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Fusioni e acquisizioni, i dazi di Trump avvelenano i pozzi?


Post di Nicolò M. Joswig – AD & Co-Founder Startex AI –
Con il ritorno alla Casa Bianca, Donald Trump ha riacceso le tensioni protezionistiche globali: dazi generalizzati, escalation verbali con Pechino, minacce all’Europa, e poi – quasi improvvisamente – la marcia indietro. Una sospensione, più che una rinuncia, arrivata solo dopo che i mercati avevano già scontato il colpo: oltre 14.500 miliardi di dollari bruciati in cinque giorni, fuga dagli asset americani e prime crepe nella fiducia globale verso il dollaro.
Nel mezzo di questo shock, il mondo delle fusioni e acquisizioni si è ritrovato in una posizione fragile: la fiducia, linfa vitale dell’M&A (merger & acquisition), è venuta meno. Deal posticipati, valutazioni in caduta, nuove incertezze regolamentari. Le aziende, bloccate tra cautela e necessità di adattamento, si muovono a vista. Alcune congelano i piani. Altre, al contrario, reagiscono: acquisiscono, si fondono, ristrutturano per riposizionarsi in un mondo che cambia. Solo un punto rimane saldo: l’incertezza è un veleno sistemico.
Dazi e incertezza: quando fusioni e acquisizioni si fermano
Nel mondo delle fusioni e acquisizioni, la previsione è tutto. Ma in uno scenario in cui dazi e contro-dazi vengono annunciati, sospesi e riformulati nel giro di pochi giorni, stimare flussi futuri, margini operativi o rischi di supply chain diventa quasi impossibile. E il risultato è inevitabile: le trattative rallentano o si congelano.
Secondo KPMG, solo l’annuncio dei nuovi dazi su Messico e Canada ha congelato decine di trattative nel primo trimestre del 2025. Dato testimoniato e confermato anche da Alessandro Soprano, partner KPMG, al Merger & Acquisition Summit 2025 organizzato dal Sole 24 Ore a Milano. Gli operatori – acquirenti, venditori, advisor – si trovano a navigare al buio, senza punti fermi su cui ancorare valutazioni e strategie. La volatilità di mercato, unita alla perdita di fiducia sistemica, ha trasformato l’attendismo in una nuova normalità.
I dati parlano chiaro: nei primi tre mesi dell’anno, le operazioni M&A annunciate a livello globale sono scese del 25% rispetto al 2024, toccando i minimi da oltre due decenni. Solo negli Stati Uniti – che rappresentano quasi la metà dell’intero mercato – il calo è stato del 13%. E secondo Bloomberg, mai un anno con un primo trimestre negativo è riuscito a chiudere in crescita.
Fusioni e acquisizioni come leva strategica per aggirare i dazi?
Non tutte le aziende però si fermano. Se da una parte molti deal si congelano, dall’altra c’è chi sceglie di muoversi. In questo nuovo contesto, le operazioni di M&A diventano una risposta strategica: acquisire, fondersi, dismettere o rilocalizzare sono strumenti per ridisegnare supply chain, presenza geografica e struttura industriale.
Una delle tattiche più diffuse è l’“acquisto difensivo”: aziende estere, colpite dalle nuove barriere doganali, iniziano ad acquisire stabilimenti o filiali produttive direttamente negli Stati Uniti, per continuare ad accedere al mercato evitando i dazi. In sostanza, saltano il confine tariffario comprando sul territorio.
Crescono anche le operazioni mirate a riorganizzare la produzione su scala globale: M&A “di riallocazione”, con imprese che spostano impianti e fornitori da aree colpite (come Cina o Messico) verso paesi meno esposti, oppure che stringono alleanze strategiche per condividere rischi e logistica.
In altri casi ancora, si tratta di dismissioni tattiche: vendere asset in paesi divenuti meno convenienti per concentrare risorse su mercati più sicuri o regolatori più prevedibili. Non è solo una questione di sopravvivenza: per molti gruppi industriali, il reshaping della geografia produttiva è un modo per rafforzare la competitività in un mondo frammentato.
Il ruolo del micro M&A e della digitalizzazione
Ma il vero motore “silenzioso” di adattamento si sta rivelando il micro M&A. In un tessuto produttivo frammentato come quello italiano – fatto di piccole e medie imprese – le operazioni sotto i 50 milioni stanno diventando il principale strumento di reazione sistemica. Aggregazioni tra Pmi, acquisizioni tra pari, incorporazioni guidate da fondi verticali: tutto questo permette alle aziende di scalare, strutturarsi e restare competitive, anche in uno scenario globale altamente instabile ed imprevedibile.
