categoria: Il denaro non dorme mai
Acqua pubblica, finanza e debiti: il paradosso di Thames Water

Perché la finanza dovrebbe mettere 8 miliardi di sterline in una società che di debiti ne ha quasi tre volte tanto?
Secondo Reuters, Thames Water (22,8 miliardi di sterline di debito) avrebbe chiesto dettagli sull’offerta non vincolante da parte di KKR e Castel Water (un fondo di private equity e un’azienda idrica, strana alleanza?) di iniettare 4 miliardi di sterline a testa nella disastrata utility inglese. Siccome, come vedremo, il sistema idrico britannico nel suo complesso è oberato da debiti, non si capisce come un’azienda di acqua come Castel Water possa contribuire a questa offerta: viene il dubbio che stia immaginando una grossa operazione a debito, tanto per cambiare.
Qualche giorno prima CK Infrastructure, un fondo di Hong Kong, aveva proposto una iniezione di equity di 9 miliardi di dollari per la maggioranza di Thames Water, secondo il Financial Times, a condizione che i debitori di Thames Water accettassero un sostanzioso taglio del debito (haircut).
Nel frattempo Thames Water ha chiesto al regolatore inglese Ofwat di poter aumentare le tariffe dell’acqua di più del 50%, ma ha ottenuto solo un aumento del 35% nei prossimi cinque anni. Ofwat, un tempo campione ammirato della regolazione, oggi ampiamente screditato dall’esito del suo lavoro in questi vent’anni, probabilmente vuole rifarsi una verginità evitando di cedere a richieste che potrebbero danneggiarne la reputazione. Contemporaneamente ha ottenuto dal governo una lifeline (credito di emergenza) di 3 miliardi di sterline per il proprio debito in scadenza.
L’acqua, la Thatcher e il bello della privatizzazione
Quindici milioni di famiglie inglesi pagano la bolletta e ricevono l’acqua potabile e il servizio di fognatura e depurazione da Thames Water. La storia di questa sfortunata utility è significativa. Era un pacifico erbivoro che viveva con il flusso di cassa delle bollette, non faceva troppi investimenti, ma non faceva neanche troppi guai: nel 1989, quando Margaret Thatcher la privatizzò, non aveva debiti. Nel 2005, dopo 16 anni di gestione privata, aveva un debito di 2,4 miliardi, un peso ancora sopportabile considerato il suo fatturato. Certo, continuava a non essere un gioiello né per efficienza né per qualità del servizio.

Veicolo di servizio della Thames Water a Londra, febbraio 2025. Thames Water ha ricevuto diverse offerte di partecipazione da parte di soggetti internazionali nel tentativo di evitare il collasso. REUTERS/Toby Melville
E su queste debolezze continuò a battere il tam tam della retorica neoliberista delle privatizzazioni, secondo cui cedere al capitale privato le utilities avrebbe permesso l’arrivo di capitali freschi, investimenti, efficienza e bollette più basse. In questo clima di delirio mercatista, i governi non si chiesero che tipo di capitale avrebbe mai potuto attrarre una utility con pochi profitti e grandi esigenze di investimenti. I più pensavano a capitali industriali, a una linfa sana che sarebbe penetrata nel corpo malato delle aziende pubbliche. Quasi nessuno pensò che il vero predatore per queste aziende sarebbe stato il capitale finanziario, e non quello industriale. Un capitale, quello finanziario, che punta ai rendimenti da distribuire ai propri investitori a qualunque costo.
Il predatore della finanza apre le fauci su Thames Water
Ed ecco che nel 2005 un pericoloso predatore della savana della finanza, Macquarie, un fondo australiano, apre le fauci su Thames Water e riesce a impadronirsene, comprandola per 4 miliardi di sterline dal gruppo tedesco Rwe. Macquarie terrà la presa fino al 2016, e in quegli 11 anni riuscirà a distribuire dividendi ai propri investitori non giustificati dai profitti di Thames Water: Come? Semplice: indebitando la sua preda e usando i soldi del debito per distribuire denaro ai propri azionisti, nomi sconosciuti al grande pubblico ma ben noti a chi si occupa di finanza: Blackrock, State Street Global Advisor, Vanguard e anche un po’ agli svizzeri di Ubs. Gli azionisti hanno ringraziato: il prezzo delle azioni di Macquarie è passato da circa 38 dollari all’inizio del 2020 a quasi 160 dollari a metà del 2023.
Modello vincente? Con l’acqua pubblica più dividendi che debito
Quindi, il modello Macquarie è risultato vincente per la finanza, e molti altri lo copieranno in giro per il mondo in diversi settori infrastrutturali.
Un po’ meno vincente per Thames Water, che si ritrova oggi con debito per quasi 24 miliardi, indicizzato all’inflazione, e interessi passivi crescenti. Complessivamente, il settore idrico britannico aveva accumulato al 2023 debito per ben 53 miliardi di sterline e distribuito 72 miliardi di dividendi, principalmente a investitori stranieri.

Un dipendente di Thames Water al lavoro. EPA/ANDY RAIN
Non sembrano esserci via d’uscita al di fuori di un salvataggio pubblico con i soldi del contribuente o di un sostanziale taglio del debito “alla greca” (haircut). Nonostante l’offerta di KKR e Water Castle, l’innesto di nuovo capitale privato appare problematico dopo che il governo ha stabilito che le utilities non possono distribuire dividendi, se hanno un rating inferiore a Baa (il massimo è AAA).
Vedremo come andrà a finire. Sicuramente è difficile immaginare che il fondo pensione degli impiegati municipali dell’Ontario, o quello dei dipendenti delle università inglesi, i due principali azionisti attuali di Thames Water, mettano soldi in Thames Water senza alcun rendimento per i loro pensionati presenti e futuri. Il denaro, come è noto, non è acqua.
N.B. Post parzialmente estratto da “Finanza di strada”, di Franco Becchis, Castelvecchi editore.