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Grecia, cosa è andato storto e come rimediare (di @pmanasse)
Paolo Manasse è ordinario di economia politica all’università di Bologna. Questo articolo è una rielaborazione dell’intervento del 3 giugno scorso dal titolo “What went wrong (and how to fix it) : lesson for Europe from the Greek crisis“, tenuto ad Atene nel corso della Conferenza “Un nuovo modello di crescita per l’economia greca”. Viene pubblicato su questo blog in esclusiva per l’Italia –
QUALI LEZIONI PER L’EUROPA DALLA CRISI GRECA
di Paolo Manasse
Mentre il primo ministro greco Tsipras e le «istituzioni» (anche note come «la Troika») faticano per raggiungere un accordo sulle misure che dovrebbero consentire lo sblocco della tranche da 7,2 miliardi di euro per la Grecia, è il momento giusto per fare un passo indietro e cercare di capire che cosa non ha funzionato finora nel programma di aggiustamento applicato nel Paese ellenico, per assicurarsi di non ripetere in futuro gli stessi errori.
Questo articolo sostiene che l’economia greca, dal momento in cui è entrata nell’euro, si è comportata come una bolla. La crescita, trainata dalla domanda e finanziata dal debito, alla fine è “scoppiata” perché non era basata su una basilare crescita della produttività. Come conseguenza, il Pil reale, i salari reali e il costo del lavoro sono tornati ai livelli pre-euro. L’aggiustamento, però, è stato più severo e doloroso del necessario. Da un lato, come molti commentatori hanno fatto notare, un risanamento dei conti pubblici decisamente troppo rigido e troppo rapido (che è l’altra faccia di una ristrutturazione del debito tardiva e insufficiente).
Un problema altrettanto importante, però, è che la Troika ha sbagliato la sequenza delle riforme strutturali. Concentrandosi inizialmente sul mercato del lavoro invece che sui mercati dei prodotti, le riforme strutturali hanno provocato un drastico calo dei salari nominali a cui non si è accompagnata una caduta dei prezzi. L’imponente taglio dei salari reali ha depresso ulteriormente la domanda, mentre la competitività e la domanda estera non sono cresciute come sarebbe stato necessario. Il risultato è stata un’impennata della disuguaglianza, che ha minato il consenso per le riforme orientate al mercato.
1. Un’economia di bolla
Il grafico 1 mostra il Pil reale della Grecia dal 1990 a oggi insieme a quelli di Germania e Italia, tutti ribasati a 100 all’inizio del periodo. Il Pil greco è decollato nella seconda metà degli anni 90: al suo apice, nel 2008, era cresciuto complessivamente del 65 per cento. La frenata che è seguita è stata altrettanto impressionante, ma molto più rapida: nel 2013 il Pil era tornato al livello del 2000.
2. Il versante dell’offerta: la scomposizione della crescita
Come succede con le bolle dei prezzi delle attività, il boom dell’economia non era giustificato dai fondamentali, e dunque era insostenibile. La tabella 1 guarda al versante della domanda e scompone la crescita del Pil nelle sue componenti principali: la quota relativa al lavoro, la composizione del lavoro, il capitale (diviso fra settore Ict e tutto il resto) e la produttività totale dei fattori. Durante gli anni dell’euro-boom, il tasso di crescita era in media del 4,13 per cento annuo, ed era dovuto principalmente agli investimenti (non-Ict). La caduta altrettanto accentuata dopo il 2008, con una media di -4,45 per cento l’anno, è stata dovuta in larga parte alla perdita di posti di lavoro. La cosa che è importante notare è che dal 1990 al 2007 la produttività totale dei fattori, il «motore» della crescita, era calata o rimasta ferma.
Il risultato è che rispetto alla Germania la Grecia, tra il 1990 e il 2008, ha accumulato un «divario di produttività» del 23 per cento, che è proseguito e ulteriormente cresciuto nel periodo della recessione, come si vede nel grafico 2.
