Investire nel wellbeing? Fa crescere la produttività e genera valore

scritto da il 30 Gennaio 2025

Post di Claudia Cipolla, Head of Italy Wellhub

Il benessere dei dipendenti in azienda è il più potente moltiplicatore di produttività, resilienza e talent attraction. Ecco perché oggi per le aziende investire nel wellbeing dei propri lavoratori non è più un’opzione, ma un fattore competitivo vitale. A scattare la “fotografia” del nuovo scenario del mondo aziendale in tema di Welfare sono i dati della ricerca del McKinsey Health Institute presentati alla 53esima edizione del World Economic Forum (WEF) di Davos, in Svizzera.

L’indagine di McKinsey rivela che l’investimento aziendale per il miglioramento della salute dei dipendenti potrebbe generare un valore economico globale fino a 11.700 miliardi di dollari e che il conseguente miglioramento della salute dei professionisti potrebbe incrementare il PIL mondiale di una percentuale compresa tra il 4 e il 12%.

PMI italiane sempre più sensibili al Wellbeing

In Italia, l’adozione di misure per il wellbeing dei dipendenti è in forte crescita e mira ad aumentare la produttività e soddisfazione dei dipendenti e a prevenire fenomeni come il Quiet Quitting – insoddisfazione latente e produttività in modalità “sopravvivenza” – e le grandi dimissioni. In base ai dati presenti nel Rapporto Randstad (2023) circa il 50% delle aziende italiane ha introdotto politiche di benessere per i propri dipendenti, soprattutto dopo la pandemia, quando molte aziende hanno preso coscienza della necessità di garantire un buon equilibrio tra vita lavorativa e personale.

Tutti i vantaggi del ROI del benessere (che piace agli investitori)

Riduzione dei costi sanitari e minor assenteismo, crescita della produttività e miglioramento dell’engagement dei dipendenti, miglior talent attraction e talent retention nel lungo periodo, aumento delle performance e dei KPI aziendali e della resilienza organizzativa. Sono solo alcuni dei molteplici vantaggi per le aziende che investono nel wellbeing dei loro dipendenti. Una scelta strategica che incontra, peraltro, anche il plauso degli investitori, che sottolineano come la salute e il benessere dei dipendenti siano fra le linee guida chiave anche per il rispetto dei criteri ESG, regolati da pressioni normative crescenti.

“Cultura della Salute”: attira i talenti e piace alla GenZ

Investire nella “Cultura della salute” dei dipendenti può aumentare la loro fidelizzazione in azienda, riducendo ad esempio i tassi di turnover dei dipendenti (-11%) rispetto alle imprese che non lo fanno. Inoltre, investire nella salute e nel benessere dei dipendenti è sempre più importante per attrarre talenti. Una ricerca della Saïd Business School rileva che per molti dipendenti i fattori che contribuiscono al loro benessere sono cruciali quanto gli incentivi tradizionali, come lo stipendio. Questo aspetto è particolarmente importante per i giovani talenti della Generazione Z – nati fra il 1996 ed il 2010 – che sceglie il datore di lavoro dando particolare importanza ai benefici per la salute mentale.

Benessere aziendale
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Poco più di un dipendente su due si sente “in salute”

Nel sondaggio del McKinsey Health Institute condotto su oltre 30.000 dipendenti in tutto il mondo, solo il 57% ha dichiarato di godere di una buona salute olistica – intesa come visione integrata del funzionamento mentale, fisico, spirituale e sociale di un individuo. E non mancano interessanti curiosità. Ad esempio, i dipendenti di sesso femminile, LGBTQI+, più giovani o neurodivergenti, o che riferiscono livelli di istruzione più bassi o con difficoltà finanziarie, tendono a soffrire maggiormente di burn-out.

Salute Olistica in calo per LGBTQI+, Donne, giovani e dipendenti a basso reddito

L’indagine evidenzia come donne, LGBTQI+, dipendenti senza un diploma di scuola superiore, neurodivergenti, o a basso reddito siano quelli con una salute olistica inferiore e sintomi di burnout più elevati rispetto agli altri intervistati.

In particolare, le donne avevano otto punti percentuali in più di probabilità di riferire sintomi di esaurimento rispetto agli uomini (46% contro 38% per gli uomini), nonostante punteggi simili per quanto riguarda la salute olistica (55% contro 58% per gli uomini) e i sintomi di burnout (23% contro 21% per gli uomini). E ancora: le persone LGBTQI+ avevano nove punti percentuali in meno di probabilità di dichiarare una buona salute olistica rispetto agli eterosessuali (46% contro 55% per gli eterosessuali).

Inoltre, più della metà dei dipendenti gay, lesbiche e non binari si sentiva “unica” (unica persona o una delle uniche persone con il proprio orientamento sessuale o identità di genere) sul posto di lavoro rispetto agli altri dipendenti. Il sentimento di isolamento può esacerbare l’esclusione e può avere un impatto negativo sul benessere. Infine, i lavoratori più giovani – tra i 18 e i 28 anni – avevano 18 punti percentuali in più di probabilità di riportare sintomi di burnout rispetto ai lavoratori più anziani (oltre i 60 anni) (27% contro il 9% dei lavoratori più anziani).

Wellhub: passaparola, il vero “booster” del benessere olistico in azienda (+70%)

In base ai recenti dati raccolti da Wellhubpiattaforma di servizi per il benessere olistico dei dipendenti – il tasso di adozione medio dei servizi per il Wellbeing è stato compreso fra il 15 ed il 25%, con una crescita media annua del 42%. Ma il vero booster del benessere olistico in azienda è il passaparola, insieme alla comunicazione interna per la promozione della “Cultura della salute”, che porterebbe ad un aumento nelle adesioni fino al 70%.

Per il 97% dei dipendenti il benessere conta quanto lo stipendio

Il benessere in azienda non è più negoziabile: in base ad un recente sondaggio globale su oltre 5.000 lavoratori condotto da Wellhub, per il 97% dei dipendenti è importante quanto lo stipendio. Ecco perché ogni organizzazione deve diventare un abilitatore di politiche di Wellbeing e benessere fisico e mentale, fattori determinanti per la produttività.