Avvocato cercasi: perché nessuno vuole più fare questa professione?

scritto da il 11 Marzo 2025

Post di Silvia Ceroni, partner Casa & Associati

Non credo che il problema siano i numeri in sé, nel senso che un ridimensionamento del numero di avvocati è necessario in un’ottica di effettività dell’esercizio della professione e di specializzazione, il problema è che la professione di avvocato è poco attrattiva perché è ancora parecchio sottovalutata nel sistema Paese.

Eppure il ruolo dell’avvocato per assicurare la difesa di ciascuno (art. 24 Cost.) e per garantire un giusto processo e una sua ragionevole durata (art. 111 Cost.) dovrebbe essere sufficiente a dar lustro ad una professione che non è solo un mestiere, ma dovrebbe essere una vera e propria vocazione.

Il ruolo sociale che ha perso appeal

Invece il ruolo sociale dell’avvocato, così come percepito nel comune sentire, è azzerato, possiamo dire che non vi è alcun riconoscimento del lavoro intellettuale, così che l’avvocato è considerato dai più come lento, pigro, disinteressato a perseguire gli obiettivi voluti dai propri assistiti, inutilmente esoso, e – diciamolo apertamente – facilmente sostituibile da una ricerca in internet o da una domanda posta a ChatGPT.

A questo si aggiunga che non vi è alcun senso di appartenenza come categoria, e questo genera l’errore nel sentire comune che quella dell’avvocato sia una professione da farsi in autonomia, lontana dal gruppo che invece i giovani d’oggi sentono molto importante.

Infine non è ancora superato il vecchio approccio che considera l’avvocatura come elitaria, sebbene oggi non si è più avvocati per dinastia, e per fortuna!

Un percorso di studi lungo

Eppure il percorso di studi lungo scoraggia, ma lo deve fare perché la professione di avvocato non è una professione per tutti, il che non vuol dire affatto che sia una professione per ricchi.

Il percorso di studi deve essere lungo perché deve essere selettivo, nel senso che per essere un buon avvocato non bastano le conoscenze tecniche, nozionistiche; occorre maturare una spiccata capacità logico-sistematica di connettere gli istituti, le regole, le soluzioni; nonché per essere definitivamente autonomo nell’affrontare un caso l’abilità di proiettare nel futuro scenari differenti, a seconda dei possibili sviluppi che ogni posizione può riservare.

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(Immagine generata con AI)

Questi tre step di maturazione professionale richiedono almeno cinque anni di università, due anni di praticantato e almeno altri cinque anni di attività sul campo come avvocato junior.

Questo perché l’avvocato non è un mero applicatore di regole, l’avvocato è prima di tutto un creativo che inventa soluzioni, studia documenti clausola per clausola, sceglie strategie. Anche l’ingegnere fa tutto questo ma il suo orizzonte sono le “cose tecniche”, mentre l’avvocato ha sempre a che fare con le persone: è ben evidente la diversa responsabilità che ne scaturisce.

Per questo il percorso di studi deve essere lungo, perché oltre ad acquisire la capacità tecnica, occorre acquisire la sensibilità di approccio con le persone, la determinazione, l’autorità, la formazione su campi non prettamente giuridici bensì più psicologici. E questo vale per l’avvocato divorzista come per l’avvocato d’affari. Dietro a quegli affari ci sono persone, direttamente interessate con la loro vita e i loro denari alle sorti dell’affare.

Fare l’avvocato non si impara sui libri

La professione legale non si impara tutta sui libri, l’aspetto esperienziale è fondamentale. L’avvocato deve saper condurre, spiegare, accogliere, ma anche in altre circostanze imporsi, convincere, escludere.

Sulle cosiddette questioni di principio è facile capire il vero ruolo dell’avvocato: il cliente viene in studio convinto che la sua presa di posizione sia la più incrollabile del mondo perché è così da sempre. Ebbene di fronte ad un caso così prospettato il giudice decide secondo diritto, l’avvocato sa bene questa verità ma non può e non deve limitarsi a dare la soluzione tecnica: deve spiegare, convincere e in alcuni casi quando non c’è un terreno fertile per arrivare a condividere con il cliente la soluzione, anche imporla scegliendo di non patrocinare cause perse in partenza.

