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La crisi del politicamente corretto: cosa resta di Esg, Woke e Dei?


Di recente il mondo di Hollywood è stato scosso da un piccolo terremoto. Non è il Big One di cui si parla spesso, ma il fallimento epico del live action di Walt Disney: Bianca neve e le sette creature fantastiche (in origine i “sette nani”). Walt Disney negli anni di Obama e Biden ha abbracciato la filosofia DEI (Diversity, Empowerment, Inclusion) e la sua “evoluzione sociale” chiamata WOKE (risveglio o risvegliato). Purtroppo per Disney le pellicole (film o serie tv) lanciate su questa scia, quindi con personaggi principali e secondari che includessero filosofie e approcci DEI/Woke, sono stati dei fallimenti parziali (Star Wars Acolyte) o totali, come il menzionato Biancaneve.
Il tema Woke/Dei, che va in parallelo con il mondo ESG sono visioni sicuramente corrette in ambito sociale, ambientale e politico. Tuttavia se vengono declinate nel mondo aziendale possono generare delle situazioni critiche. Ora con Trump queste filosofie vengono violentemente allontanate o silenziate nei grandi gruppi americani. Se il caso Disney può sembrare divertente, meno per i manager di Topolino, ricordiamoci che ad oggi da inizio 2025 circa 8 miliardi di dollari di valore di progetti solari, eolici sono stati cancellati.
È la fine della Woke/Dei e ESG economy? Facciamo il punto.
Prima fu la Corporate responsability, poi ESG, DEI e infine il Woke
Friedman, padre del capitalismo americano e in seguito del globalismo, fu il primo ad accorgersi della “Corporate responsability”. Negli anni ’70 si cominciava a discutere il fatto che le aziende, specialmente le multinazionali che con il loro agire potevano influenzare il mondo intero sempre più interconnesso, dovessero avere un ruolo e una reponsabilità che andava a incoraggiare il benessere sociale e ambientale. Friedman, in un famoso editoriale sul New York Times, spiegò a chiare lettere che l’unica responsabilità sociale di una azienda era fare soldi per gli azionisti.
Negli anni lui e i Chicago boys furono promotori di numerose iniziative per “invitare” i governi non capitalisti a purgare i potenziali governi troppo socialisti (il caso Allende in Cile) o a promuovere soluzioni sempre più legate alla valorizzazione del capitale e della finanza rispetto alla manifattura (Regno Unito Tacher). Pur con l’opposizione di Friedman, e dei suoi Chicago Boys, la responsabilità sociale riuscì ad emergere. Lentamente le mutilazioni americane l’integrarono nelle proprie politiche di sviluppo. Le aziende americane si erano accorte che una crescete parte della popolazione di consumatori pretendeva più “umanità”, da parte delle aziende che vendevano loro prodotti o servizi.
L’alba dell’Environment, Social and Governance (ESG)
Nacque l’ESG: Enviroment (Ambiente), Social (sociale o società civile) e Governance (gestione o guida di una azienda). In parallelo con lo spostamento degli equilibri del mondo da una realtà bipolare (Occidente vs. URSS) a una Pax Americana il mondo occidentale adottò l’ESG. Negli anni i prodotti ESG, finanziarizzati, divennero strumenti di investimento massiccio da parte dei gruppi finanziari Occidentali.
Poi giunse il DEI: Diversity (diversità), Empowerment (Potenziamento) e Inclusion (inclusione). Nata da una costola del ESG (la S in particolare) implicava una crescente visione, da parte delle aziende, di integrare ogni “percezione” sociale e umana. Politiche a favore di una maggiore inclusione di donne, persone appartenente a categorie LGBTQ+, persone diversamente abili; il tutto per favorire una maggior equilibrata società. Le multinazionali ci si buttarono: dopo tutto l’adottare questa visione portava grandi vantaggi in termini di maggior “vicinanza” ai propri clienti/consumatori.
La crescita del fenomeno Woke, da Obama in avanti
In ultimo, a partire dalla presidenza Obama, giunse la WOKE: ufficialmente nata verso il 1930 (da allora conosciuta solo negli ambienti afro americani) è stata rilanciato dalla presidenza Obama per descrivere qualcuno che è informato, educato e cosciente delle ingiustizie sociali e razziali che le minoranze americane (il gruppo afro americano prima di tutto) hanno subito. Negli 8 anni dell’amministrazione Obama e i successivi 4 di Biden il fenomeno Woke, grazie anche al movimento Black lives matter (BLM), si espanse e crebbe in termini social ed economici. Pur con gli scandali che han colpito il movimento BLM la dottrina Woke è divenuta main stream. Tutte le multinazionali americane l’hanno adottata, imponendola, con la loro proiezione, a tutto il mondo Occidentale.
