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Trump per i dazi, la Cina per la storia


Post di Valter Fraccaro, Presidente Fondazione SAIHUB (Siena Artificial Intelligence HUB) –
Tra roboanti annunci di Trump, timide repliche europee, crolli di borsa e bombardamenti su Ucraina e Gaza, la Cina va avanti per la sua strada, basata su indirizzi chiari e proclamati già da anni: diventare il leader tecnologico mondiale tra il 2025 e il 2049 (il 2049 sarà il centenario della rivoluzione maoista), in combinazione con un intento, altrettanto chiaramente espresso, di raggiungere la carbon neutrality del Paese entro il 2060, sia pure con un picco negativo di emissioni carboniche previsto per il 2030.
Il tutto attraverso manovre già avviate da tempo e altre decise e attivate nel 2024.
Innanzitutto, il rinvigorimento della svolta che in italiano potremmo chiamare della “doppia circolazione”. Per eliminare l’eccessiva dipendenza dell’economia cinese dalla “circolazione esterna”, cioè dai rapporti commerciali con l’estero (incluso il lavoro a basso costo che tanto attraeva i produttori occidentali), è in corso lo sforzo per realizzare una omogeneità del mercato interno, anche incentivando i consumi, e con particolare riferimento ai beni provenienti da Paesi emergenti e quelli ad alta componente tecnologica.
La filosofia del de-risking
A questo si è aggiunto il piano che in inglese viene tradotto con “New Quality Productive Forces” (NQPF), che prevede di concentrare le risorse nell’avanzamento di due gruppi di settori economici, quelli “emergenti” (ovvero quelli in cui la superpotenza asiatica ha già un numeri rilevanti) e quelli “futuri”, in cui mira a entrare tra i leader internazionali: otto settori emergenti (new generation IT, new energy, new materials, high-end equipment, NEV o New Energy Vehicle – le auto elettriche ed iperconnesse -, green industry, civil aviation, marine engineering) e nove settori futuri (metaverse, brain-computer interface, quantum tech, humanoid, generative AI, biomanufacturing, next-gen display, next-gen network, next-gen storage).
Doppia circolazione e NQPF sono legati da un concetto di “de-risking”, cioè la necessità di poter garantire la propria autonomia nella produzione di quei beni o servizi strategici attualmente importati. Ad esempio, esiste per la Cina l’embargo che le impedisce sia di comprare da Nvidia e da altri fornitori occidentali i processori di ultima generazione, come pure di importare dalla olandese ASML gli impianti con cui essi possono essere realizzati. Ad oggi, si pensa che solo una percentuale intorno al 15% delle esigenze interne sia soddisfatto con processori “made in China”. Appare così evidente il legame tra NQPF e de-risking: la crescita delle capacità proprie costituisce un elemento basilare per diminuire i potenziali pericoli legati alla dipendenza da tecnologie straniere.
Le 5 linee guida dell’economia
Nel luglio 2024 il Partito Comunista cinese ha poi svolto il suo XX congresso, definendo cinque linee guida nelle sue politiche economiche:
- 1. una maggior apertura verso i Paesi terzi, anche rispetto agli investimenti esteri;
- 2. una accelerazione delle riforme dell’economia socialista di mercato;
- 3. un cambio di passo del sistema industriale;
- 4. una maggior attività diplomatica, aumentando il proprio coinvolgimento in tutti gli enti multilaterali;
- 5. predisporsi a possibili alterazioni del quadro internazionale accentuando le operazioni di de-risking.
Quanto è lontana la Cina dagli Usa di Trump (anche sui dazi)
E così, ancor prima del nuovo insediamento di Trump alla Casa Bianca, il governo ha preso decisioni diametralmente opposte a quelle da lui recentemente proclamate:
anziché rinunciare ai propri piani “green”, ha confermato e rilanciato il progetto legato alla sostenibilità ambientale, definendo tali piani governativi con nomi come “Cina Meravigliosa” e “Transizione Verde”;
inversamente al rialzo dei dazi, la Repubblica Popolare ha ridotto i propri , fino al 98% per oltre 40 Paesi in via di sviluppo;
invece che sperare di aumentare gli investimenti stranieri nel proprio Stato con minacce e oneri supplementari sulle importazioni, il competente ministero di Pechino ha definito 24 nuove misure per liberalizzare l’accesso degli FDI (Foreign Direct Investments). Ad esempio, per il settore manifatturiero è stata eliminata la necessità di avere un consenso governativo anticipato;
inoltre, come si può leggere sull’informatissimo sito di China Macro Group, la stessa suddivisione dei capitali d’impresa in capitali stranieri, capitali di Stato e capitali privati è stata omessa dagli atti congressuali. Non solo, ma ora le aziende a capitale straniero che producono in Cina saranno favorite nelle gare di fornitura verso il settore pubblico;
al posto di ridurre i fondi alla ricerca universitaria e lanciare slogan antiaccademici come in USA, si è deciso di rivedere e rafforzare il rapporto tra università, ricerca e imprese. Ad esempio, per la prima volta il Governo ha invitato aziende private ad affiancare gli atenei nei progetti di Ricerca e Sviluppo definiti “di rilevanza nazionale”;
contrariamente alle decisioni trumpiane di ritiro dai consessi multilaterali, si è accentuata l’attività cinese in quei contesti, anche per sfruttare o generare nuove occasioni di collaborazione con Paesi terzi, in particolare quelli che dovessero trovarsi in situazioni di minor sintonia con le scelte USA .

(Immagine creata con ChatGPT – DALL-E)
La distanza tra Cina ed Europa (compresi i diritti)
Tutto questo si accompagna a una situazione favorevole della Cina riguardo ai sistemi formativi e scientifici, come raccontato in un altro articolo qualche tempo fa.
Resta certo la distanza tra la visione cinese dei diritti personali e civili e quella europea, ma l’indicazione che si può trarre da quel disegno è che anche adesso, in un periodo in cui il nostro continente sembra smarrire quella volontà di futuro che la politica del ‘900 aveva come caratteristica fondamentale e motivante, esiste la possibilità di immaginare cambiamenti profondi, traguardi sociali e valori comuni.
Mete irraggiungibili per i singoli Stati del nostro continente e credibili solo attraverso una nuova unità europea, cominciando a darsi obiettivi di medio e lungo periodo anziché limitandosi a reagire ai mutamenti globali.