Dazi e imprese italiane: come imparare a navigare nell’incertezza

scritto da il 14 Aprile 2025

Post di Marco Vulpiani e Pier Paolo Ghetti, partner Deloitte* – 

Negli ultimi anni, ben prima della recente ondata protezionistica partita dagli Stati Uniti, il commercio globale ha visto un’impennata delle barriere doganali e delle tensioni commerciali. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, le sanzioni e le restrizioni commerciali sono quasi triplicate dal 2019, mentre l’indice di rischio geopolitico è salito vertiginosamente a partire dalla guerra in Ucraina. L’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), inoltre, segnala che, a oggi, il 59% delle 1.702 misure restrittive in vigore riguarda l’importazione, il restante 41% l’esportazione.

In uno scenario di questo tipo, è evidente che le aziende debbano imparare a “navigare” nell’incertezza. Perché, anche dopo il congelamento delle tariffe “reciproche” annunciato dall’amministrazione Usa, l’incertezza e la volatilità non possono più essere considerate fasi transitorie e si configurano invece come componenti strutturali dello scenario di mercato. E, riprendendo un recente articolo del Financial Times, possiamo dire di essere entrati in un’era in cui “l’unica certezza è l’incertezza”.

Aziende italiane più esposte alle tensioni commerciali

Questo vale per le aziende di tutto il mondo, ma vale soprattutto per le nostre imprese italiane, che sono particolarmente esposte alle tensioni commerciali, considerata la ben nota e consolidata vocazione all’export. Per dare un’idea della nostra esposizione: nel solo 2024 l’export tricolore verso gli Usa ha raggiunto i 78 miliardi di dollari, con un tasso di crescita annuo composto (CAGR) dell’11% dal 2020.

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L’incertezza e la volatilità non possono più essere considerate fasi transitorie e si configurano invece come componenti strutturali dello scenario di mercato (Immagine generata con Grok)

Com’è noto, a trainare l’export italiano sono soprattutto i macchinari industriali (14,2 miliardi dollari), i prodotti farmaceutici (11,6 miliardi di dollari) e il comparto dell’auto – componentistica inclusa (5,5 miliardi di dollari). Ma nell’export italiano rientrano anche molti altri segmenti di mercato e l’introduzione di nuove aliquote tariffarie maggiorate, nel complesso, potrebbe comportare, a parità di altre condizioni, ed in particolare a parità di volumi esportati, un aggravio di 13,2 miliardi di dollari, secondo stime Deloitte. Un aumento che si tradurrebbe in un’impennata inflazionistica per i consumatori statunitensi e, potenzialmente, in una contrazione della domanda, soprattutto nei settori con maggiore elasticità.

Quali risposte all’incertezza? Ecco cosa fare

A fronte di queste sfide, le aziende devono essere pronte a mettere in piedi una strategia di risposta, capace di neutralizzare o minimizzare l’impatto delle numerose incognite in campo e generare opportunità di crescita. La prima cosa da fare, dunque, è quantificare l’impatto dei dazi sulla marginalità aziendale. È essenziale stimare in che modo le barriere tariffarie si riflettano sulla competitività dei prezzi, sulle quantità vendute, sui costi di produzione e di conseguenza sui margini operativi. Senza una chiara fotografia dell’impatto economico, qualsiasi strategia di reazione rischia di essere inefficace, inadeguata od addirittura controproducente.

In seconda battuta, le aziende devono valutare se e come ristrutturare le proprie catene di fornitura, eventualmente privilegiando fornitori e partner in aree meno soggette a restrizioni. Allo stesso modo, diventa cruciale ottimizzare i processi doganali impiegando in maniera efficiente gli schemi doganali esistenti e adottando tecnologie digitali per ridurre i costi e semplificare le operazioni transfrontaliere.

Infine, serve una revisione strategica di medio-lungo termine che punti a valorizzare le leve di crescita e resilienza: diversificazione dei mercati, strategia di portafoglio (con maggiore focus sui prodotti a domanda anelastica), rafforzamento del brand, investimenti in digitalizzazione. Solo così è possibile costruire un modello di business capace di resistere agli shock e di adattarsi rapidamente a un contesto in continuo mutamento.

Incertezza come stimolo per la strategia di posizionamento

In conclusione, in un mondo dove l’incertezza è la nuova normalità, non basta più reagire: è necessario prepararsi, costruire anticorpi organizzativi e sviluppare una cultura della flessibilità. Le imprese che sapranno leggere con lucidità i segnali del cambiamento e adattare le proprie strategie saranno quelle che non solo sopravviveranno, ma troveranno nuove traiettorie di crescita.

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Fonte: Paper Deloitte “Politiche commerciali protezionistiche e frammentazione. Le risposte delle imprese” – cliccare sull’immagine per ingrandire

Aspetto positivo di questo fenomeno straordinario, da considerare in generale penalizzante per le nostre imprese, è lo stimolo ad una revisione della strategia di posizionamento dei propri prodotti che potrà comportare anche un rafforzamento strategico per le aziende che sapranno rispondere in modo adeguato. Fondamentale per il successo della corretta reazione strategica è l’analisi quantitativa a monte, che potrà dare indicazioni fondamentali sulla risposta della domanda alle diverse, possibili strategie.

Reagire con lucidità

Ancora più importante è evitare una reazione di completa paralisi. Come si leggeva sulle colonne del Financial Times, “dobbiamo anche tener presente che decidere di non agire non è l’opposto dell’agire — è un’azione in sé”. La strategia di attesa (“wait and see”), può rappresentare infatti, a nostro avviso, una minaccia a favore dei first mover, che muovendosi in anticipo, potranno guadagnare quote di mercato a discapito dei competitor “attendisti”.

Le imprese italiane, dunque, non devono farsi paralizzare dalla volatilità dei mercati e dalle tensioni protezionistiche, ma devono reagire con lucidità, preparandosi a navigare nel nuovo scenario di incertezza. E chissà che, questa volta, il “nanismo” delle nostre imprese – pesci troppo piccoli per nuotare in un’economia di scala globale – non ci consenta di muoverci più agilmente tra le crepe del sistema commerciale in frantumi con la straordinaria ed unica capacità delle nostre imprese di muoversi in contesti caotici.

 

*Marco Vulpiani, partner e Head of Economics di Deloitte

** Pier Paolo Ghetti, partner e Global Trade Advisory Service Line Leader di Deloitte