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Il fuoco della libertà, dalla caverna a DeepSeek
Post di Valter Fraccaro, Presidente Fondazione SAIHUB (Siena Artificial Intelligence HUB) –
Provate ad accendere un fuoco sperando che le scintille che appaiono sfregando due sassi incendino l’erba secca. Scoprirete che ci vuole molta energia, che il risultato è incerto e che insomma il sistema non è pratico.
La tecnologia è fatta così: all’inizio porta pochi risultati rispetto alla fatica che si deve fare per raggiungerli. Poi, pian piano, si riesce a migliorare il processo cambiandolo: due pietre, poi due legni, poi l’acciarino, l’accendino, la comoda fiamma a gas della cucina. Sempre meno energia, sempre migliori risultati e si passa dal remoto fuocherello alla produzione di acciaio e di vetro.
L’alba dell’AI
E’ guardando alla storia della tecnica umana che si può capire con chiarezza come l’enorme consumo energetico dell’AI sia esattamente la prova di quanto essa sia all’alba della sua probabile vicenda. Un’alba luminosa certo, ma non per questo meno lontana da qualsiasi forma di ottimizzazione tra consumo e risultato.
Tra questi primi raggi di sole è facile vedere che per l’AI esistono varie linee di sviluppo. Ad esempio, quella con cui si intende trovarne i limiti spingendo verso le massime performance, disinteressandosi dell’elettricità richiesta; quella che cerca di identificare approcci che portino a soluzioni distribuibili, a basso costo di acquisto e facile utilizzo, ancorché con consumi elevati; infine, quella che cerca di trovare la massima efficienza, cioè la minima energia possibile per raggiungere un predeterminato risultato.
Gli USA inventano, la Cina copia: è ancora vero?
Quanto annunciato da DeepSeek qualche giorno fa è proprio di questo ultimo indirizzo scientifico: le performance finora raggiunte dagli LLM americani si possono ottenere grosso modo con un decimo del consumo.
Deve sorprenderci? E perché, visto che così è stato in passato per tante altre invenzioni, la cui efficienza è migliorata nel tempo?
Quel che colpisce l’opinione pubblica è forse che questo annuncio viene dalla Cina.
Ricordate? Pochi mesi fa in tanti scrivevano a proposito dell’AI che “gli Stati Uniti inventano, la Cina copia, l’Europa regolamenta”. Era una sciocchezza allora come ora e l’ennesima conferma è proprio l’annuncio di DeepSeek.
Le premesse per il boom AI cinese con DeepSeek
I numeri raccontano cose ben diverse dall’autoconsolatoria visione occidentale riguardo il Regno di Mezzo:
– nel 2023 in Cina si sono laureate 10,47 milioni di persone contro 4,2 delle università USA. Inoltre, le proiezioni dell’OECD per il 2030 assegnano al Paese asiatico una percentuale del 27% dei laureati di tutto il mondo, contro l’8% degli Stati Uniti;
– senza considerare quanti cinesi si laureano nelle migliori università occidentali, quelle della loro patria continuano a migliorare le proprie posizioni nei ranking internazionali. Nella prestigiosa classifica “Times Higher Education World University Ranking” del 2025, sono 7 gli atenei cinesi nei primi 100 del mondo, 10 nei primi 150, 19 nei primi 250.
La prima università italiana si trova al 146° posto (Bologna), la seconda al 154° (la Normale di Pisa)e, tanto per fare un confronto, solo 7 nelle prime 250 (tra cui due, Normale e Sant’Anna, che assommano appena 1.500 studenti);
I computer più potenti, l’80% dei brevetti AI
– quanto ai computer più potenti del pianeta raggruppati nella cosiddetta TOP500 e nonostante le rigide normative statunitensi sull’esportazione di tecnologie avanzate verso il Celeste Impero, la Cina è il secondo Paese al mondo come numero di supercomputer (63), dietro agli USA (173);
– per brevetti legati all’AI, secondo l’AI Index Report 2024, prodotto da Stanford University e considerato il riferimento nel settore, nel 2022 la Cina ne ha prodotto l’80,22% al mondo, contro il 15,11 degli USA.
Insomma, non è il caso di stupirsi dei risultati ottenuti dai ricercatori cinesi, che dimostrano quanto sia errata la visione pregiudiziale secondo cui essi vivono in un Paese grande e popoloso ma non capace di affrontare adeguatamente le sfide scientifiche e tecnologiche del XXI secolo.
Il problema: l’osmosi tra Stato e impresa in Cina
Quando si parla di Cina è opportuno ricordare che la divisione tra Stato e impresa è là molto più sottile che in Europa o in Nord America. Di fatto, lì le aziende più grandi e più capaci sono elementi della diplomazia internazionale governativa in maniera molto diretta, usando questo aggettivo nella sua valenza più netta e opposta a quella USA, in cui sono le imprese a condizionare la politica.
E’ per questo che l’annuncio di DeepSeek, arrivato a poche ore dalla dichiarazione di Trump riguardo ad un piano da 500 miliardi di dollari per mantenere le tecnologie digitali USA le più avanzate al mondo, ha chiaramente un valore simbolico molto forte.
DeepSeek racconta dell’inutilità delle Entity List
E’ un messaggio che dice della capacità tecnica della Repubblica Popolare. Del fatto che il risparmio energetico e i suoi riflessi ambientali restano nella sua agenda politica proprio mentre spariscono da quella statunitense; dell’inutilità di tentare di privare la Cina dei processori più potenti per frenare la ricerca e applicazione dell’AI. Da questo, del minor valore che acquisiscono le tecnologie di produzione elettronica di Taiwan, e quindi della diminuzione del valore di scambio diplomatico di quell’isola.
Ma anche della possibilità di diventare fornitori di open source per tutti quei Paesi che non si trovano o non si troveranno più del tutto allineati con le politiche del nuovo Presidente degli Stati Uniti e dei suoi partner digitali, Musk in primis; dell’offerta al mondo di un’alternativa per la collaborazione scientifica nel caso in cui, come per la sanità, gli USA intendano diminuire i propri rapporti con le grandi entità sovrannazionali attraverso cui passa la cosiddetta Big Science, quella che richiede quantità di persone, strumenti e denaro che nessuno Stato può garantire da solo.
Il confronto tra le diverse libertà
Infine, quel risultato mostra ai tanti cinesi che studiano o lavorano nelle università americane che possono tornare nella madrepatria quando vogliono e trovare sfide gratificanti, ancorché in un modello di Stato in cui la libertà è concepita in forma ben diversa da quella occidentale.
Già, la bella libertà come la consideriamo noi qui, quella odierna, che di cosa potrà diventare domani non ne sa nulla nessuno, nemmeno l’AI.
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