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L’urbanistica del ‘900 è finita? Guardare oltre il Salva Milano
Post di G. Tiziana Gallo, progettista e pianificatrice esperta di rigenerazione urbana –
La storia recentissima dell’urbanistica milanese, oggi nota a tutti grazie all’iter della cosiddetta norma Salva Milano è la sintesi, come al solito elevata alle stelle, della storia dell’urbanistica novecentesca Italiana.
Breve cronistoria.
Si scopre che molti progetti oggi realtà o ancora cantiere a Milano potrebbero avere bypassato le normative vigenti in materia urbanistica e sono finiti sotto la lente della Procura. La politica in maniera bipartisan risponde mettendo in approvazione un Ddl – ribattezzato, con una certa enfasi, Salva Milano – che va incontro alle esigenze dei costruttori e ai timori dei tecnici del Comune di Milano, molti dei quali si sono perfino dimessi.
Vi è stata in risposta la levata di scudi di 140 accademici, sconcertati dalla norma approvata alla Camera e in attesa di approvazione a Palazzo Madama. Nella lettera-appello ai senatori della Repubblica i 140 professori spiegano che la norma “salva Milano” anziché svolgere un ruolo salvifico potrebbe compromettere la qualità della pianificazione urbana, aumentare la densificazione urbana (senza servizi), incrementare costi abitativi e disuguaglianze. Con profili di incostituzionalità, visto che la norma mirerebbe al colpo di spugna sulle inchieste in corso.
Ragioniamo. Siamo di fronte a un altro condono per molti italiani? No. Qui la legge è tagliata su misura per chi realizza, ossia i costruttori. Anzi, parlando di Milano, le big company del Real Estate.
La cosa più eclatante è che i Comuni e teoricamente la comunità, finirebbero per ricevere molto meno dai costruttori, che costruiranno in deroga a tutto ciò che oggi è noto in tema di distanze, volumetria, rispetto dei vincoli, dei limiti volumetrici e via discorrendo.
Puntualizzo una cosa, perché sia chiaro.
Il Salva Milano e la vecchia urbanistica novecentesca
Dal punto di vista della vecchia urbanistica novecentesca il disegno di legge Salva Milano è profondamente sbagliato.
E anche visto con gli occhi della sottoscritta, che parla di “nuova urbanistica” da anni.
Ma immaginiamo che sia giusta.
Mentre la politica si preoccupa di chi costruisce a Milano, i milanesi stanno avendo giovamento dalla grande continua produzione di cosiddetta edilizia “green”?
Per questo è importante guardare ai numeri, ma soprattutto cercare di capire i processi in atto.
Pertanto effettuerò un paragone fra Milano e Roma, le città che più di tutte sono sottoposte a importanti trasformazioni urbanistiche.
Milano per le Olimpiadi invernali del 2026, Roma per il Giubileo appena iniziato.
Vediamo i dati sulla popolazione:
I trend si somigliano.
C’è stata una immediata riduzione dal 2019 al 2020, e già nel 2022 una ripresa, ma stranamente, nel 2023, periodo in cui il Covid è finito, entrambe le città perdono il maggior numero di cittadini.
È chiaro che il perido Covid ha evidenziato, per moltissimi cittadini, una mancanza di “attrattività” di queste due città, e che tale presa di coscienza è stato uno spartiacque, dopo il quale il trend si è stabilizzato, addirittura crescendo.
Questo è un dato che non va assolutamente sottovalutato, perché racconta una realtà molto differente dallo storytelling mainstream secondo cui le città vengono percepite da tutti come il “luogo del sogno”.
Nella realtà dei fatti, le città in momenti difficili fanno scappare la gente, perché istintivamente nel confronto con la paura, anche di morire, una fetta rilevante della popolazione riconosce il luogo della qualità altrove, spesso nei luoghi di origine.
E quell’altrove in Italia è spesso al Sud, spesso in quei piccoli borghi da dove provengono queste persone.
Oltre ovviamente a una naturale volontà di vicinanza alla famiglia di origine, nei momenti difficili.
Inoltre queste persone, non solo non sono tornate, ma addirittura, a periodo Covid finito, hanno deciso di andare via definitivamente.
La vita dopo il Covid e le risposte della politica
Il Covid ha decisamente risvegliato i cittadini, che hanno dato subito una sterzata alla loro vita, traendo le conseguenze di quello che avevano capito.
Il mondo dell’urbanistica e delle istituzioni come ha risposto?
Su questo Milano si distingue perché se ne è accorta, ma non solo. Il sindaco Beppe Sala ha fatto vari appelli perché i cittadini tornassero e le aziende concedessero meno smart working, perché l’impatto sulla riduzione del Pil urbano generato da questi cittadini si stava facendo sentire.
Ma si può immaginare che questo sia l’approccio vincente?
