Lingue morte o cervelli in letargo?

scritto da il 21 Aprile 2025

Post di Silvano Joly, Business Advisor in Deloitte 

No hay lenguas muertas sino cerebros aletargados“. Questa è una celebre frase tratta dal libro “L’ombra del vento” di Carlos Ruiz Zafón, uscito nel 2001 e ambientato a Barcellona nel 1945, racconta del giovane Daniel Sempere, figlio unico di un libraio di testi antichi che vive in un mondo segnato dalle cicatrici della guerra civile. L’eco del conflitto non risuona solo tra le vie della città, ma anche nella sua memoria, offuscando il ricordo del volto materno, strappatogli via dal colera.

Nel giorno del suo undicesimo compleanno, il padre lo conduce in un luogo magico e segreto: il Cimitero dei Libri Dimenticati. Un dedalo di scaffali polverosi custodisce innumerevoli volumi salvati dall’oblio. Qui, secondo un’antica usanza, Daniel deve scegliere un libro e giurare di proteggerlo per sempre. La sua mano si posa su “L’ombra del vento” di un certo Julián Carax, un nome sconosciuto destinato a risuonare profondamente nella sua anima.

Immerso tra le pagine, Daniel viene stregato dalla narrazione. La sua curiosità lo spinge a cercare altre opere di Carax, ma ben presto si imbatte in una sconcertante verità: la sua copia potrebbe essere l’unica superstite. Questa scoperta lo proietta in un’indagine che lo porterà a scontrarsi con un oscuro individuo, un’ombra sinistra di nome Laín Coubert, ossessionato dalla distruzione di ogni traccia letteraria di Carax. Un nome inquietante, lo stesso del demonio che popola le pagine dei suoi romanzi.

Attraverso le sue ricerche, Daniel si addentra nel cuore pulsante di una Barcellona ferita, dove le ombre del passato si allungano sul presente. Le sue indagini svelano storie di famiglie spezzate, amori proibiti e fatali, infanzie segnate dalla sofferenza, amicizie incrollabili, lealtà cieca e una follia omicida che serpeggia tra le righe del destino.

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Quanto è attuale questo libro?

Questa ricerca decennale, che accompagna Daniel nel suo passaggio dall’adolescenza all’età adulta, diviene metafora di una verità più ampia e sottile. Proprio come i libri dimenticati nel Cimitero, anche nel vivace mondo del lavoro si celano “lingue morte” che in realtà pulsano di una vitalità inaspettata. Mentre le nostre menti, forse pigre e assuefatte all’uso predominante dell’inglese, rischiano di relegare nell’oblio la ricchezza del latino, la profondità del greco e la melodiosa espressività dell’italiano, queste lingue continuano a vivere, silenziose ma potenti, depositarie di un sapere e di una cultura che rischiano di andare perduti.

L’indagine di Daniel sul mistero Carax si trasforma così in una riscoperta di un patrimonio linguistico e culturale che attende solo di essere riportato alla luce, un monito contro l’appiattimento di un pensiero dominato da un’unica lingua franca. Le vicende intrecciate di Daniel e di Carax rivelano un sorprendente parallelismo, un eco di storie che si riflettono l’una nell’altra, fino alla rivelazione di un segreto inconfessabile, un segreto che forse custodisce anche il valore inestimabile di quelle “lingue morte” che continuano a parlarci, se solo fossimo disposti ad ascoltarle.

Le lingue come la tecnologia?

Oggi non si parla che di Intelligenza Artificiale, che potrebbe alienarci dalla pienezza dell’esperienza umana, ed a latere ecco l’eccessiva dipendenza da un inglese spesso semplificato e funzionale che potrebbe condurci a una sorta di “letargo intellettuale” e linguistico. Parliamo, scriviamo, facciamo presentazioni cercando una comunicazione efficace. Bene, ma a quale costo? Perdiamo la sottigliezza delle sfumature, la precisione terminologica che solo una profonda conoscenza delle lingue classiche e della nostra lingua madre può offrire.

