Oltre la formazione: il mentoring come investimento sui talenti

scritto da il 19 Febbraio 2025

Post di Alessandro Reati, HR Practice Leader e Head of People & Culture di Cegos Italia – 

In un mercato del lavoro, sempre più influenzato dall’AI e caratterizzato da elevato mismatch, scarsità di talenti e workplace multigenerazionali, il mentoring può esprimere le sue piene potenzialità come leva strategica, per favorire l’adattabilità e la resilienza al cambiamento, la trasmissione di know-how, lo sviluppo della leadership, la crescita individuale e collettiva, oltre che la retention dei talenti, stimolando una cultura aziendale positiva e promuovendo la diversità e l’inclusione.

Le aziende che adottano programmi di mentoring ne riconoscono l’importanza. Ad avvalorare la tesi, l’ultima survey “Essere manager: tra formazione e realtà operativa” condotta da Cegos Italia – parte del Gruppo Cegos, tra i principali player nel Learning & Development – secondo cui l’85% dei manager vorrebbe partecipare a programmi di mentoring o coaching per affinare le proprie capacità di leader.

Implementare un programma di mentoring di successo richiede però una pianificazione strategica. Come procedere al meglio?

Linee guida

Il primo passo è definire obiettivi chiari (SMART – specifici, misurabili, raggiungibili, realistici e temporizzati), coinvolgendo fin dall’inizio gli stakeholder chiave, come dirigenti, HR Manager, mentor e mentee. Segue l’allocazione delle risorse – budget, tempo e strumenti – e la selezione dei partecipanti: i mentor devono possedere solide competenze, capacità di leadership e un’attitudine al supporto. I mentee, invece, devono essere motivati e aperti al confronto.

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Nel mentoring non va sottovalutata l’importanza di considerare le dinamiche interculturali e intergenerazionali (Designed by Freepik)

Ai soggetti coinvolti è importante fornire formazione, supporto e un affiancamento continuo, affinché il programma rimanga pertinente ed efficace nel tempo, adattandosi alle esigenze in evoluzione dei partecipanti e dell’organizzazione.

Un alleato sempre più importante è la tecnologia avanzata: le piattaforme online possono ottimizzare il matching tra mentor e mentee, non solo in termini di abilità ma anche di aspettative e obiettivi, oltre a programmare incontri e gestire le comunicazioni. L’adozione di dispositivi di ultima generazione offre ulteriori vantaggi: l’AI, ad esempio, può analizzare i dati dei partecipanti per suggerire abbinamenti più efficaci e fornire raccomandazioni personalizzate.

Non va sottovalutata l’importanza di considerare le dinamiche interculturali e intergenerazionali. Un programma di mentoring può diventare una soluzione efficace per promuovere diversità, equità e inclusione, creando uno spazio rispettoso e collaborativo. Secondo un report di Deloitte[1], il 35% della Gen Z e il 34% dei Millennial considerano proprio i programmi di mentorship tra le iniziative più rilevanti per promuovere l’uguaglianza sociale.

Infine, per rendere il processo più efficace, è essenziale monitorare e valutare regolarmente il programma oltre a documentare e condividere i successi.

Le diverse tipologie di mentoring

Una volta definita la struttura, l’iniziativa può essere declinata in diverse modalità. Quella tradizionale (one-to-one) consente un’interazione personalizzata per lo sviluppo di skill ad hoc e per un accompagnamento individuale. Invece, se si vuole favorire l’apprendimento collaborativo, il mentoring di gruppo crea occasioni di confronto e scambio su best practice e conoscenze, rafforzando il senso di comunità. Una terza opzione, il reverse mentoring, prevede che i mentee condividano soprattutto tech skill con i mentor più senior, incoraggiando un ambiente di apprendimento reciproco che valorizza ogni livello di seniority e agevola le dinamiche intergenerazionali.

Errori da evitare per un mentoring win-win

L’efficacia del mentoring dipende fortemente da una comunicazione aperta e onesta che si basa su ascolto attivo, ovvero interesse autentico, domande per esplorare in modo completo le tematiche e feedback costruttivi per puntare al miglioramento continuo; tuttavia, alcuni errori possono comprometterla.

Il mentor, ad esempio, per agevolare fiducia e apprendimento, non dovrebbe essere autoritario e parlare solo di sé stesso. Il mentee, invece, dovrebbe evitare di crearsi aspettative irrealistiche e saper accettare feedback. L’HR Director deve definire obiettivi precisi, curare la formazione, monitorare i progressi e garantire la compatibilità tra le parti. L’alta direzione, infine, ha il compito di sostenere autenticamente il mentoring, allineandolo alla strategia aziendale e valorizzandolo per mantenere alta la motivazione.

Il mentoring, dunque, opportunatamente pianificato e progettato, è win-win per tutti gli attori:

  • – le aziende migliorano le performance, aumentano la retention, riducono il turnover e facilitano un ambiente inclusivo.
  • – i mentor sviluppano capacità di leadership e il proprio network, oltre ad incrementare la soddisfazione lavorativa complessiva.
  • – i mentee crescono professionalmente e personalmente, grazie a un supporto mirato.

Il mentoring non è solo un programma, quindi, ma un investimento strategico di lungo periodo che trasforma le organizzazioni, rafforza le relazioni e valorizza il potenziale umano, promuovendo uno sviluppo per tutti gli stakeholder.

 

[1] 2024 Gen Z and Millennial Survey – Deloitte