La conseguenza è stata un enorme «divario di competitività» per l’economia greca. Il grafico 3 mostra due misure del tasso di cambio effettivo reale, una basata sul costo unitario del lavoro e l’altra sui prezzi al consumo.
Tra il 1990 e il 2009 l’economia greca ha registrato una perdita di competitività del 35 per cento secondo il primo parametro (poco più del 20 per cento secondo il secondo parametro), il che significa che i salari (e i prezzi) sono cresciuti molto più rapidamente di quanto sia accaduto ai partner commerciali di Atene prima della crisi.
La mancata crescita della produttività spiega in larga misura il tonfo della Grecia. Il grafico 4, sotto riportato, prende in considerazione il rapporto tra la crescita della produttività totale dei fattori prima della crisi e la crescita del Pil dopo la crisi in 160 Paesi: ogni Paese è rappresentato da un puntino; sull’asse verticale misuro la crescita cumulata del Pil nazionale dall’inizio della crisi (2008-2013), mentre sull’asse orizzontale misuro la crescita cumulata della produttività totale dei fattori prima della crisi (2000-2007).
I Paesi che hanno registrato una forte crescita della produttività prima della crisi mediamente hanno avuto una crescita del Pil migliore dopo la crisi. La Grecia si colloca nell’angolo in basso a sinistra del grafico: la bassa crescita della produttività prima della crisi ne fa un buon candidato per una recessione su ampia scala durante la crisi. Ma la Grecia si trova ben al di sotto della retta di regressione (è un valore erratico), e questo implica che i fattori di domanda hanno contribuito in modo sostanziale alla recessione.
3. Il versante della domanda
Considerando che la crescita della produttività era ferma al palo, sia il decollo che il successivo brusco atterraggio dell’economia greca sono stati trainati dalla domanda. La tabella 2 riporta dati noti, in percentuale del Pil, su debito pubblico, disavanzo, saldo con l’estero, consumi, investimenti, importazioni ed esportazioni per il periodo prima dell’euro, il periodo dell’euro-boom e il periodo della recessione. Durante il periodo dell’euro-boom c’è stata un’orgia di consumi, investimenti e importazioni finanziata attraverso il debito pubblico e il debito estero, mentre il tasso di cambio reale saliva; durante la recessione, la domanda ha subito il classico arresto improvviso accompagnato da una svalutazione in termini reali.
L’aggiustamento
La brusca frenata è stata trainata dall’incapacità di accedere ai mercati dei capitali, che ha determinato giocoforza una stretta di enormi proporzioni della spesa pubblica e privata. Il grafico 5 è preso dal rapporto del Fmi sulla Grecia del 2013 e mostra il miglioramento del saldo di bilancio primario che è avvenuto tra il 2009 e il 2012, senza precedenti rispetto alle esperienze passate dell’Europa, sia per dimensioni (circa 9 punti percentuali di Pil) sia per intensità (3 anni).
Dal 2009 le entrate dello Stato sono salite dal 37 al 45 per cento del Pil, mentre la spesa pubblica è scesa da oltre il 50 al 45 per cento (grafico 6).
Particolarmente pesanti sono stati i tagli nel pubblico impiego (grafico 7).
Lungi dall’obbedire al paradigma della «contrazione di bilancio espansiva», il risanamento dei conti pubblici nel contesto di una diffusa limitazione del credito e di un’unione monetaria hanno reso l’aggiustamento più severo del necessario. Inoltre, l’aggiustamento non è stato coadiuvato significativamente da uno «spostamento della spesa» verso beni scambiabili.
Le esportazioni sono aumentate e le importazioni sono calate (si veda il grafico 8), ma molto meno di quanto sarebbe stato necessario per ammortizzare almeno in parte la stretta della domanda interna.
Il grafico 9, preso dalla Commissione europea (2014), fa notare come le esportazioni di beni, e in particolare di servizi, siano cresciute molto meno rispetto ad altri Paesi europei che hanno portato avanti programmi di stabilizzazione più efficaci (Irlanda, Spagna, Lettonia, Portogallo).