Nel contesto lavorativo, questo si traduce in una potenziale perdita di competitività e innovazione. Un professionista che padroneggia le radici linguistiche del pensiero occidentale possiede uno strumento analitico più affinato, una capacità di problem solving più creativa e una comprensione più profonda delle dinamiche culturali sottese alla comunicazione internazionale. Il latino, con la sua rigorosa struttura logica, affina il pensiero deduttivo. Il greco, culla della filosofia e della retorica, nutre la capacità di argomentazione e di concettualizzazione. L’italiano, con la sua musicalità e precisione, permette una comunicazione sfaccettata e persuasiva.

Rinunciare a coltivare queste competenze linguistiche, anche nel mondo del lavoro, significa accettare un impoverimento del nostro potenziale intellettuale, un appiattimento delle nostre capacità espressive. L’ammonimento di Zafón al giovane Daniel risuona con forza anche nel nostro contesto professionale: non lasciamo che la facilità apparente di un unico idioma globale ci conduca a un sonno della ragione linguistica, privandoci della ricchezza inestimabile delle lingue dei nostri avi, lingue tutt’altro che morte, ma solo in attesa di essere risvegliate dal nostro “letargo cerebrale”.

Ma sarà vero?

La mia potrebbe sembrare una giaculatoria nostalgica, protezionistica (attuale in questi tempi di dazi, ah già: dal latino Datum) della lingua che fu di Demostene, Cicerone, Dante… ma non è così e ve lo dimostro! Quanti modi di dire inglesi hanno in realtà un corrispondente latino? O Greco? Quante volte li usiamo pensando di parlare in inglese? Ce ne sono moltissime ma ecco due elenchi, uno di parole e un altro di modi di dire che hanno radici ben più profonde della nascita degli “Angli”, che in vero furono poco più che una colonia normanna fino al 12mo secolo:

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Merita uno spazio ad hoc la parola inglese ultracrepidarian, che deriva da “Sutor, ne ultra crepidam” “Ciabattino, non oltre il sandalo frase di Apelle di Coo pittore di cui non si hanno dipinti ma che si è comunque guadagnato fama immortale e che aveva l’abitudine di esporre le sue opere fuori dalla bottega per sentire i commenti dei passanti. Una volta un ciabattino notò che un sandalo era fatto male. La sera stessa, Apelle corresse l’errore e il giorno dopo il ciabattino criticò anche la raffigurazione di una gamba. Il pittore lo sentì è urlò “Sutor, ne ultra crepidam!» cioè ‘Ciabattino, non oltre il sandalo!”  Dall’Ottocento sono state coniate parole inglesi come ultracrepidarian e ultracrepidarianism, che indica l’atteggiamento, ennesimo caso  in cui una lingua straniera  reinventa una parola dal bacino classico. Sul sito di Una Parola al Giorno leggete tutta la storia di questo latinismo anglosassone diventato ancheuna parola italiana!

Un equilibrio linguistico aiuta nel Business o meglio nel Negotium?

E’ un fatto che l’inglese è la lingua franca per eccellenza, è uno status a livello internazionale, direi intergalattico, pensando al Voyager 1, sia come numero di locutori (che bello il latino: avrei dovuto dire coloro che la parlano) che come standard di comunicazione in ambito economico, politico, culturale, professionale, tecnico-scientifico e non solo.

Quindi non vi è forse bisogno di alcun dibattito sulla sua importanza nel panorama lavorativo contemporaneo. Ma se l’inglese si configura come ponte linguistico che connette mercati e professionalità diverse, l’italiano e le lingue classiche, rappresentano un pilastro della nostra identità culturale e un veicolo di espressione ricco e sfumato.

Anche se non più parlate come idiomi quotidiani, il latino e il greco continuano a irradiare la loro influenza nel tessuto stesso delle lingue moderne, inclusi l’inglese e l’italiano. Il loro studio non si esaurisce in un esercizio di erudizione accademica, ma costituisce un vero e proprio allenamento per la mente. La complessità strutturale del latino e la precisione concettuale del greco affinano le capacità logiche, analitiche e deduttive, dotando chi le studia di una forma mentis particolarmente agile e versatile.

