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Londra che ferma Uber è la vittoria del protezionismo tecnologico
Venerdì 22 settembre, l’ente responsabile per i trasporti pubblici di Londra, il “Transport for London”, ha deciso di non rinnovare la licenza ad Uber. Questa notizia ha subito scatenato forti reazioni, sia da parte della compagnia di San Francisco, la quale ha immediatamente deciso di rivolgersi ai propri legali, sia da parte del sindaco di Londra, Sadiq Khan, il quale ha subito cercato di rassicurare tutti spiegando che “Londra rimane una città aperta”. Per ora Uber potrà continuare a garantire i propri servizi. Nel caso in cui, invece, la sentenza d’appello dovesse confermare le accuse mosse dal “Transport for London”, la maggior parte dei servizi di Uber non potranno più operare nella capitale britannica.
Contrariamente a quanto spiega Sadiq Khan, in questa circostanza Londra sembra essere aperta al monopolio. Non è un caso, infatti, che Khan – figura di spicco dell’ala moderata del partito laburista – abbia deciso di schierarsi dalla parte dei tassisti e delle associazioni a loro affiliate. Non è un caso, inoltre, che nel corso delle ultime elezioni il partito laburista abbia proposto una maggiore regolamentazione del settore al fine di tutelare maggiormente la lobby dei cosiddetti “Black Cabs”. Da un paio di anni a questa parte il Labour ha dichiarato guerra ad Uber. I voti contano e questo Sadiq Khan sembra averlo capito molto bene.
Quello che il “Transport for London” (azienda pubblica di cui Khan è presidente, in quanto sindaco di Londra) ed i tanti luddisti nostrani non riescono a comprendere è che questo attacco rischia di colpire i circa 40 mila contoterzisti che svolgono la loro attività attraverso Uber. La decisione rischia anche di “appiedare” gli oltre 3,5 milioni di londinesi che giornalmente usano i servizi garantiti dalle applicazioni mobili sviluppate da Uber.
Se, come scritto da Sadiq Khan in un articolo per il Guardian, Uber non fosse veramente allineato alle regole del gioco e rappresentasse un vero e proprio pericolo per i consumatori, perché allora nessuna delle altre 19 città britanniche (Manchester, Glasgow, Birmingham, Leeds etc.) in cui opera la compagnia americana ha deciso di seguire il triste esempio di Londra? Perché sempre più londinesi decidono di scaricare le applicazioni mobili di Uber e di usufruire dei servizi offerti? Perché obbligare il 40% dei londinesi ad utilizzare servizi inadeguati, spesso inesistenti (si pensi ai servizi metropolitani notturni), più costosi e meno puntuali?
Le motivazioni della sospensione della licenza sono molto dubbie. La tecnologia aziendale di Uber va oltre gli standard di sicurezza richiesti da Transport for London. Tutti le corse effettuate da Uber vengono registrate automaticamente dai sistemi GPS ed è quindi relativamente facile osservare ogni singolo spostamento. Inoltre, già in passato, uno studio indipendente presentato su richiesta di Transport for London aveva evidenziato che la Greyball – un software che serve per identificare e negare l’utilizzo delle corse ad alcuni consumatori sospettati di violare i termini di servizio Uber – era stata utilizzata solo in determinati casi. A otto anni dalla fondazione, oggi Uber è presente in circa 650 città nel mondo, ha effettuato 2 miliardi di corse nel solo 2016 ed ha superato i 40 milioni di utenti attivi al mese.
Se Uber non fosse sicuro e non rispettasse le regole del gioco sarebbe impossibile spiegare una crescita di mercato così rapida. Ai consumatori Uber piace molto e questo lo si è visto anche dalla petizione online lanciata su Change.org subito dopo la notizia del mancato rinnovo della licenza. Nell’arco di una sola giornata, oltre 530 mila persone hanno firmato per la causa. Inoltre, l’idea che i “Black Cabs” siano “più sicuri” è tutta da dimostrare. Ci siamo forse dimenticati, ad esempio, di David Perry, tassista che ha abusato di una giovane donna durante un servizio e che nel 2015 è stato condannato a 10 anni di carcere? Tutto ciò lascia pensare che la decisione contro Uber rappresenti una classica storia di “regulatory capture” (in altre parole: cattura del regolatore da parte di una lobby).
Con un sistema dinamico di determinazione dei prezzi, dato dall’intersezione di domanda ed offerta, Uber ha sempre garantito, in media, prezzi più bassi rispetto alla concorrenza dei “Black Cabs” e di altri taxi a chiamata. Se il ricorso di Uber non fosse accolto, è normale pensare che nel medio periodo si possa assistere ad un rialzo dei prezzi. Di conseguenza, ancora una volta, coloro che rischiano di rimetterci maggiormente sono i consumatori. Al contrario, la lobby dei tassisti è già pronta a festeggiare. Con il principale concorrente ingiustamente eliminato dal mercato, controllare l’intero sistema sarà più facile. La speranza è che il 13 ottobre la Corte respinga la decisione del “Transport for London”.
