Da investitore a imprenditore: diario di un cambiamento necessario

scritto da il 28 Gennaio 2025

Post di Andrea T. Orlando, Imprenditore, Investitore, Co-Founder di VADO – 

Nel 2020, quando ho accettato la sfida di uno degli acceleratori più attivi a livello europeo (Startup Wise Guys), avevo un’idea piuttosto chiara della missione che mi attendeva: mettere a disposizione la mia esperienza professionale europea e stimolare il panorama delle startup italiane aiutando le giovani imprese a crescere con capitali, competenze e connessioni, generando, al contempo, valore per chi avesse creduto nel progetto.

Con un fondo di circa 4 milioni di euro, abbiamo investito in 38 startup italiane, registrando, ad oggi, risultati più che soddisfacenti: un MOIC (Multiple on Invested Capital) di circa 2x in soli 40 mesi, un traguardo che parla del valore delle imprese, soprattutto italiane, e delle loro capacità di crescere, anche in un contesto economico complesso (dal 2022  l’industry sta affrontando un cosiddetto downturn che solo adesso sembra essere giunto al termine).

Eppure, ho scelto di riprendere il ruolo di imprenditore, lasciando da parte, almeno per come l’ho interpretato negli ultimi quattro anni, quello di investitore. Almeno per il momento. Non perché ci siano stati ripensamenti o pentimenti nè perchè il percorso intrapreso non fosse più valido, ma perché ho riflettuto molto su quanto fatto e quanto ancora rimaneva da fare come professionista e ho maturato la consapevolezza che, per non rallentare la mia crescita professionale e continuare a contribuire all’evoluzione di questo ecosistema, giovasse un cambio di prospettiva.

Qualità non solo quantità

Prendersi cura di 38 aziende in portfolio, anche se da investitore di minoranza (in media abbiamo investito in cambio del 2-3% del capitale sociale), è un lavoro molto intenso. Non potrei curare gli interessi del mio portfolio dei miei investitori se facessi un altro fondo adesso e aggiungessi altre startup da seguire. E così il salto da investitore a imprenditore riflette anche una mia scelta, oserei dire responsabile, verso un mandato che ho ricevuto dai miei investitori quando abbiamo creato il fondo di Startup Wise Guys in Italia. Il ruolo di un investitore non si limita a fornire capitali; implica un coinvolgimento strategico continuo (talvolta non lo nascondo anche emotivo) per supportare la crescita delle startup, monitorarne i progressi e contribuire a superare le inevitabili difficoltà operative.

Gestione del portafoglio quindi non solo quantitativa, ma anche e soprattutto qualitativa. Un impegno profondo per garantire che le startup ricevano il sostegno adeguato per affrontare le sfide del mercato e cogliere le opportunità di crescita. Anche per creare, con i tempi che ci vogliono, storie di successo che possano attrarre ulteriori investimenti e consolidare la fiducia degli stakeholder. In un contesto di Venture Capital di dimensioni contenute, l’espansione del portfolio con un nuovo fondo potrebbe comportare rischi significativi di dispersione dell’attenzione e delle risorse.

Questo, a sua volta, potrebbe compromettere la capacità di offrire il livello di supporto necessario alle aziende già investite, un aspetto, per me, critico per mantenere la fiducia sia degli imprenditori sia degli investitori.

Le sfide dei piccoli fondi di Venture Capital

Gestire un fondo di Venture Capital in Italia è una sfida strutturale, soprattutto quando si opera con dimensioni contenute (nel nostro caso, 4 milioni di euro). Creare un secondo fondo della stessa taglia non è un’operazione necessariamente scontata. Il veicolo d’investimento che abbiamo creato con Startup Wise Guys Italy è tutto sommato piccolo, che nelle normali logiche VC è più un’eccezione che una regola. Una, in pratica, non esistente management fee rende non solo complessa la gestione corrente, ma anche difficile andare oltre il primo fondo.

Devo, oltretutto, fare una contestualizzazione sul mio percorso. Nel 2020 sono stato molto fortunato per il momento storico particolare durante il quale ho raccolto il primo fondo. Sperando, mentre scrivo, di non peccare di eccessiva modestia, sento adesso che non possa essere il momento giusto, in Italia per me, per fare una raccolta ancora più grande ( e forse non solo per me).  Ci vogliono dei tempi per maturare il cosiddetto track record per avere sufficiente credibilità nei confronti dei cosiddetti investitori istituzionali. Cose, track record e credibilità, che in Italia in questa industry hanno una manciata di professionisti. Io ancora no.