Competitività, salari e prezzi
Per capire perché dobbiamo ridare un’occhiata alla competitività nel grafico 3. Dal 2010 il tasso di cambio effettivo reale misurato dal costo unitario del lavoro relativo evidenzia incrementi consistenti della competitività: nel giro di un paio di anni il divario di competitività che si era accumulato dal 1990 è stato quasi cancellato, grazie al deprezzamento del tasso di cambio effettivo reale di circa il 35 per cento.
Invece, la competitività misurata in base ai prezzi, descritta dalla misura basata sull’indice dei prezzi al consumo, è migliorata solo di una manciata di punti percentuali. E le esportazioni dipendono dai prezzi relativi, non dai salari relativi. Questo brusco disallineamento fra i tassi di cambio reali in Grecia può essere spiegato in parte con il fatto che i partner commerciali del Paese ellenico hanno visto un calo dei prezzi. Ma se la produttività del lavoro in Grecia è rimasta al palo, la ragione principale è stata che i salari nominali erano crollati mentre i prezzi erano rimasti stabili.
Il grafico 10 mostra la retribuzione nominale media per occupato e l’indice dei prezzi al consumo, tutti e due ribasati a 100 nel 1990. I salari nominali sono esplosi dopo l’ingresso nella moneta unica, oltrepassando di gran lunga gli incrementi dei prezzi (e della produttività). Dopo lo scoppio della recessione nel 2009, però, i salari nominali sono precipitati ma i prezzi no. Nel giro di pochi anni, gran parte dei progressi dei salari reali ottenuti dopo il 1990 sono stati cancellati.
Ovviamente il fatto che le esportazioni non siano aumentate «abbastanza» ha altre spiegazioni, oltre ai modesti progressi in termini di competitività dei prezzi. Ne citerò solo alcune:
– la maggior parte delle aziende greche sono molto piccole (ben al di sotto dei 10 dipendenti) e a causa di queste dimensioni così ridotte non hanno possibilità di accedere ai mercati esteri;
– le piccole imprese hanno subito una stretta creditizia senza precedenti;
– la burocrazia è un ostacolo per ottenere licenze alle esportazioni;
– le esportazioni sono concentrate su beni a basso e medio contenuto tecnologico, come combustibili, metalli, prodotti alimentari e prodotti chimici (si veda il grafico 11) e i dati econometrici evidenziano una bassa inelasticità dei prezzi (cfr. Athanasoglou et al. 2010); molti tra i maggior partner commerciali della Grecia (Turchia, Italia, Germania, Cipro, Bulgaria e Regno Unito, in ordine discendente) hanno subito pesanti recessioni.
Oltre alle implicazioni in termini di competitività, il drastico calo dei salari reali ha avuto altre due importanti conseguenze: ha depresso ulteriormente la domanda, in presenza di limiti di liquidità per famiglie e imprese, e ha fatto crescere la povertà e la disuguaglianza nel Paese.
I grafici 12a e 12b illustrano l’aumento dell’indice di disuguaglianza di Gini e l’incremento della percentuale di famiglie a rischio povertà tra il 2009 e il 2013. Questi sviluppi hanno minato ulteriormente il consenso per le riforme orientate al mercato.
Ma allora come si spiega questa dinamica di prezzi e salari, che ha depresso al tempo stesso la domanda interna ed estera?
4. Le riforme strutturali
Per dirla in breve, focalizzando la sua attenzione sulla riforma del lavoro invece che sulla riforma dei mercati dei prodotti, la Troika ha sbagliato la sequenza delle riforme. È interessante leggere il rapporto della Commissione europea del 2014 (quarta revisione) sul secondo programma di aggiustamento economico per la Grecia. In questo rapporto, le riforme del mercato del lavoro sono definite «importanti» e di «ampia portata». Ed effettivamente è così: hanno modificato aspetti cruciali del sistema di negoziazione dei salari, per esempio limitando la copertura e la durata dei contratti collettivi; i salari minimi sono stati congelati, è stato introdotto un sistema di arbitrato e i contratti di apprendistato.
