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Perché l’economia di domani sarà parecchio diversa da quella che abbiamo studiato
Le grandi crisi del secolo scorso, quella del 1929 e la stagflazione degli anni Settanta, hanno prodotto un sostanziale cambiamento nella teoria macroeconomica e nelle politiche di governo degli aggregati macroeconomici. Dalla crisi del 1929 sono diventate centrali le ricette che si rifanno al lavoro di Keynes nella Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, basate sul controllo della domanda aggregata, sulla rilevanza della politica fiscale. Politiche che hanno funzionato abbastanza bene fino alla fine degli anni sessanta, quando il manifestarsi della stagflazione ha posto le basi per una critica, una rivisitazione, della teoria macroeconomica prevalente e delle politiche impiegate.
In quegli anni, partendo dai lavori di Phelps, Friedman, Lucas e Sargent e Wallace (solo per citarne alcuni dei più rilevanti) si è sviluppato il modo con il quale la teoria macroeconomica è ancora insegnata nelle università e applicata dai governi. Il cosiddetto mainstream, che ha funzionato sufficientemente bene fino alla recente grande crisi (chiamata comunemente GFC – Global Financial Crisis).
Ma se le precedenti due crisi hanno fornito una lezione in grado di modificare così tanto i modelli macroeconomici di riferimento, la crisi del 2008 quale lezione può offrire? In che modo si può far tesoro degli errori commessi nel prevedere e gestire la crisi, perché simili eventi possano essere evitati in futuro?
La risposta a queste domande non è affatto semplice. Sebbene siano passati già 10 anni dalla GFC ci sono molti punti oscuri che devono essere pienamente compresi. Con l’obiettivo di far luce sulle lezioni che si possono trarre dalla crisi del 2007-2008 e quali ricette possono essere introdotte affinché si possa contrastare un simile evento in futuro, si svolge da alcuni anni la conferenza “Rethinking Macroeconomic Policy”.
La quarta edizione, organizzata dal Peterson Institute for International Economics (le precedenti tre edizioni erano ospitate dal Fondo Monetario Internazionale), è stata introdotta da un nuovo paper di O. Blanchard e L. Summers che riassume il percorso di comprensione fatto in questi 10 anni e le conseguenze, in termini di policy, di ricette di governo, delle quali dovremmo tener conto.
In questo lavoro, che non a caso si chiama come il famoso film anni ’80 Back to the Future, gli autori forniscono indicazione delle tre principali lezioni che è possibile trarre dalla GFC. Tenendo conto di queste lezioni suggeriscono come la politica monetaria, fiscale, e di regolamentazione finanziaria dovrebbe adeguarsi per evitare gli errori del passato.
Una prima lezione riguarda il ruolo centrale che il sistema finanziario svolge nell’evoluzione delle variabili macroeconomiche. Idealizzare il sistema finanziario, come è stato fatto fino al 2007, come in grado di incidere solo sulla struttura dei tassi d’interesse non è più sufficiente. Come spiegato da Minsky il sistema finanziario influenza direttamente le variabili reali, ed il modo con il quale questo avviene è ancora ben lontano dall’essere specificato.
Una seconda lezione riguarda la natura delle fluttuazioni del ciclo economico. La GFC ha dimostrato che tali fluttuazioni non sono di portata limitata e che il sistema non è in grado di riportarsi autonomamente verso il trend di crescita descritto dal ciclo economico. Sia il tipo di shock che si è manifestato, che il tipo di propagazione avuta, differiscono in modo sostanziale da come i modelli mainstream (DSGE, VARs o altro) tendono a idealizzare le funzioni, per la gran parte lineari, di reazione allo shock.
Una terza lezione riguarda la persistenza di un ambiente di bassi tassi reali d’interesse. Sebbene il trend discendente non sia certamente iniziato nel 2007, e non sia ancora individuata una precisa giustificazione di questo trend, è abbastanza chiaro che bassi tassi d’interesse resteranno ancora fra noi per molto tempo. Il rischio di giungere allo Zero Lower Bound (ZLB), rischio di arrivare al limite inferiore del tasso nominale d’interesse, che fino al 2007 veniva considerato abbastanza remoto, è invece non solo probabile, ma concreta realtà.
Tenendo conto di queste lezioni, le implicazioni che Blanchard e Summers forniscono in termini di politica e teoria macroeconomica, sono di estrema novità rispetto al mainstream in voga fino al 2007, o di “ritorno al futuro” se considerate rispetto alla lettura della Teoria Generale di Keynes.
Dalla necessità di intervento pubblico come più efficace stabilizzatore del ciclo economico, alla “collaborazione” tra Tesoro e Banca Centrale per la gestione della curva dei tassi d’interesse, alla necessità di rivisitare il limite di inflazione al 2%, fino all’importanza di una complessiva regolamentazione del sistema finanziario e dell’attività bancaria, viene così suggerita la riscoperta di strumenti di policy che erano stati progressivamente abbandonati dagli anni ’70.
Il modo con il quale questa riscoperta possa avvenire non è ancora ben chiaro; ancora siamo a livello di contributi teorici, provenienti peraltro da una semplice parte, seppur molto influente, dell’accademia.
Quello che però non si può pensare è che la GFC sia semplicemente un caso isolato, una semplice distorsione in un percorso di crescita esogeno dato dalla tecnica. Che si possa, passata la bufera, far finta di niente e continuare con gli stessi modelli di riferimento che così male hanno funzionato sia nel prevedere la crisi che nel gestirla. È auspicabile che il ripensamento delle teorie e delle politiche economiche avvenga prima che una nuova crisi ci dimostri, ancora una volta, che la realtà è molto differente da come essa è stata modellizzata.
Twitter @francelenzi