Con le elezioni di Trump, che ha cavalcato anche una visione anti Woke, le multinazionali hanno rapidamente deciso di scaricare il più velocemente possibile la visione Woke, Dei e in molti casi anche ESG. Il mondo finanziario è stato il primo: da Morgan Stanley a Goldman Sachs è stato una veloce inversione a U. Poi sono arrivati gli altri: McDonalds, Deloitte sino ai colossi del BigTech come Google. Tutti a scappare da Dei, Woke e Esg: il mondo delle multinazionali ha deciso, probabilmente per ingraziarsi il nuovo presidente di scaricare dottrine che non erano più finanziariamente sostenute dal governo (e di conseguenza divenute un onere per le aziende. E non più un vantaggio fiscale o finanziario). È veramente la fine del DEI e ESG? Non proprio. Parliamone.
ESG e Occidente: le contraddizioni
Tra DEI e ESG il secondo è quello più radicato nell’ecosistema finanziario occidentale. Sono molte, infatti, le aziende che vi hanno investito in termini di processi e capitali. Di recente tuttavia l’Unione Europea, il più grande mercato finanziario per i temi ESG, ha definito normative più precise. Stringenti per definire cosa sia veramente ESG e cosa no. Stante l’analisi della stessa Unione Europea, con i nuovi parametri, poco meno del 15% di quello che era considerato ESG è veramente sostenibile. Di fatto l’80-85% di quel che le aziende hanno investito, finanziariamente, e considerato ESG, non lo è. Questo riconoscimento potrebbe porsi come un fenomeno negativo per le molte aziende, finanziarie o meno, che han investito in parametri e prodotti che ritenevano ESG, e che, Unione Europea alla mano, si sono rivelati non ESG.
“Gli investimenti ESG hanno registrato un’impennata di popolarità negli ultimi due decenni”, spiega Marcello Presicci Presidente Advisory Board di Feduf (Fondazione per l’Educazione Finanziaria e al Risparmio). “Gli asset ESG globali hanno superato i 30 trilioni di dollari Usa (USD) nel 2022 e sono sulla buona strada per superare i 40 trilioni di USD entro il 2030, rappresentando oltre un quarto dei 140 trilioni di USD di asset in gestione (AUM) previsti entro l’inizio del decennio, secondo l’ultimo rapporto ESG di Bloomberg Intelligence. Inoltre, gli investimenti ESG non sono più una prerogativa dei mercati pubblici. A novembre 2023 vi erano circa 2.800 fondi ESG a capitale privato con un totale di 1,1 trilioni di USD in asset.
Asset ESG pubblici, una crescita sostenuta
La crescita degli asset ESG pubblici è stata in media di circa il 12% annuo tra il 2016 e il 2020, ma si prevede che scenderà al 3,5% tra il 2022 e il 2030. In una certa misura, questo è naturale dopo un periodo di crescita robusta ma riflette anche una recente reazione negativa agli investimenti ESG, come riflesso di un rallentamento nei lanci di fondi ESG. Ciò non significa, tuttavia, che il settore finanziario stia canalizzando meno investimenti verso iniziative sostenibili. Gli investimenti globali nella transizione energetica, ad esempio, hanno raggiunto un record di 1,8 trilioni di dollari nel 2023. Ma per raggiungere lo zero netto entro il 2050, gli investimenti globali nella transizione energetica devono raggiungere una media di 4,8 trilioni di dollari all’anno tra il 2024 e il 2040, quasi il triplo della spesa del 2023. Il settore finanziario ha un ruolo cruciale da svolgere nel colmare questo divario”.
Dopo l’enfasi ESG, la disillusione e un nuovo equilibrio
Sul tema anche Federico Frattini, Dean del POLIMI Graduate School of Management, ha le idee chiare. “Da un lato, si tratta sicuramente di una reazione agli eccessi generati da scorciatoie semplici o interpretazioni vuote e opportunistiche da parte di molti attori del sistema economico dei temi ESG e degli obiettivi correlati. Troppe imprese hanno interpretato gli ESG come qualcosa di distaccato dalla loro strategia e come un impegno costoso e che confligge con l’obiettivo sacrosanto di creare valore per gli azionisti. Inoltre, c’è da considerare un ciclo naturale delle aspettative e degli entusiasmi nelle imprese, per cui ad un periodo di enfasi e di grande attenzione, segue una disillusione e un riassetto del sistema, dove ci si può assestare su un livello più sano, consapevole e convinto di impegno sui temi ESG.”