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L’inglese è la lingua franca per eccellenza, è uno status a livello internazionale, direi intergalattico, ma il latino e il greco continuano a irradiare la loro influenza nel tessuto stesso delle lingue moderne, incluso ovviamente l’italiano. (Immagine generata da ChatGPT)

Vestigia del passato o lingue che nutrono e arricchiscono?

Si può svegliare un “cervello in letargo” con la ricchezza dimenticata dei libri ed una rinnovata relazione con il patrimonio linguistico? Possiamo lasciare la vocazione all’efficienza comunicativa globale dell’inglese, che tende a semplificare e standardizzare l’espressione, ci fa perdere le sfumature e la profondità semantica delle lingue con radici storiche e rischia di indurci a una sorta di pigrizia intellettuale, oltre che appiattire la nostra sensibilità linguistica?

Io penso di sì: anche nel contesto professionale, la consapevolezza linguistica si traduce in un vantaggio competitivo tangibile. La padronanza delle radici classiche del lessico scientifico, tecnico, giuridico e manageriale conferisce una maggiore sicurezza nell’utilizzo della terminologia specifica e una più profonda comprensione dei concetti sottostanti. La capacità di argomentare con logica rigorosa, affinata dallo studio del greco e del latino, si rivela preziosa in ogni ambito lavorativo.

Italiano, latino e greco non sono vestigia di un’epoca passata, bensì un fertile “sottosuolo” linguistico che nutre e arricchisce sia l’italiano che la nostra capacità di utilizzare l’inglese in modo più efficace e consapevole. Coltivare la conoscenza di queste lingue antiche non significa certo rinunciare alla praticità dell’inglese globale, ma piuttosto integrarla con una profondità di comprensione e una ricchezza espressiva che possono fare la differenza nel competitivo mondo del lavoro odierno.

Il vero equilibrio linguistico risiede nella capacità di muoversi con agilità nell’inglese contemporaneo, senza dimenticare la ricchezza identitaria dell’italiano e la feconda eredità intellettuale del latino e del greco, lingue tutt’altro che morte, ma pronte a rivivere nella consapevolezza di chi le riconosce come preziose alleate nel proprio percorso professionale.

Altro che lingue morte: un Club e un video

Una pratica che possiamo coltivare con buone letture nei momenti di Otium e valorizzare nelle attività lavorative ovvero nel Negotium. Se il negotium, ed il negotiate, ci assorbono con richieste incessanti e ci spingono verso la praticità immediata dell’inglese globale, è nell’Otium, spazio di libertà intellettuale e di svago creativo, che possiamo coltivare le competenze linguistiche che ci aiuteranno ad essere migliori e unici nel nostro percorso professionale. Il “tempo libero” dedicato all’esplorazione delle radici della nostra cultura e del nostro linguaggio non è tempo perso, ma un fertile terreno per seminare nuove competenze e prospettive.

Esistono anche molti gruppi e associazioni, a Torino segnalo il  Club di Cultura Classica,  fondato nel 2004, dalla passione inesauribile del professor Ezio Mancino, emerito docente di lettere antiche del prestigioso Liceo D’Azeglio, che fonda le sue motivazioni in una verità fondamentale: l’origine di tutte le lingue europee è un terreno comune, un albero genealogico che riconduce gli idiomi parlati oggi nel nostro continente al latino e, ancora più indietro, alla culla del pensiero occidentale moderno, il greco antico. Perché, come ben sapeva il professor Mancino, comprendere appieno la nostra identità presente e la direzione del nostro futuro passa inevitabilmente dalla conoscenza delle nostre origini.

Se siete sopravvissuti sinora, per riprendervi, vi propongo questo video della professoressa Cinzia Manfredi, poliedrica “umanista” Torinese, insegnante, giornalista ma anche conduttrice radiofonica su RTL, oggi Presidente del Club di Cultura Classica che, partendo proprio dal libro di Zafòn, ci fa scoprire quante volte parliamo latino e greco esprimendoci in inglese!

Grazie e spero nei vostri commenti.