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Tassi alti, economia ferma: la Bce è ostaggio di se stessa?


Post di Luca Peviani, co-fondatore e Consigliere delegato di P&G SGR –
L’ultimo piccolo taglio di 25 punti base deciso dalla Banca Centrale Europea conferma la cautela con cui l’istituto di Francoforte – nonostante gli evidenti segnali di rallentamento economico – sta smantellando l’impalcatura restrittiva costruita tra settembre 2022 e settembre 2023, quando i tassi sono stati portati dallo 0% al 4,5% nell’arco di un solo anno.
Ma quanto questo eccezionale inasprimento ha effettivamente contribuito ad arginare le pressioni inflazionistiche, che ora sembrano in graduale rientro? A distanza di 3 anni dall’inizio del ciclo restrittivo e a pochi mesi dall’avvio della nuova fase di allentamento, si può iniziare a trarre alcune conclusioni su efficacia ed effetti collaterali dell’azione della banca centrale.
Per rispondere occorre fare un passo indietro. Nell’audizione al Parlamento Europeo a novembre del 2021, Cristine Lagarde affermava che i segnali di inflazione che cominciavano ad emergere derivavano da due fattori: i prezzi dell’energia e le strozzature post-pandemiche sulla catena dell’offerta. Alla luce di questa analisi non si prevedevano cambiamenti nella politica dei tassi e aumenti per il 2022. Il mese successivo, nella conferenza stampa del dicembre 2021 si confermava che “l’accomodamento monetario è ancora necessario affinché l’inflazione si stabilizzi sull’obiettivo di medio periodo del 2%”.
Dopo solo due mesi, il cambio di rotta: nella riunione del febbraio 2022 si avviava il poderoso ciclo di rialzo dei tassi di interesse che spezzava una inattività monetaria durata dal 2016.
Il perché di questa inversione è ovviamente ascrivibile agli effetti inflazionistici dell’invasione dell’Ucraina sui prezzi di gas e petrolio. Ma questa è una spiegazione solo parziale. Le pressioni inflazionistiche erano già in atto e la Bce sembrava ben consapevole che esse provenissero “dal lato dell’offerta” (strozzature della supply chain come strascico della pandemia e prezzi delle materie prime importate). A fronte di ciò aveva già giudicato che tali tendenze fossero destinate a rientrare, e che l’uso dello strumento dei tassi fosse inadeguato a contrastare il trend.

La Presidente della Banca Centrale Europea (BCE) Christine Lagarde. (Foto di Kirill KUDRYAVTSEV / AFP)
Perché allora la BCE ha scelto la strada di una stretta monetaria così aggressiva? La risposta potrebbe risiedere più nelle pressioni politiche che in una reale necessità economica. Le crescenti pressioni politiche dei “rigoristi” hanno reso non più rinviabile un’azione restrittiva che mostrasse l’impegno verso la difesa della stabilità monetaria.
I dati attuali mettono in discussione l’efficacia della stretta. Il tasso di inflazione europeo del 2024 (2,2%) non è molto lontano dalle previsioni che la Bce formulava nel 2021 proprio per il 2024. Questo ritorno al target e tutto merito della manovra restrittiva? Difficile sostenerlo. Basta guardare l’andamento del prezzo del gas per comprendere l’impatto della disinflazione da energia. L’indice PSV Gas ha avuto un picco nel terzo trimestre 2022 a 2€/Smc, per poi crollare a 0,3€/Smc già nel secondo trimestre 2023 (oggi è leggermente risalito a 0,5€/Smc).
C’è anzi il rischio che la stretta, agendo su pressioni inflazionistiche importate, abbia aggravato la situazione, cementando le aspettative e paradossalmente incentivando il trasferimento dell’inflazione su salari e beni interni. Politiche di sterilizzazione degli aumenti di prezzo delle materie prime di importazione avrebbero funzionato meglio per arginare le aspettative di inflazione. Al contempo, una stretta monetaria così rapida e severa ha rallentato fortemente le due principali economie manifatturiere del continente (Germania e Italia).
Ora che l’inflazione è tornata a livelli target e sono molto diminuite le spinte esterne, mentre è evidente il rallentamento economico dell’area euro, viene da chiedersi il perché di un approccio così cauto della Bce nell’abbassare i tassi. Emerge tutta la difficoltà di uscire rapidamente da una politica restrittiva perseguita con molta determinazione nei fatti e nelle dichiarazioni. Un’inversione troppo rapida suonerebbe come una sconfessione della fase precedente, con il rischio di intaccare la credibilità della stessa Bce e, di conseguenza, la sua capacità di incidere sulle aspettative – il patrimonio più prezioso e intangibile di una banca centrale? Tuttavia, un approccio così cauto porta i medesimi effetti.
Resta solo da augurarsi una sana dose di pragmatismo a fronte del contesto macroeconomico. Una significativa e più rapida riduzione dei tassi – accompagnata da una corretta comunicazione dell’analisi sottostante – non solo aiuterebbe a scongiurare il prolungarsi dell’attuale stagnazione, ma grazie a un indebolimento del cambio sarebbe anche utile a contrastare i dazi americani. La BCE può ancora correggere il tiro. Dovrà farlo senza perdere di vista il costo economico della sua prudenza.