La selezione professionale in ingresso quindi è benvenuta, perché non bastano le qualità tecniche. Sicuramente la selezione scoraggia, ma non è fine a se stessa, è necessaria per migliorarci come categoria.

Saper sopportare lo stress

Non va inoltre sottaciuto che per lo più l’avvocato si misura ogni giorno con il mondo economico che pretende tutto subito, per cui l’avvocato deve sopportare molto bene lo stress, la fatica fisica, la capacità di mantenere i nervi saldi. Non sono caratteristiche frequenti nei giovani d’oggi, molto insicuri e molto deboli psicologicamente.

Occorre mettere in preventivo il sacrificio, i sabati e domeniche passati a studiare per affrontare nuove questioni o anche solo per aggiornarsi, perché pensare di avere questo tempo durante la settimana lavorativa è un miraggio.

Tutto questo mette in luce, a mio parere, la necessità che il diritto diventi una passione, e questo scoraggia i più, perché le passioni sono altre, la professione deve rimanere tale.

Questo bilanciamento tra vita lavorativa e vita personale lo vedo molto difficile per chi vuole far bene questa professione, non dico emergere perché in questo caso sono certa che non c’è alcun bilanciamento possibile.

L’avvocato e la propensione al lavoro in team

Negli studi delle grandi città probabilmente c’è anche un carrierismo molto spinto, nelle realtà del nord-est, anche le più strutturate, non vedo alcuna esasperazione ad emergere a costo di pestare i piedi ai colleghi, certo che questo non vuol dire che ci si può permettere di adagiarsi. Il confronto con i colleghi è costante, perché l’avvocato non è più un mestiere in solitaria.

Quindi occorre avere una buona propensione al lavoro di team, ma questa francamente è una abilità che le giovani generazioni hanno già acquisito quando entrano in uno studio. Anzi, forse è proprio la decisione solo personale che spaventa loro di più, e alla fin fine questo deve fare l’avvocato quando firma un atto giudiziario o dà l’ok alla versione clean di un contratto: in questa fase finale l’avvocato è ancora in qualche modo da solo, seppur indiscutibilmente dopo un lavoro in team.

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(Immagine generata con AI)

E il riconoscimento economico?

Infine, ma non perché debba essere un elemento di ricalzo, c’è il fatto che questa professione non paga. Gli sforzi, i sacrifici e i successi non sono affatto corrispondenti ad un congruo riconoscimento economico. Ci vogliono almeno 10 anni dopo l’esame di stato per arrivare a percepire un reddito soddisfacente e se nel mentre ci sono delle maternità da affrontare forse a 45 anni si ha un riconoscimento adeguato.

Ma deve andar tutto bene, il che è abbastanza un’eccezione. Non possiamo dimenticare che non c’è alcuna garanzia di una progressione di carriera lineare sia rispetto all’inquadramento professionale sia rispetto a quello economico. Spesso ci sono decisioni di terzi che influiscono negativamente nella carriera di un giovane avvocato, fusioni di studi per esempio che di fatto fanno regredire la posizione acquisita in precedenza o anche semplicemente scelte del proprio studio che lasciano un settore e si concentrano su altri, tagliando fuori qualcuno nel senso che magari è costretto a ricominciare altrove o quanto meno su altra materia specialistica.

Per l’avvocato conta anche la fortuna

È ben chiaro che queste prospettive sono le più lontane possibili dal cosiddetto posto fisso, che è indubitabile dà delle certezze sul piano economico che la libera professione non potrà mai offrire.

Infine non si può far finta di ignorare che per l’avvocato conta anche la fortuna, che nella vita come nella professione gioca sempre un ruolo importante. E non ci dimentichiamo che chi sa dimostrarsi sempre vincente e sa “vendersi bene”, raccoglie più frutti anche di chi è più bravo dal punto di vista tecnico: è una legge forse ingiusta cui però neppure l’avvocatura si sottrae. Questo per dire che le capacità personali (dialettica, empatia, pensiero critico, cultura generale) servono a fare un avvocato migliore e ad eccellere, a volte più che la tecnica.

Questa prospettiva di complessità nell’arrivare a maturare una professione complicata, è sicuramente un deterrente per le giovani leve, che preferiscono corsi di laurea più innovativi dove il raggiungimento di un obiettivo lavorativo è (o appare) più immediato.

Complessità e velocità del resto sono antitetici e il mondo attuale predilige la seconda.