categoria: Sistema solare
Rinuncereste a un quarto dello stipendio pur di lavorare da remoto?


Ha suscitato numerose reazioni un recente studio a cura di Zoe B. Cullen, Bobak Pakzad-Hurson e Ricardo Perez-Truglia sul lavoro da remoto, dal titolo Home sweet home: how much do employees value remote work?
Cosa dice lo studio
Già altri studi avevano evidenziato come la forza lavoro ritenesse importante la possibilità di lavorare da casa, ma la novità riguarda il valore economico a cui il campione di lavoratori e lavoratrici statunitensi rinuncerebbero pur di poter lavorare da casa: ben il 25%. Il dato è enorme, ma cerchiamo di entrare più nel dettaglio.
Come premessa, a testimonianza della grande importanza del fenomeno, lo studio riporta la diffusione del lavoro da remoto negli USA. L’11% lavora sempre da casa, percentuale che sale al 29 per le formule ibride (parzialmente da remoto).
Per quanto concerne lo studio, i dati prescelti riguardano le offerte di lavoro ricevute da un campione di lavoratori e lavoratrici del settore tecnologico, aventi -come media- 32 anni di età, 7 anni di esperienza alle spalle e una retribuzione annua lorda di 239 mila dollari. La scelta del campione riguarda quindi una nicchia di forza lavoro, giovane, altamente specializzata e che guadagna molto bene, ma resta significativo in quanto relativo a uno dei settori che sarà sempre più preponderante nel futuro.

La scelta del campione dello studio Nber riguarda una nicchia di forza lavoro, giovane, altamente specializzata e che guadagna molto bene (Designed by Freepik)
Lo studio analizza poi le scelte individuali compiute, evidenziando la preferenza del campione interessato verso le forme di lavoro da remoto -pieno o parziale- anche a costo di rinunciare al 25% della retribuzione. Il risultato è enorme. Su una retribuzione annua lorda di 200 mila dollari, significherebbe rinunciare a ben 50 mila dollari pur di poter lavorare da casa.
Il metodo conta
Ma perché così tanta differenza rispetto agli studi precedenti, che stimavano questa disponibilità a rinunciare tra il 5 e il 10% della retribuzione pur di lavorare da remoto? Sicuramente una delle ragioni riguarda la tipologia particolare del campione prescelto, che spiega sicuramente parte della differenza (quando si guadagna molto, ci si può permettere una maggiore attenzione alla qualità della vita, soprattutto in un settore dove il lavoro da remoto è più che fattibile). Ma non è sufficiente a spiegare il gap.
Il pezzo mancante, secondo gli autori, riguarda la diversa metodologia utilizzata. Lo studio infatti ha utilizzato dati reali, ossia le offerte di lavoro ricevute e le scelte effettuate. In altri casi invece si pone la domanda agli intervistati (“a che percentuale dello stipendio rinunceresti pur di poter lavorare da casa?”), senza tenere conto che le risposte possano essere influenzate dalla paura di mettere “strane idee” in testa alle imprese.
Nella seconda parte dello studio, si cerca di verificare se, effettivamente, le imprese paghino meno chi lavora da casa. La differenza non si vede (anzi, chi lavora da casa guadagna in media l’1% in più). Ciò potrebbe dipendere da diversi fattori, come cercare di evitare rischi legali o di penalizzare i dati sul gender gap.
I possibili scenari futuri
Come leggere i dati dello studio? Secondo The Economist , è solo questione di tempo prima che i salari per chi vuole lavorare da casa scendano. In primo luogo l’articolo evidenzia come alcuni colossi (JP Morgan, AT&T, Amazon) abbiano richiamato in ufficio le persone e che Elon Musk abbia definito il lavoro da remoto come “moralmente sbagliato”.

Secondo The Economist , è solo questione di tempo prima che i salari per chi vuole lavorare da casa scendano (Designed by Freepik)
Ma la reazione della forza lavoro è stata veemente (JP Morgan, dopo l’annuncio, ha dovuto disattivare i commenti sui social). Il cuore del pezzo però è un altro. Fin adesso i salari avrebbero retto anche per motivi di competizione tra aziende (offrire il lavoro da remoto per accaparrarsi i migliori talenti), ma se l’economia dovesse rallentare e le imprese dovessero continuare a considerare la possibilità del lavoro da remoto come “un costo”, i salari potrebbero risentirne.
Uno sguardo all’Italia
E in Italia? Il fenomeno sembra ancora in salute, a livello di numeri. Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel 2024 la quota di personale che ha usufruito del lavoro da remoto è stata ancora superiore ai 3 milioni e mezzo (-0,8% rispetto al 2023). In crescita nelle grandi aziende, in calo nelle PMI. Per il 2025 si prevede una crescita del 5%, trainata da grandi imprese e pubblica amministrazione. Sempre utile notare come il 73% degli interessati si opporrebbe alla revoca della possibilità, con ben il 27% che in tal caso cambierebbe lavoro. Tra chi è tornato pienamente in presenza, solo il 19% lo ha fatto per scelta personale.
il dito e la luna
Tutti questi numeri indicano che forse imprese e forza lavoro stanno osservando il fenomeno, rispettivamente, con sguardo unidirezionale (le prime in termini di costo, i lavoratori e le lavoratrici in termini di mero equilibrio lavoro/vita privata). C’è poca visione sul diverso modo di lavorare e sulle innovazioni di processo. Con il rischio di leggere in maniera errata i dati sulla produttività e di prendere, sulla base degli stessi, decisioni sbagliate.