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La fobia dei dazi dilaga. Ecco come affrontarla in 5 mosse


Post di Sebastiano Gadaleta, founder e Direttore generale di Progetto Impresa, team multidisciplinare specializzato nel campo delle agevolazioni per l’innovazione –
Dall’America all’Asia, passando ovviamente per l’Europa, nel mondo dilaga un nuovo fenomeno definito dagli esperti “dazifobia” (o “tariphobia” in inglese). Le minacce di Donald Trump, che ha minacciato dazi del 25% nei confronti dell’Unione Europea (dopo quelli che hanno colpito Messico, Canada e Cina), sta facendo infatti preoccupare sempre di più gli imprenditori e i consumatori, come dimostrato da diversi studi internazionali. Una paura che cresce anche negli USA: la stragrande maggioranza degli americani (8 su 10) teme infatti un aumento dei costi dovuto alle tariffe sulle importazioni che entreranno in vigore.
Lo rivela un recente sondaggio della Elon University, in North Carolina. Oltre l’80% degli intervistati ritiene che le tariffe porteranno ad un aumento dei prezzi (a novembre, secondo The Guardian, erano “solo” il 69%), mentre il 45% prevede aumenti significativi per il costo della vita. L’impatto sulle piccole e medie imprese è una delle principali preoccupazioni, poiché il 50% degli intervistati prevede conseguenze negative, mentre solo il 19% si aspetta un impatto positivo. Il 69% prevede, inoltre, che altri paesi reagiranno con tariffe sulle merci statunitensi, penalizzando gli esportatori americani.
Con i dazi cala la fiducia dei consumatori
In calo c’è anche la fiducia dei consumatori: lo US Consumer Confidence Index è infatti sceso di ben 7 punti percentuali solo nel mese di febbraio, il calo più pesante dal 2021, in piena pandemia Covid. Passando a Oriente, un similare sondaggio condotto da Reuters ha rivelato che, in Giappone, quasi nove aziende su 10 si aspettano che le politiche del presidente degli Stati Uniti siano destinate a influenzare negativamente i loro affari.

Stellantis è fra i gruppi industriali che sarebbero maggiormente danneggiati dai dazi di Trump (Foto Archivio)
Ma i dazi, come rivela un ulteriore studio di Ipsos Mori, condotto su un campione di oltre mille cittadini, stanno spaventando anche i britannici, che sarebbero pronti a considerare un riavvicinamento all’Unione Europea. L’indagine ha infatti dimostrato che, potendo scegliere, gli inglesi sono molto più propensi a una partnership con Bruxelles (scelta dal 47%) piuttosto che con Washington (21%) o con il Commonwealth (15%).
Perché la distanza tra Usa e Ue non dovrebbe agitare gli imprenditori
Logico ipotizzare che, in questo scenario, anche per le Pmi italiane il domani possa apparire quantomeno nebuloso. Eppure gli imprenditori non dovrebbero avere paura e, anzi, a scommettere con ancora più coraggio nel futuro. Il motivo? Semplice. Perché, paradossalmente, per quanto riguarda l’Italia è proprio una possibile distanza tra USA e UE il motivo che deve spingere a essere positivi. Posta di fronte alla fine di una sicurezza che riteneva consolidata, ovverosia la presenza dell’”ombrello” statunitense in ogni campo, da quello della difesa all’economia, l’Unione Europea si troverà costretta ad accelerare sulla propria indipendenza.
Le opportunità nel prossimo bilancio pluriennale dell’Ue
Tali necessità troveranno inevitabilmente spazio anche nel prossimo bilancio pluriennale dell’Ue, sui contenuti del quale si è già iniziato a discutere. Ma, in uno scenario di questo tipo, è inevitabile che le opportunità di finanziamento a fondo perduto per spingere l’innovazione, penso alla transizione energetica ma anche all’intelligenza artificiale, dove il vecchio continente è complessivamente in deficit rispetto ai competitor americani e cinesi, siano destinate ad aumentare piuttosto che a contrarsi.
Da questo punto di vista le imprese italiane hanno davanti a loro la prospettiva di poter accedere con sempre maggiore facilità a bandi innovativi nel prossimo futuro. Già dai primi anni Dieci del ventunesimo secolo il nostro team di Progetto Impresa si è, per esempio, posto l’ambizioso obiettivo di traghettare le aziende attraverso le difficili sfide della transizione ecologica, della transizione digitale e dell’intelligenza artificiale, prima ancora che queste divenissero tematiche comunemente dibattute nel panorama economico italiano o strade da percorrere obbligatoriamente. I risultati ci hanno premiato.
Le cinque azioni per fare fronte ai dazi
Ma cosa devono fare oggi, per non farsi trovare impreparati di fronte ai cambiamenti in atto e venturi e di fronte agli scossoni economici in atto nell’ordine mondiale, i piccoli e medi imprenditori italiani? Ecco le 5 azioni che riteniamo fondamentali:
- – Monitorare attentamente le politiche tariffarie internazionali e considerare l’ottimizzazione della propria catena di approvvigionamento, anche rivedendo i fornitori e la localizzazione della produzione per mitigare l’effetto di eventuali dazi su prodotti importati o esportati.
- – Diversificare i mercati, esplorando nuove opportunità di export, cogliendo le opportunità fornite dal mercato unico europeo, può essere una via per ridurre la dipendenza dal mercato statunitense.
- – Fare networking, anche appoggiandosi ad associazioni di categoria o di settore può favorire alleanze strategiche per affrontare la concorrenza globale.
- – Digitalizzare per migliorare l’efficienza dei processi aziendali, ridurre i costi e navigare meglio tra le onde delle sfide logistiche.
- – Credere nella sostenibilità. Sebbene gli Stati Uniti potranno avere una posizione più “rilassata” su temi come il cambiamento climatico, l’Europa ha continuato a spingere verso questo concetto e non c’è motivo per cui non debba continuare a farlo anche in vista del prossimo bilancio pluriennale.