Anche la protezione del posto di lavoro è stata ridotta, tagliando il periodo di preavviso prima del licenziamento e le indennità; i licenziamenti collettivi sono stati resi più facili, sono stati favoriti i contratti a tempo determinato, ma allo stesso tempo sono stati aumentati i limiti di durata per i lavori temporanei; l’orario di lavoro è diventato più flessibile.
I toni del rapporto sono molto meno entusiasti per quanto riguarda la riforma dei mercati dei prodotti: la Commissione riferisce che sono state avviate riforme in una serie di aree come le barriere all’ingresso nel commercio, la distribuzione al dettaglio, le professioni; racconta che è stata ridotta la burocrazia e gli oneri fiscali e così via; tuttavia, ammette che nonostante i progressi in corso in molte aree, la Grecia è ancora indietro rispetto a Paesi con un analogo livello di sviluppo.
5. Che cosa è andato storto e come rimediare
Ma allora, che cos’è che non ha funzionato in Grecia? Fondamentalmente, l’economia alla fine si è trovata di fronte alla realtà: la bolla della crescita finanziata dal debito, iniziata con l’ingresso nell’euro, alla fine è scoppiata. L’aggiustamento, tuttavia, è stato più severo e doloroso del necessario. Non solo il risanamento dei bilanci è stato troppo drastico e veloce (e la ristrutturazione del debito troppo limitata e tardiva), ma la sequenza delle riforme strutturali è stata palesemente sbagliata: focalizzandosi sul mercato del lavoro invece che sui mercati dei prodotti, le riforme strutturali hanno provocato un drastico calo dei salari nominali che non è stato accompagnato da un’analoga riduzione dei prezzi. La domanda interna languiva e la domanda estera non ripartiva, mentre la disuguaglianza aumentava prepotentemente.
Questa analisi ha implicazioni evidenti per i negoziati in corso fra la Grecia e i suoi creditori:
– il necessario aggiustamento dei conti pubblici dev’essere spalmato nel tempo: un avanzo primario intorno all’1,5 per cento probabilmente potrebbe andar bene, e il pagamento del debito andrebbe ristrutturato di conseguenza;
– le riforme strutturali dovrebbero puntare a ridurre le barriere all’ingresso nei mercati dei prodotti e nei mercati di esportazione, riducendo la burocrazia, migliorando l’amministrazione fiscale ed eliminando i vincoli al credito per le piccole e medie imprese;
– la riforma del sistema pensionistico, anche se inevitabile, dovrebbe essere attuata gradualmente, facendo attenzione a non deprimere ulteriormente i consumi accrescendo l’incertezza sul reddito futuro.
Twitter @pmanasse
(Traduzione di Fabio Galimberti)
NOTE
1 – Il brusco calo della produttività totale dei fattori nel periodo più recente è dovuto al fatto che la crescita del Pil è scesi molto più rapidamente dei fattori della produzione, traducendosi in una componente negativa inspiegata (la produttività totale dei fattori).
2 – Fmi, Country Report n. 13/154, Greece 2013 Article IV consultation.
3 – Cfr. Giavazzi, Francesco e Marco Pagano, 1990, Can Severe Fiscal Contractions Be Expansionary? Tales of Two Small European Countries, «NBER Macroeconomics Annual», 5, pp. 75-111. JSTOR 3585133
4 – Commissione europea, direzione generale per gli affari economici e finanziari, The Second Economic Adjustment Programme for Greece, Fourth Review – April 2014, «European Economy Occasional Papers», 192.
5 – Cfr. Athanasoglou, Panayiotis P., Constantina Backinezos ed Evangelia Georgiou, 2010, Export Performance, Competitiveness and Commodity Composition, «Bank of Greece Working Paper», 114.
6 – Cfr. Paolo Manasse, 2015, Syriza and debt talks: Estimates from a Rubinstein bargain approach, voxeu.org, http://www.voxeu.org/article/syriza-and-debt-talks-estimates-rubinstein-bargain-approach.