Come dimostra la letteratura economica, una deregolamentazione del mercato dei taxi porta a sostanziali vantaggi in termini di benessere generale. Secondo quanto riportato da Adrian Moore e Ted Balaker in un paper del 2006 che analizza 28 studi diversi, nel 70% dei casi la deregolamentazione del settore dei taxi risulta essere molto vantaggiosa.
In generale, la maggior parte degli studi evidenzia come, a seguito della deregolamentazione del settore, il numero totale di taxi aumenti in modo rapido e costante, i prezzi ed i tempi di attesa calino ed i servizi risultino essere più efficienti. Un ottimo esempio viene dall’Irlanda, paese che nel 2000 decise di deregolamentare il mercato dei taxi. Come dimostra Sean Barrett (ex professore presso il Trinity College di Dublino ed ex Senatore irlandese) in uno studio del 2010, i benefici legati alla deregolamentazione del settore furono lampanti. Dal 2000 al 2008 il numero di taxi aumentò di cinque volte: da 4,200 a 21,200. Allo stesso tempo, nella sola Dublino, la quota di passeggeri in grado di trovare un taxi in meno di 10 minuti, passò dal 60 all’85 percento. I prezzi diminuirono e secondo alcuni sondaggi solo il 3% degli intervistati affermò di non essere soddisfatto del servizio offerto. Nel 2010, nonostante tutte queste migliorie, il governo di centro destra guidato da Brian Cowen regolò nuovamente il settore. Come nel caso di Londra, il governo di Cowen fu “catturato” dalla lobby dei tassisti. In economia, il problema della “cattura del regolatore” è un fallimento statale molto comune. Anziché agire nell’interesse pubblico il regolatore agisce a favore di interessi specifici. Il mercato dei taxi è un ottimo esempio.
La decisione del “Transport for London” dimostra anche l’incapacità degli enti di controllo ad adattarsi alla sfida della “sharing economy”. Come spiega bene Michael Munger, professore di economia presso la Duke University (una delle più prestigiose università al mondo), la cosiddetta “sharing economy” tende a ridurre i costi di transazione. Questo effetto positivo porta ad un maggior numero di scambi all’interno dell’economia.
In particolare, la “sharing economy”:
1) permette di ricercare informazioni sui prezzi e sulle opzioni di scelta a nostra disposizione, in modo immediato;
2) garantisce una maggiore trasparenza e qualità dei servizi;
3) favorisce il pagamento in modo sicuro ed elettronico tutte le transazioni riducendo la quantità di conflitto tra le parti coinvolte.
Non è la prima volta che regolatori nazionali o locali cerchino di bloccare lo sviluppo di compagnie come Uber. Negli ultimi mesi anche il nostro paese è stato vittima del peggior luddismo. Basti ricordare la figuraccia del Tribunale di Roma o l’apparizione di Virginia Raggi e del MoVimento 5 Stelle a fianco dei tassisti. A livello europeo, invece, la Corte di Giustizia dovrà decidere entro fine anno se Uber è da considerarsi una piattaforma tecnologica o una semplice azienda di trasporto. Visto il recente accanimento politico, è molto probabile che la Corte confermi la decisione consultiva presa a maggio: ovvero stabilire che Uber non può venire classificato come piattaforma tecnologica. Inutile spiegare al lettore che una presa di posizione simile sarebbe un clamoroso autogol da parte della Corte di Giustizia Europea.
In fin dei conti, la decisione del “Transport for London” è una vittoria del protezionismo tecnologico. Uber, così come molte altre applicazioni mobili, ha la potenzialità di trasformare radicalmente la nostra società. Contrariamente a quanto affermato da Sadiq Khan, fino ad oggi Uber ha sempre garantito ai consumatori una scelta maggiore, un buon livello di sicurezza ed ha stimolato la competizione all’interno del mercato dei taxi. Uber è ormai diventato un simbolo della democratizzazione dei trasporti, dell’innovazione e di un economia più libera e digitale. Nel frattempo, altre piattaforme tecnologiche stanno crescendo. Su tutte, merita sicuramente una menzione speciale Lyft, il nuovo principale rivale di Uber (e dei taxi) negli Stati Uniti. Fondato nel 2012, Lyft è oggi presente in circa 300 città statunitensi.
In realtà il fatto più sconvolgente è la facilità con cui Londra abbia deciso di inchinarsi al monopolio dei tassisti. Se oggi Londra può essere considerata una città internazionale aperta alle nuove tecnologie è proprio perché nel corso degli ultimi tre decenni i regolatori non si sono fatti intimorire da nessuna lobby. Costruire questo tipo di reputazione è molto complicato per una città. Distruggere questa reputazione, invece, può avvenire molto più rapidamente. Sadiq Khan ed il “Transport for London” sembrano però disposti a percorrere questa strada.
Twitter @cac_giovanni