categoria: Res Publica
Elezioni o selezioni? Numeri e dubbi per ragionare sul maxi-concorso della Pa
Pubblichiamo un post di Fedele De Novellis (partner ed economista senior di REF Ricerche) e Sara Signorini (ricercatrice di REF Ricerche) –
Secondo le ultime dichiarazioni del sottosegretario al ministero della Semplificazione e Pubblica amministrazione, Angelo Rughetti, il Governo starebbe studiando un progetto per la sostituzione del personale pubblico che nei prossimi anni andrà in pensione, quasi 500mila persone nei prossimi 4 anni. Un piano di anticipo delle uscite sarebbe, sempre nelle parole del sottosegretario, una “grande occasione” per inserire giovani lavoratori nel pubblico impiego, attraverso un maxi-concorso per sostituire il personale anziano con nuove leve.
Si tratta di un’ipotesi che avrebbe effetti positivi sulle opportunità di ingresso di quanti, soprattutto giovani, si collocano ai margini del mercato del lavoro, e sono alla ricerca di un’occupazione.
Per meglio comprendere le cause e le implicazioni della questione è utile richiamare alcuni andamenti che hanno caratterizzato le tendenze del pubblico impiego nel corso degli ultimi anni.
Innanzitutto, l’occupazione si è contratta in misura significativa, seguendo un profilo decrescente, con una riduzione di 200mila persone fra il 2008 e il 2012, prima di una stabilizzazione nel corso della fase più recente.
L’andamento decrescente dell’occupazione nel pubblico è l’esito fondamentalmente di due politiche che hanno agito in direzione opposta sui livelli occupazionali.
La prima riguarda le uscite. La Legge Fornero ha spostato in avanti l’età per la maturazione del diritto alla pensione ritardando l’uscita dal mercato del lavoro di alcune coorti di lavoratori. Se guardiamo ai dati della Ragioneria generale relativi alle cessazioni dei rapporti di lavoro (prendendo a riferimento le sole cessazioni per pensionamento, per anzianità e vecchiaia), si osserva difatti come queste abbiano subito una drastica riduzione soprattutto nel biennio 2013-2014 rispetto agli anni precedenti.
La seconda riguarda gli ingressi. Le politiche di blocco del turnover hanno cercato invece di ridimensionare lo stock di occupati attraverso una riduzione delle assunzioni. I dati, riferiti ai soli assunti per nomina da concorso, confermano come la caduta dei nuovi ingressi nel pubblico impiego sia risultata relativamente pronunciata dal 2012 in avanti. L’impennata del 2015 ha a che fare con le misure del decreto “La Buona Scuola”, infatti al netto del personale scolastico le nuove assunzioni restano su livelli contenuti.
L’effetto congiunto delle politiche di blocco delle assunzioni da un lato, insieme agli interventi di riforma del sistema pensionistico dall’altro, ha quindi contribuito a determinare un progressivo invecchiamento dello stock di occupati del settore pubblico. L’età media dei dipendenti pubblici è aumentata molto in tutti i comparti, ad esempio, nella scuola l’età media dei dipendenti passa dai 48 anni del 2007 ai quasi 52 del 2015; nella sanità si passa da 46 a 50 anni.
La figura presenta, per l’intero settore pubblico, la composizione dello stock di occupati distinta per fasce d’età, e pone a confronto tre diversi momenti: il 2001, il 2007 e il 2015. L’aumento del peso dei lavoratori “anziani” sul totale degli occupati era un fenomeno già in atto prima dell’inasprimento delle politiche di contenimento del personale pubblico. Le recenti misure hanno di fatto accentuato questa tendenza, tanto che in meno di quindici anni la quota di occupati nel pubblico con più di 55 anni è triplicata, passando dall’11,8 a più del 30 per cento.
È presumibile che questo processo di cambiamento nella struttura anagrafica possa avere contribuito ad aggravare l’arretratezza della Pa italiana, soprattutto in termini di capacità di utilizzo delle nuove tecnologie, un tema sul quale le classifiche internazionali tendono a posizionare il nostro paese nelle posizioni di retrovia, con grave danno per la posizione competitiva dell’intera economia.
Il grafico consente anche di apprezzare per quale ragione nei prossimi anni i flussi in uscita siano destinati ad aumentare rapidamente. Le coorti dei dipendenti pubblici prossimi all’età di pensionamento sono di entità significativa, per cui daranno luogo a decrementi dei livelli occupazionali nella Pa in misura corrispondente man mano che questi lavoratori matureranno il diritto alla pensione.
L’aumento delle uscite dal settore pubblico rappresenta un’occasione importante per conseguire un obiettivo duplice: da un lato è possibile utilizzare la contrazione spontanea degli organici legata ai maggiori flussi in uscita per realizzare politiche di riduzione del personale relativamente indolori dal punto di vista sociale, in modo da razionalizzare le funzioni per le quali sono possibili aumenti dell’efficienza del processo produttivo; dall’altro, sarà possibile incrementare i flussi di lavoratori in entrata nella Pa, favorendo l’ingresso di quelle professionalità in grado di assecondare la ristrutturazione della macchina amministrativa (soprattutto in termini di riduzione dei tempi e del carico burocratico attraverso l’informatizzazione e l’utilizzo delle tecnologie Ict).
L’impressione, dopo le dichiarazioni del ministro, è che le scelte potranno andare soprattutto nella direzione dell’aumento delle nuove assunzioni. Una sostituzione piena dei lavoratori in uscita sancirebbe quindi un definitivo superamento della politica di blocco del turn over.
Di per sé non è detto che questo sia un errore, tale scelta non può però essere valutata soltanto dal punto di vista della dimensione quantitativa dello stock di dipendenti pubblici. Fondamentale accostare alla dimensione quantitativa degli interventi anche la capacità di governare i processi dal punto di vista qualitativo, attraverso un upgrade delle competenze e un aumento della produttività del settore pubblico.
Da questo punto di vista, desta qualche perplessità l’ipotesi che si possa provvedere alle nuove assunzioni in tempi rapidi, evidentemente rispondendo più alla tempistica delle elezioni che a quella delle selezioni. Le recenti critiche sollevate da molti alle modalità di allargamento dell’organico nelle scuole dovrebbero indurre a riflettere.
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