ires; c) nove decimi del gettito dell’Imposta sul valore aggiunto».
Il Capo II entra nel dettaglio della modifica delle competenze a favore della Regione. Si parte con l’istruzione, poi ambiente. Giudici di pace, sanità, ricerca scientifica e tecnologica etc.. Di particolare rilievo la sezione dedicata al coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Il Capo III contiene, infine, le disposizioni transitorie e finali, dove spicca al secondo comma «In nessun caso le norme della legge di differenziazione possono essere interpretate nel senso di attribuire allo Stato funzioni e compiti trasferiti alla Regione del Veneto dalle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della legge stessa».
In generale, si propone un rafforzamento notevole delle competenze regionali, provando a sfruttare in pieno il dettato del Terzo Comma. Chiaramente, la Regione – forte del mandato popolare – va anche oltre rispetto a quanto il Terzo Comma consentirebbe. Se da un lato appare legittimo chiedere delle risorse per far fronte ad un allargamento delle competenze (sulla base dell’art. 14 della Legge n. 42/2009 «Con la legge con cui si attribuiscono, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, forme e condizioni particolari di autonomia a una o più regioni si provvede altresì all’assegnazione delle necessarie risorse finanziarie, in conformità all’articolo 119 della Costituzione e ai princìpi della presente legge), non si può ignorare quanto già ribadito dalla Corte Costituzionale in materia.
In particolare, la Consulta, chiamata dal Governo a pronunciarsi sulla Legge della Regione Veneto n. 15/2014, oltre a ritenere ammissibile il quesito referendario «Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?» oggetto del referendum del 22 ottobre, ha invece ritenuto costituzionalmente illegittimi gli altri 4 quesiti, strettamente legati alla proposta di legge approvata dal Consiglio Regionale del Veneto lo scorso 15 novembre. Vediamo quali erano gli altri quesiti che ci interessano in questa sede e cosa scrisse la Corte nella Sentenza n. 118/2015:
a)”Vuoi che una percentuale non inferiore all’ottanta per cento dei tributi pagati annualmente dai cittadini veneti all’amministrazione centrale venga utilizzata nel territorio regionale in termini di beni e servizi?”; b)”Vuoi che la Regione mantenga almeno l’ottanta per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale?”. Scrive la Corte: «I quesiti in esame profilano alterazioni stabili e profonde degli equilibri della finanza pubblica, incidendo così sui legami di solidarietà tra la popolazione regionale e il resto della Repubblica. Pertanto, i due quesiti investono in pieno non già le singole manovre di bilancio, o determinate misure in esse ricomprese, ma alcuni elementi strutturali del sistema nazionale di programmazione finanziaria, indispensabili a garantire la coesione e la solidarietà all’interno della Repubblica, nonché l’unità giuridica ed economica di quest’ultima».
Un altro quesito prevedeva invece: “Vuoi che la Regione del Veneto diventi una regione a statuto speciale?“. La Corte ha dichiarato anch’esso costituzionalmente illegittimo: «Scopo di una siffatta consultazione popolare è includere la Regione Veneto nel novero delle Regioni a statuto speciale, tassativamente enumerate nell’art. 116 Cost. Anche tale quesito incide, pertanto, su scelte fondamentali di livello costituzionale che non possono formare oggetto di referendum regionali, ai sensi della giurisprudenza di questa Corte, e si pone in irrimediabile contrasto con lo statuto regionale, i cui artt. 26, comma 4, lettera b), e 27, comma 3, dispongono che i referendum regionali siano di tenore tale da rispettare gli «obblighi costituzionali».
Quanto sopra è naturalmente noto alla Regione, ma la stessa ha ritenuto opportuno alzare ugualmente la posta in gioco. In audizione Zaia ha giustificato la questione dei nove/decimi delle imposte, che sarebbe dovuta alla poca chiarezza della contabilità statale che non consentirebbe una chiara identificazione dei costi necessari per le competenze aggiuntive richieste dalla Regione. Si tratta di un tema non secondario, che segnerà il destino di ogni trattativa di tal genere.
Il tutto è ovviamente rimandato alla nuova legislatura, ma non sarebbe auspicabile che i leader politici esprimessero il loro punto di vista sulla proposta del Veneto e, in generale, su come immaginano il rapporto dello Stato con le autonomie nei prossimi vent’anni? Cosa pensano del “regionalismo differenziato“? Qual è l’opinione del partito o degli alleati del partito di Zaia? Quale quella del Pd o del M5S? Non è facile prendere una posizione, ma l’argomento è di primaria importanza e dovrebbe essere parte della campagna elettorale.
Naturalmente si cerca di scacciare dalla mente ogni riferimento all’escalation catalana – e anche Luca Zaia ci tiene a precisarlo – ma è difficile dimenticare che la Corte Costituzionale, nella richiamata sentenza, dovette dichiarare l’illegittimità costituzionale anche della legge della Regione Veneto n. 16/2014, che recava il seguente quesito referendario: “Vuoi che il Veneto diventi una Repubblica indipendente e sovrana? Sì o no?”.
Un commento da chi si propone agli elettori per guidare il prossimo Consiglio dei Ministri sarebbe più che opportuno, perché dovrà sedersi al tavolo con una regione che sembra avere le idee molto chiare sul da farsi.
Twitter @frabruno88