Le scelte della UE ovviamente non vogliono minare gli investimenti ESG, ma contenere o meglio ancora contrastare il fenomeno dei “finti investimenti verdi” e tutte quelle azioni aziendali volte solo in apparenza a supportare e rispettare l’ambiente. Il fenomeno è noto come greenwashing, ed è una piaga che è dilagata nei decenni.
Una scintilla negativa: il greenwashing
“Un altro fattore che scatena la reazione negativa agli investimenti ESG è il greenwashing, che nel settore della gestione patrimoniale consiste in affermazioni infondate o fuorvianti sulle caratteristiche ESG e sui vantaggi di un prodotto di investimento”, c”onferma Presicci. “I gestori patrimoniali sono anche alla ricerca di modi per valutare in modo più efficace se le aziende in cui investono stanno rispettando i loro impegni ESG. Una possibile soluzione è quella di utilizzare l’intelligenza artificiale (IA) per setacciare e analizzare vaste quantità di dati per colmare le lacune nei set di dati ESG e valutare la comunicazione delle aziende rispetto a una stima intelligente delle prestazioni effettive su questi indici. Oltre a riallocare il capitale al fine di ottenere un impatto ESG, il settore degli investimenti talvolta cerca anche di guidare il cambiamento attraverso l’impegno e la gestione responsabile, ciò include discussioni dirette con le società in cui si investe per incoraggiare specifici corsi di azione e condividere progetti a beneficio della comunità.
“Se gli aspetti tecnici sono importanti si deve considerare anche il mutato clima politico prima di tutto negli Stati Uniti e in scia in Europa”, chiarisce Frattini.
Il ruolo delle politica: le grandi quotate si riposizionano
“Inoltre, bisogna considerare anche il tema del ciclo politico che oggi premia posizioni più conservative, se non populiste. Le aziende, specialmente le grandi e quotate, si allineano e si riposizionano anche su questi temi. Dobbiamo prestare attenzione però al fatto che la politica gioca un ruolo fondamentale in questo contesto. Definisce le regole del gioco entro cui le imprese competono. E quindi è naturale che se la politica, sbagliando a mio avviso, non si impegna ad incoraggiare le imprese a combinare la ricerca di un impatto positivo mentre massimizzano il loro profitto, questo influenzi anche il comportamento delle imprese. La politica ha responsabilità fondamentali nell’indirizzare il comportamento che le aziende assumono. Come prima esistevano troppi facili entusiasmi ed esagerazioni sul tema ESG, ora non è tutto perduto e non bisogna credere che gli impegni delle imprese in questi temi si esauriranno. Entriamo in un periodo di ricerca di un nuovo equilibrio, un po’ di sana pulizia sul tema sostenibilità forse farà bene a tutti restituendo dignità ad un tema che stava rischiando di diventare una foglia di fico”.
Stakeholder activism & aziende. Un rapporto complicato
La recente attività di realtà finanziarie di Stake holder activists, le scelte politiche e la spinta (in Usa in particolare) verso strategie Woke invise alla maggioranza della popolazione, potrebbero ulteriormente influenzare le scelte di aziende private e legislatori politici Eu e Usa.
Ovviamente ogni azienda e nazione decide per sé stessa, ma si può notare una crescente insofferenza delle leadership di destra nei confronti del mondo Woke e Esg. Ad esse si aggiungono operazioni di Stakeholder activism. Un fenomeno recente che vede operatori finanziari investigare le politiche “Dei e ESG” e, nel caso tali politiche non siano fedelmente perseguite e dispiegate dalla “azienda bersaglio” riportare ai media il greenwashing della azienda bersaglio. Al netto di quel che potrebbe sembrare una operazione di giustizia sociale, le aziende che fanno “stakeholder activism” si posizionano in modo da trarre vantaggio dalla sciagura dell’azienda bersaglio che hanno indagato.
Pur un fenomeno limitato queste aziende hanno influenzato ulteriormente le politiche delle multinazionali americane. Come si vogliono promuovere le grandi aziende, dalle Big tech alle aziende consumer, è un aspetto vitale per l’evoluzione di Dei e Esg.
