categoria: Res Publica
Controlli sui dipendenti: cosa può fare il datore di lavoro (e cosa no)


Post degli avvocati Emanuele Licciardi ed Emanuela Lorusso, rispettivamente Partner e Associate, Diritto del Lavoro, di Morri Rossetti & Franzosi –
Negli anni, il potere datoriale di effettuare controlli sull’operato e sulle condotte dei propri dipendenti si è di molto modificato. In questo senso, hanno significativamente influito l’evoluzione tecnologica e i nuovi strumenti utilizzati nella normale esecuzione dell’attività lavorativa. Tuttavia, seppur in un contesto che cambia continuamente, è sempre bene tenere a mente quali siano i limiti entro i quali tale controllo possa considerarsi lecito e quali siano, invece, le conseguenze di un comportamento datoriale che trascenda tali confini.
La norma di riferimento e principale bussola per l’interprete sul tema è, certamente, l’art. 4 della Legge n. 300/1970 (lo “Statuto dei Lavoratori”), così come riformulato, ormai, circa dieci anni fa dal D. Lgs. 151/2015 (uno dei decreti attuativi del c.d. “Jobs Act”).
Tale disposizione ammette, infatti, i controlli datoriali a distanza sull’operato dei dipendenti esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, di sicurezza del lavoro, e di tutela del patrimonio aziendale. Inoltre, per rendere leciti tali accertamenti, il datore deve stipulare un apposito accordo con le rappresentanze sindacali o, in mancanza, ottenere un’autorizzazione da parte dell’ispettorato territoriale del lavoro. A ciò si affianca l’ulteriore obbligo di condividere con i dipendenti sottoposti al controllo, una preventiva informativa relativa alle modalità di effettuazione dei controlli in esame.
È discusso se, nonostante il quadro giuridico esistente all’indomani della riforma del 2015, ci sia ancora spazio per la categoria dei controlli c.d. “difensivi”. Questi ultimi sono effettuati dal datore di lavoro al di fuori dei sopra descritti requisiti stabiliti dall’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, e sono stati ritenuti ammissibili ove adottati con l’obiettivo di verificare eventuali comportamenti illeciti del lavoratore che possano danneggiare il patrimonio aziendale e soltanto quale reazione a un sospetto fondato dell’esistenza di tale illecito.
Prima di dare soluzione alla questione, è utile fare un passo indietro e domandarsi quale sia, in concreto, la natura dei controlli difensivi. La giurisprudenza ha dibattuto lungamente il tema, sino a cristallizzare un orientamento che, per meglio tipizzare i limiti del potere datoriale, distingue due sottocategorie:
- 1. controlli difensivi “in senso lato”, a protezione del patrimonio aziendale e riguardano tutti i dipendenti;
- 2. controlli difensivi “in senso stretto”, volti a verificare comportamenti illeciti attribuibili a singoli dipendenti.
Secondo la Corte di Cassazione, mentre i primi, alla luce del riforma, rientrano nell’ambito dell’articolo 4 dello Statuto, i secondi, anche se effettuati con strumenti tecnologici, rimangono al di fuori dell’area di applicazione della medesima norma statutaria, poiché non riguardano l’attività ordinaria del lavoratore[1]. Tra questi, rientrano quelli effettuati sull’e-mail aziendale dei dipendenti.
La Cassazione ha, quindi, stabilito che le garanzie dello Statuto dei Lavoratori si applichino a tutti i controlli, tranne quelli difensivi in senso stretto. Questi ultimi devono, tuttavia, rispettare specifici requisiti e cautele per poter essere considerati legittimi:
- 1. essere mirati a verificare condotte illecite di singoli lavoratori;
- 2. essere basati su sospetti fondati e svolgersi ex post rispetto al sorgere del sospetto stesso;
- 3. bilanciare tutela del patrimonio aziendale e della dignità del lavoratore, rispettando i principi generali e le disposizioni precettive della normativa Privacy.
Come evidente, l’elemento maggiormente controverso è quello relativo all’accertamento del “fondato sospetto”. Per definire “fondato” un sospetto, non basta che il datore abbia maturato un semplice dubbio rispetto alla liceità della condotta del lavoratore, dovendo, invece, esistere fatti concreti che suggeriscano, con ragionevole grado di certezza, che il dipendente stia commettendo un illecito causando danni all’azienda. In tali casi, il datore di lavoro deve dimostrare, ricostruendo il momento in cui è sorto, la fonte del sospetto e le circostanze tramite le quali ne ha approfondito la natura.

La Cassazione ha stabilito che le garanzie dello Statuto dei Lavoratori si applichino a tutti i controlli, tranne quelli difensivi in senso stretto (Designd by Freepik)
Di recente, inoltre, la giurisprudenza ha apposto un altro tassello della condotta datoriale. In particolare, il Tribunale di Roma[2], corroborando un orientamento emerso anche in sede di legittimità, ha affermato che il datore di lavoro può lecitamente investigare il lavoratore solo dopo l’insorgere del fondato sospetto. Da ciò deriva, inevitabilmente, che le informazioni raccolte prima di quel momento non possono essere utilizzate contro il dipendente.
Pertanto, se il datore di lavoro, successivamente al sospetto, indagasse la corrispondenza e-mail del dipendente precedente alla data del sospetto, non potrebbe legittimamente usare le prove raccolte per motivi disciplinari e, anzi, il lavoratore potrebbe rivendicare l’illiceità del controllo, potendo anche presentare un reclamo al Garante della Privacy. Inoltre, in base all’effettiva modalità di esecuzione del controllo, l’accesso illecito alla corrispondenza del dipendente può configurare i reati di accesso abusivo a sistema informatico o violazione della corrispondenza privata.
La possibilità di controllo datoriale per scopi difensivi al di fuori dei limiti posti dallo Stuto dei Lavoratori, pertanto, seppure ancora ammessa, risulta particolarmente circoscritta e da attuarsi con cautela e in via eccezionale. È evidente, infatti, la volontà delle corti del lavoro di privilegiare la mediazione e il controllo delle rappresentanze sindacali o dell’Ispettorato del Lavoro sul tema, fermo il rispetto della normativa privacy.
NOTE
[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., n. 25732/2021; Cass. Civ., Sez. Lav., n. 34092/2021; Cass. Civ., Sez. Lav., n. 18168/2023.
[2] Tribunale di Roma, sezione I Lavoro, sent. n. 1870/2024.