Fondi pensione? Essenziali. Ma attenti all’effetto boomerang

scritto da il 22 Gennaio 2025

Post di Anna Vinci, co-founder di Ciao Elsa – 

È un momento cruciale per il futuro previdenziale dell’Italia.

Immaginiamoci la previdenza come fosse una casa, che per stare in piedi ha bisogno di pilastri, dove il primo pilastro, storicamente, è sempre stata la previdenza obbligatoria, insomma la pensione che riceviamo dallo Stato.

I nostri nonni, a fine carriera, ricevevano una pensione legata ai redditi degli ultimi anni e che, mediamente, rappresentava l’80-90% rispetto all’ultimo stipendio percepito; un pilastro stabile, che non necessitava di importanti integrazioni per “tenere in piedi” la casetta.

Tuttavia, questo sistema (retributivo), nel tempo si è rivelato insostenibile, sia per l’evidente squilibrio tra i contributi versati durante tutti gli anni di lavoro e una pensione legata solo alle ultime retribuzioni, sia per fattori come il calo demografico e il contestuale invecchiamento della popolazione. Va infatti ricordato che il nostro è un sistema “a ripartizione”, cioè fondato sul fatto che i contributi versati dai lavoratori (sempre meno) di oggi vengono materialmente utilizzati per pagare le pensioni ai pensionati (sempre di più) attuali.

La riforma Fornero e le nostre pensioni

Ecco perchè nel 2011, con la riforma Fornero, il sistema retributivo è stato definitivamente abbandonato e siamo passati al sistema contributivo (che riguarda tutti i lavoratori post 1996), e che è correlato, in maniera più equa, a quanti contributi ciascun lavoratore avrà versato.

Ma veniamo al punto: se i nostri nonni andavano in pensione a 60-65 anni e, abituati a guadagnare 1000, si trovavano una pensione di 900, tutti noi giovani lavoratori andremo in pensione a circa 70 anni e, se saremo abituati a guadagnare 1000, ci troveremo un assegno pensionistico di 500.

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Insomma, la casa dei giovani lavoratori non sta può stare in piedi con il solo primo pilastro.

Ecco perchè, dal 2007, oltre alla previdenza obbligatoria, è stata regolamentata (d. lgs. 252/2005, entrato in vigore l’01/01/2007) la previdenza complementare, che ha istituito e regolato gli altri due pilastri:

  • – il Trattamento di Fine Rapporto (TFR – secondo pilastro), cioè una quota – il 6,91% della retribuzione lorda annua cioè circa una busta paga per ogni anno di lavoro – su cui un lavoratore dipendente, aderendo a un fondo pensione, può arrivare a risparmiare, “a fine corsa” fino al 30% di tasse oltre a ottenere, in molti casi e di diritto, una retribuzione aggiuntiva da parte del datore di lavoro.
  • risparmio personale (terzo pilastro, valido per tutti, anche per i lavoratori autonomi/liberi professionisti). Sui soldi destinati al risparmio in un fondo pensione i lavoratori possono sfruttare una deduzione fiscale fino a 5.164,57€ all’anno, con un risparmio di tasse che può arrivare a 2.000,00€ all’anno

Insomma, il fondo pensione si presenta come lo strumento adatto e ideale per aiutare la nostra casetta, in futuro, a stare in piedi, colmando il “gap previdenziale”, cioè quella differenza così marcata tra l’ultimo stipendio che percepiremo e la pensione, a cui, inesorabilmente, stiamo andando incontro.

La tendenza (pericolosa) a rinviare la decisione

Eppure, in Italia, 2 lavoratori su 3 in Italia non aderiscono alla previdenza complementare.

Nonostante viviamo di luoghi comuni quali: “non andremo mai in pensione”, “alla pensione non ci penso, non so nemmeno se ci arrivo”, non prendiamo una decisione, senza renderci conto che stiamo cadendo in uno dei più comuni bias della finanza comportamentale: la procrastinazione, insomma la tendenza a rimandare, e spesso addirittura a non prendere decisioni, anche importanti, di investimento, solo perché ci fanno venire il mal di pancia.

D’altronde si tende a rimandare ciò che non si conosce, e, ricordiamolo, l’Italia si distingue sempre negli ultimi posti nelle classifiche relative all’alfabetizzazione finanziaria a livello mondiale.

La sfiducia verso i fondi pensione

Tra i motivi che spingono le persone a non aderire ce n’è uno in particolare che ha colpito noi di Ciao Elsa, che ci occupiamo di spiegare facile il mondo difficile della previdenza, con il sogno di renderlo accessibile a tutti: fin dalle nostre prime survey abbiamo rilevato che il maggiore ostacolo nella decisione di aprire un fondo pensione per le persone fosse la sfiducia verso lo strumento e verso chi “lo vende”.

D’altra parte, io stessa, alla mia prima esperienza lavorativa da dipendente, quando avevo 28 anni, e nonostante i miei studi giuridico-economici, ho ritenuto (del tutto infondatamente, per quelli che erano i miei obiettivi all’epoca) di non fidarmi del consulente che cercava di convincermi a destinare il mio TFR a un fondo pensione.

Per poi beccarmi negli anni successivi un bel conguaglio di tasse dall’Agenzia delle Entrate. Ecco perché ho messo la testa sull’argomento e mi ci sono appassionata.

Più che una passione è un’ossessione: come possiamo fare per infrangere questo tetto di cristallo che divide noi lavoratori dalle soluzioni ai nostri problemi in ambito previdenziale?

Con tutti i vantaggi che comporta, la domanda da porsi non dovrebbe più essere “se” integrare la propria pensione, ma “quando” iniziare.

E ce lo confermano anche le recenti proposte legislative, come il silenzio/assenso per il TFR (cioè la possibilità di trovarsi automaticamente iscritti a un fondo pensione) o la possibilità di accedere alla pensione anticipata grazie al fondo pensione (quest’ultima resa legge con la recente approvazione della manovra).

Complementare non è più facoltativo, ma non andrebbe imposto

Il messaggio è chiaro: complementare non significa più facoltativo.

Tuttavia, se, da un lato, l’imposizione dall’alto di riforme che rendano “obbligatoria” la previdenza complementare possa essere considerata auspicabile, vista la sempre maggiore necessità di risparmiare per integrare la propria pensione, d’altro canto dal nostro punto di vista si pone una questione sostanziale di metodo.

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Il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti (Foto Roberto Monaldo / LaPresse)

Introdurre obblighi di adesione ai fondi pensione senza un’adeguata campagna informativa di qualità, rischia di aumentare la diffidenza nei confronti di questi strumenti finanziari che potrebbero essere visti come un’imposizione, non compresi e osteggiati apertamente.

Il rischio, dunque, è quello di ottenere un effetto boomerang e alimentare un sentimento oppositivo nei confronti della previdenza complementare che resta, invece, una necessità e un’opportunità strategica nella maggior parte dei casi oltre che uno dei modi migliori per rendere solida e stabile la nostra casa del futuro.