Due casi esemplari: Meta e BlackRock
“Mark Zuckerberg ha interrotto tutte le politiche DEI di Meta, fatto che segue ad annunci simili del passato di brand come Harley Davidson e Jack Daniels”, ricorda Frattini. “Un fatto che lascerebbe presupporre di voler rinunciare, in termini di attenzione da parte delle risorse umane, a parità di genere, differenze etniche e religiose, diritti LGBTQ+. L’esplosione della litigation, ossia contenziosi in cui le politiche DEI sono state accusate di creare discriminazione al contrario, ovvero di difendere un gruppo facendone sentire esclusi altri. Anche nel mondo finanziario, una realtà come BlackRock, il più grande gestore di patrimoni finanziari del mondo, che ha deciso di uscire dalla Net Zero Asset Managers Initiative, alleanza di oltre 325 gestori di risparmi nata per supportare l’obiettivo dell’Onu dell’azzeramento delle emissioni di gas serra entro il 2050″.

Un post su X di NetZeroWatch
Per quanto riguarda BlackRock, non credo che la scelta sia relativa ad un tema di sostanza, continuerà ad allocare importanti risorse agli investimenti sostenibili. È probabilmente uscita dall’alleanza per evitare una eccessiva esposizione e una logica di azione collettiva. Altro esempio è il cambio di comportamento di Unilever. Sia l’Unilever Sustainable Living Plan sia il Compass (messi a punto da Paul Polman e il suo successore) prevedevano più o meno la stessa cosa: conciliare una serie sempre più pressante di sfide di sostenibilità con i rendimenti degli azionisti, la quota di mercato, i margini, ecc. Ora sono stati sostituiti dal Growth Action Plan con il nuovo CEO Schumacker con focus sulla crescita e riduzione degli obiettivi di SDGs”, conclude Frattini.
Sul tema e le relazioni tra società civile, aziende e Woke/Dei anche Presicci ha le idee chiare.
La ribellione a Woke, DEI e ESG di un’ampia quota della classe dirigente USA
“E’ di tutta evidenza come larghe porzioni della classe dirigente americana – e del popolo stesso – mostrino segni di insoddisfazione per le strategie dei quadri aziendali woke atte ad integrare politiche sociali progressiste nelle operazioni aziendali. Il numero di investitori che affermano che le aziende prestano troppa attenzione alla DEI è aumentato di oltre il 35% lo scorso”.
“I funzionari finanziari di quindici stati che gestiscono circa 590 miliardi di dollari – continua Presicci – hanno scritto una lettera alle aziende Fortune 1000 sostenendo la fine della DEI. Diciannove stati guidati dai repubblicani si sono impegnati a opporsi agli investimenti ESG nelle pensioni statali e in altri tipi di investimenti. Il Texas ha vietato alle banche di sottoscrivere obbligazioni municipali per le politiche ESG. La Florida ha disinvestito 2 miliardi di dollari da BlackRock per contrastare gli investimenti woke. Per colmare il vuoto, gestori di investimenti come GuideStone Funds, Inspire e Knights of Columbus hanno offerto fondi basati sulla fede che contrastano le politiche progressiste e hanno raccolto miliardi di dollari”.
L’elezione di Trump e la resa dei conti sociale in America
“L’elezione di Donald Trump nel 2024 ha evidenziato una resa dei conti sociale in America che fermenta da diversi anni; anche per questo gli investitori al dettaglio e gli stati conservatori hanno riassegnato i fondi dagli investimenti “woke” a fondi più adatti alla società. In risposta, aziende come Amazon, BlackRock e Meta hanno riallineato i loro valori aziendali per adattarli meglio al populus. I fondi sostenibili sono stati trascinati verso il basso dalla reazione sociale contro gli investimenti ESG, ma nonostante ciò restano molto popolari. Le tendenze degli investitori e dei consumatori suggeriscono quindi che le cause sociali progressiste potrebbero continuare a perdere supporto in futuro”.
Come Esg, Dei e Woke si manifesteranno nei prossimi anni è un tema che non riguarda solo la società civile: sono miliardi gli investimenti da parte di fondi finanziari, Sgr e fondi pensioni che negli anni potrebbero spostarsi, abbandonando le aziende che non si allineano con il nuovo pensiero sociale e civile occidentale. Con 4 anni di leadership di Trump, e una possibile continuazione delle stesse politiche con il vice Vance, il mondo di Esg, Dei e Woke affronterà delle sfide che definiranno la sua evoluzione o la sua caduta.
Enrico Verga
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