In Italia, raccogliere capitali da investitori istituzionali è un’impresa che richiede anni di relazioni, burocrazia e un curriculum che poche figure possono vantare: anche professionisti altamente qualificati e con risultati comprovati spesso faticano a chiudere nuovi fondi (ci possono volere anche 2 anni di interlocuzione prima di arrivare ad una bozza di accordo di investimento in un nuovo fondo). E quindi rimboccarsi le maniche aspettando che il valore del fondo cresco, e con esso la mia credibilità come interlocutore, non mi sembra poi una decisione tanto insensata.

Un ecosistema in evoluzione, ma ancora diffidente

Il Venture Capital italiano ha fatto progressi significativi negli ultimi anni, ma resta influenzato da una percezione ambivalente (il 2024 si chiuderà con circa 1 Miliardo di Euro investiti in Venture Capital, in UK circa 20 miliardi Euro, in Germania 10-12 miliardi). Da un lato, gli investitori di qualità stanno aumentando, portando capitale e competenze. Dall’altro, una parte del mercato è ancora segnata da approcci troppo poco professionali (per non dire superficiali) e dalla presenza di consulenti che si presentano come investitori che spesso distruggono valore invece di crearne.

Questo ha generato una diffidenza latente da parte degli imprenditori verso la figura dell’investitore, percepito talvolta come distante o poco interessato alle dinamiche operative delle aziende. È un elemento che limita il potenziale di collaborazione tra startup e investitori, rallentando l’evoluzione dell’intero ecosistema.

Ma c’è di più: adesso più di prima in questi anni, la cultura imprenditoriale in Italia, in via di costruzione ha bisogno di una spinta decisiva. Si iniziano a intravedere i primi “soonicorn” e i role model, prima più rari degli unicorni, iniziano a costruire casi di successo e ispirare una nuova generazione di imprenditori. E allora come aspirante role model mi faccio avanti in questa sfida e mi prendo la responsabilità di un compito che, da imprenditore, posso affrontare con maggiore efficacia rispetto a quanto potrei fare da investitore.

Da investitore a imprenditore

Il passaggio da investitore a imprenditore non è solo una questione di cambio di carriera, ma di un approccio diverso alla creazione del valore. Sebbene entrambe le figure siano fondamentali nel ciclo economico dell’innovazione, esse svolgono ruoli differenti che offrono vantaggi e sfide uniche.

imprenditore

L’investitore fornisce capitale e visione strategica. L’imprenditore è immerso nell’operatività della propria startup (Designed by Freepik)

L’investitore fornisce capitale e, in molti casi, anche visione strategica, ma non si trova a operare direttamente nel cuore dell’attività quotidiana (anche se spesso si legge di questo mitico approccio “hands on” che promettono alcuni). Si occupa principalmente di allocare risorse, monitorare il progresso delle aziende in portafoglio e supportare la crescita a livello macro. Tuttavia, la sua influenza si limita principalmente alla governance e alle decisioni strategiche ad alto livello. La sua distanza operativa implica che non sia coinvolto nella gestione diretta del prodotto, nella dinamica del mercato o nelle questioni quotidiane legate al team.

Al contrario, l’imprenditore è immerso nell’operatività della propria startup. Questo ruolo implica un coinvolgimento diretto nella progettazione e gestione del prodotto, nella definizione delle strategie di mercato e nella costruzione del team. Essere imprenditore significa affrontare sfide quotidiane che vanno dalla gestione delle risorse umane alla risoluzione di problemi operativi, il tutto mantenendo un focus sull’evoluzione costante del modello di business.

L’imprenditore e la gestione del rischio

Da imprenditore, la gestione del rischio è anche più concreta. L’imprenditore rischia il proprio capitale e la propria reputazione, in contrasto con l’investitore che, in alcuni casi, opera solo con capitale di terzi. Questo cambio di prospettiva modifica l’approccio: ogni decisione è più personale e immediata, con una maggiore responsabilità sulle spalle. Inoltre, l’imprenditore ha una libertà strategica che l’investitore non può permettersi. Può prendere decisioni rapidamente, adattarsi in tempo reale alle esigenze del mercato e implementare soluzioni innovative senza dover passare attraverso processi decisionali lunghi e complessi, come quelli tipici dei board di investimento.

Un imprenditore riesce ad essere più fedele alla propria missione perché non è necessariamente legato alla raccolta di capitale (e a management fee). È pressoché esclusivamente legato alla soddisfazione dei propri clienti. Meno politica, più attenzione a problemi da risolvere, più valore creato. Il percorso che adesso fa per me.