Imporre alle aziende di non fare smart working obbligando al rientro in sede anche quei lavoratori che evidentemente preferiscono il “lavoro agile” perché più in linea con lo stile di vita che sentono più sano per loro e le rispettive famiglie?
Decisamente le regole impopolari in Italia non hanno mai funzionato, ma anzi, spesso, hanno provocato una contro-risposta dura. Il Salva Milano insegna.
Inoltre c’è un altro dato che dovrebbe farci comprendere come l’approccio puramente “ambientalista” dei metri quadri di verde pro-capite si scontra col dato reale.
Perché si scappa dalle grandi città
Infatti i cittadini di Roma, città più verde d’Italia, vanno via da Roma, in proporzione, esattamente come da Milano, città meno verde d’Italia.
È evidente che le scelte dei cittadini che lasciano le città, non tengono conto del verde, o della sua mancanza, come dato rilevante per la loro qualità della vita.
Perché continuano a scappare da queste due città.
La stampa spesso parla dei costi eccessivi, della fuga prima di tutto di studenti, molti fuorisede, di cui le famiglie di origine non riescono più a sostenere i costi elevatissimi di stanze e alloggi, a fronte di una edilizia di livello infimo e al limite della vivibilità.
Vi sono anche anziani e famiglie giovani che non possono più sostenere affitti e bollette energetiche.
Quest’anno l’Istat ha contato 5 milioni di italiani in stato di povertà. Parliamo di quasi il 10% della popolazione.
La Milano green non guarda a chi non è ricco
Appare chiaro che l’enorme attenzione di Milano alle costruzioni “green” decisamente non ha tenuto conto di chi a Milano ci vive e non è ricco.
Si è seguito l’approccio puramente “ambientalista” del piantare alberi, senza considerare che le città sono composte da cittadini, i tanti non ricchi, che certo non vivono nei quartieri di grido della Milano della Fashion Week e delle molte altre Week (decisamente attrattive soprattutto per turisti americani, europei e giapponesi), e che non percepiscono in nulla i presunti miglioramenti nella loro vita.
Basta guardare i dati sempre preoccupanti del traffico e dell’inquinamento.
Visto da qui, decisamente no, la norma Salva Milano non è la risposta giusta.
Perché non parla di aumento degli investimenti nell’ambito dell’edilizia convenzionata o popolare (al di là del titolo) e tantomeno di accelerare la transizione ecologica (al di là del titolo).
Ma punta a eliminare tutti i vincoli attualmente esistenti per chi costruisce mega interventi di edilizia ad altissimo costo.
Sfatiamo anche un altro mito.
Non è vero che è successo perché abbiamo una norma urbanistica obsoleta.
Anzi, questo è proprio il colpo di coda di quell’urbanistica novecentesca che nessuno ha mai arginato.
L’urbanistica dei costruttori.
Dove guardare, allora?
La risposta è nel sistema ESG di Agenda 2030 per gli indirizzi tecnici, e nell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco e ancora di più nella Laudate Deum per la visione del futuro.
La Laudato si’, non è un testo puramente ecumenico, anzi ha un evidente approccio scientifico che mette insieme non a caso il tema dei cambiamenti climatici, il tema delle migrazioni e della necessità di accogliere chi scappa e della disparità di opportunità fra “mondo ricco” e “mondo povero”, che spesso come in Africa, riceve il maggior numero di impatti in termini di aumento della povertà e migrazioni.
Entrambe esortano a “un approccio ecologico integrale” perché “tutto è connesso” e tutti veniamo esortati alla “cura della casa comune”. E quando diciamo casa parliamo del luogo in cui viviamo.
Entrambi questi approcci evidenziano come “occuparsi di ambiente” è di fatto “occuparsi delle persone”.
Proprio ciò che l’urbanistica novecentesca, al di la dei propositi, ha dimenticato di fare, dando valore solo ai profitti.
Lo certifica l’invivibilità delle nostre città, segnata dalla fuga dei cittadini dalle grandi metropoli nel periodo Covid e dopo.
Superare l’urbanistica del ‘900
L’urbanistica del ‘900 va infatti superata, perché non si è occupata di qualità della vita delle comunità, soprattutto dei più fragili. E se la politica voleva cercare una risposta perché la Grande Milano ripensasse se stessa, il Ddl salva Milano non è la risposta corretta.
La proposta? Partire dal piano presentato con il Climate City Contract e farlo diventare il centro del nuovo PGT che il Comune sta redigendo, ponendo finalmente al centro “la comunità e la sua qualità della vita”, oltre agli investimenti.
E il metro cubo diventi un metro cubo di qualità, veramente green, economicamente sostenibile, inclusivo.
Perché vedete, non si stanno svuotando solo i piccoli borghi in Italia, ma anche le grandi città.
Prima tutti ci facciamo carico di questo problema, e quale città meglio dell’innovativa Milano, prima metteremo al lavoro le menti migliori per trovare insieme la soluzione più appropriata.