In questo contesto, la digitalizzazione dell’M&A sta rappresentando una leva trasformativa. Le nuove piattaforme intelligenti. basate su intelligenza artificiale, automatizzano e semplificano processi storicamente complessi e costosi, rendendo le operazioni di acquisizione e cessione più accessibili, rapide e precise. In merito troviamo player consolidati in America come Acquire e Flippa, mentre in Europa e in Italia stanno emergendo varie startup innovative rilevanti. Algoritmi di matching analizzano in tempo reale le esigenze di acquirenti e venditori, incrociando dati, settori, dimensioni e obiettivi strategici per favorire connessioni ad alta compatibilità.

Quando regna l’incertezza avvelena i mercati, i deal si congelano. Ma c’è chi sceglie di muoversi. In questo contesto, fusioni e acquisizioni diventano una risposta strategica (Designed by Freepik)
Questo approccio sta abbattendo le barriere tradizionali dell’M&A, riducendo tempi, costi e asimmetrie informative. Le PMI possono ora accedere a strumenti digitali che prima erano appannaggio solo delle grandi corporate: valutazioni automatiche, deal room integrate, servizi bancari e fintech, supporto professionale on demand, fino a marketplace dinamici in grado di generare opportunità anche tra startup, microimprese e investitori specializzati.
In questo scenario, fusioni e acquisizioni non sono più solo finanza straordinaria: sono infrastruttura digitale per l’evoluzione del tessuto imprenditoriale. Un ecosistema in cui innovazione, efficienza e connessione diventano fattori abilitanti per garantire continuità, crescita e competitività.
Non solo questione di strategia industriale o ritorno finanziario
Nel contesto attuale, fare un’acquisizione significa anche fare politica. Le scelte protezionistiche dell’amministrazione Trump e le reazioni di Cina, UE e Canada, hanno trasformato le fusioni e acquisizioni in un campo minato regolatorio e diplomatico. Gli Stati Uniti hanno rafforzato il ruolo del CFIUS, bloccando o condizionando operazioni che coinvolgono attori stranieri in settori ritenuti strategici come semiconduttori, cloud, difesa o dati sensibili. La Cina risponde con la stessa moneta, e nel frattempo, molti deal cross-border si rallentano, si riformulano o si spostano verso aree più geopoliticamente neutrali.
Oggi le imprese valutano fusioni e acquisizioni anche sulla base di alleanze internazionali, trattati commerciali, equilibri diplomatici. Non è più solo una questione di strategia industriale o ritorno finanziario. Sempre più spesso, si privilegiano operazioni intra-blocco – tra aziende europee o asiatiche, per esempio – rispetto a fusioni transatlantiche, proprio per evitare l’instabilità legata a nuove barriere, tariffe o ritorsioni.
La diplomazia è diventata una variabile strategica
In parallelo, l’amministrazione Trump spinge su un’agenda di deregulation interna. Un approccio più accomodante in materia antitrust ha già permesso il ritorno di alcuni megadeal nazionali, precedentemente bloccati sotto l’era Biden. Il risultato è un panorama spaccato: da un lato, un’estrema difficoltà nel gestire operazioni transfrontaliere; dall’altro, un contesto domestico in cui consolidarsi è più semplice, veloce e politicamente sostenuto.
Questa nuova configurazione tocca direttamente i settori più esposti. Nell’automotive, i dazi al 25% hanno messo in discussione il modello produttivo nordamericano, spingendo gruppi come Nissan e Honda a ripensare filiere e valutare fusioni difensive. Nel tech, la guerra commerciale con la Cina ha congelato molte operazioni cross-border, ma ha allo stesso tempo rilanciato i consolidamenti interni, come dimostra il caso Google-Wiz. La manifattura tradizionale, infine, affronta l’ennesima compressione di margini causata dai dazi su metalli e componenti, e reagisce con un’ondata di fusioni tra PMI per accedere a forniture più sicure, ridurre i costi e mantenere competitività.
In un M&A sempre più condizionato dalla politica internazionale, la diplomazia è diventata una variabile strategica. E la direzione presa dalle capitali – Washington, Bruxelles, Pechino – determinerà le traiettorie di mercato ben oltre i bilanci aziendali.
Conclusione. Fusioni e acquisizioni: tra attesa e adattamento
Il nuovo scenario globale genera sfiducia e prudenza, ma anche reazioni rapide e soluzioni creative. Il mercato delle fusioni e acquisizioni, sebbene rallentato, non si ferma: si trasforma.
Le aziende che crescono, si strutturano e investono strategicamente – anche attraverso il micro M&A, la ristrutturazione strategica e la digitalizzazione – riescono non solo a sopravvivere, ma a trovare varchi nei sistemi e rimanere competitive.
In un’Italia fatta di imprese flessibili ma vulnerabili, proprio l’M&A può diventare l’architrave di una resilienza industriale diffusa, capace di tenere insieme crescita e protezione. Il futuro sarà incerto. Ma chi sa muoversi, oggi, ha più di una carta da giocare.