Europa e caldaie, gli italiani hanno 100 miliardi da spendere?

scritto da il 20 Dicembre 2024

Post di Roberto Cortese, Associations & Public Affair Manager di Vaillant Group Italia –

In un mondo sempre più consapevole della necessità di affrontare con vigore il cambiamento climatico, l’Unione Europea è impegnata alla ricerca di soluzioni concrete per ridurre le emissioni di gas serra. Con l’elezione del nuovo Parlamento Europeo e la riconferma di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione Europea, gli sforzi verso il cosiddetto “Green Deal” sono stati rinnovati, ma con una nuova accezione: il nuovo piano è stato infatti ribattezzato “Clean Industrial Deal” e rappresenta un nuovo paradigma rispetto al passato, poiché non solo mira alla decarbonizzazione, ma si propone anche di ridare centralità all’industria europea, promuovendo con maggior intensità investimenti in infrastrutture e tecnologie verdi.

L’obiettivo è di poter creare nuovi posti di lavoro e rendere l’industria europea più competitiva a livello globale – in particolar modo per far maggiormente fronte alla concorrenza dei mercati asiatici – riducendo al contempo il costo dell’energia, che rappresenta un ostacolo significativo per molte imprese. Un piano che quindi prevede una notevole mobilitazione di investimenti pubblici e privati con l’intento di sostenere i settori difficili da decarbonizzare e di sviluppare nuovi mercati attraverso normative stabili e prevedibili​.

Si spera che, a differenza di quanto prospettato negli ultimi anni, il Clean Industrial Deal supporti un approccio multi-tecnologico che offrairà uno spiraglio ai player che nascono come produttori di tecnologie a combustione e che oggi prevedono nella propria offerta caldaie, pompe di calore, ma anche sistemi ibridi.

Le sfide della transizione energetica in Italia

In questo contesto, l’Italia si trova ad affrontare alcune specificità territoriali e peculiarità infrastrutturali che rendono la transizione un percorso complesso e denso di ostacoli. Le normative europee, tra cui la Direttiva EPBD e il Regolamento F-Gas, stanno ridisegnando il futuro delle tecnologie per il riscaldamento, ponendo in evidenza la necessità di piani di incentivazione robusti che siano specificamente tarati sulle particolarità del mercato italiano.

Lo riprova ad esempio il fatto che il 51,1% degli edifici italiani attualmente rientra nelle classi energetiche F e G, il che richiede interventi massicci di ristrutturazione per migliorare l’efficienza energetica. La Direttiva EPBD “Case Green” impone, infatti, che gli edifici vengano ristrutturati per ridurre il consumo di energia primaria del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035. Una direttiva che di conseguenza richiede non solo l’adozione di tecnologie innovative come le pompe di calore, ma anche un adeguamento significativo delle infrastrutture esistenti.

caldaie

Si aggiunge poi il Regolamento F-Gas (UE) 2024/573, che vieta l’uso di molti gas refrigeranti fluorurati a partire dal 2027 a favore dell’impiego di refrigeranti naturali. Di conseguenza, pur rappresentando un passo avanti nella riduzione delle emissioni, impone anche sfide tecniche e finanziarie considerevoli per i produttori e gli installatori​.

Nondimeno saranno le sfide economiche che si troveranno ad affrontare i proprietari di immobili in Italia, così come in tutti gli altri Stati Membri, proprio per adeguare le proprie abitazioni ai nuovi standard energetici imposti dalla Commissione Europea.

Stando ai dati del rapporto ISTAT intitolato “Gruppo di lavoro sulle politiche per la casa e l’emergenza abitativa”, nel 2022 18,2 milioni di famiglie (pari al 70,8% del totale) risultavano proprietarie dell’abitazione in cui vivevano.

Qualcuno, già da tempo, sta facendo i conti per capire quanto costerà a queste 18,2 milioni di famiglie, per esempio, l’adeguamento agli standard dettati dalla Direttiva EPBD (aka, Case Green).

Secondo uno studio a cura dell’Osservatorio Energy&Strategy del Politecnico di Milano, per raggiungere l’obiettivo di riduzione della dispersione termica del 16% o efficientamento energetico in Italia, serviranno 100 miliardi di euro da qui al 2030, circa 20 miliardi all’anno per 5 anni.

Obiettivi quindi irraggiungibili senza una seria politica di incentivazione per l’efficientamento del parco edilizio, non solo privato ma anche pubblico.

La necessità di piani di incentivazione robusti

Un elemento cruciale per il successo della transizione verso tecnologie più efficienti e sostenibili in Italia è rappresentato quindi da piani di incentivazione robusti e continuativi. Tuttavia, a oggi, le politiche non sono allineate a queste necessità: se da una parte il Clean Industrial Deal promette infatti investimenti significativi, non prevede dall’altra incentivi sufficientemente mirati ad affrontare le specificità italiane. Ne sono un esempio le recenti modifiche al Bonus Casa e all’Ecobonus contenute nel disegno di legge di bilancio per l’anno 2025, approvato in Consiglio dei ministri lo scorso 15 ottobre e in via di definizione proprio in questi giorni.

Le due detrazioni fiscali, ormai molto note agli italiani, perderanno le proprie specificità sovrapponendosi quasi completamente e nessuna delle due, nella nuova formulazione, prevederà un aiuto concreto e differenziato alle tecnologie green, come Pompe di Calore e sistemi ibridi.

Sarà di fatto possibile richiedere il 50% di detrazione delle spese sostenute nell’anno 2025 ma solo nel caso in cui tali spese siano sostenute dai titolari di diritto di proprietà o di diritto reale di godimento sull’unità immobiliare adibita ad abitazione principale.

Altra nota poco edificante della manovra finanziaria per l’anno 2025 è rappresentata dallo stop a qualsiasi detrazione per le caldaie alimentate da gas naturale o da GPL, se usate come unico generatore di calore.

La novità è contenuta in un emendamento alla Legge di Bilancio inserito in manovra – con il placet dell’esecutivo – il 17 dicembre.

Il governo italiano sembra quasi voler disconoscere il concetto di neutralità tecnologica, voltando le spalle alle caldaie a condensazione che in Italia potrebbero giocare ancora un ruolo importante nella diminuzione dei consumi.

Di quel 51,1% di edifici italiani nelle classi energetiche più basse soltanto una parte è già pronta ad accogliere tecnologie alternative alla caldaia.

La rimozione di meccanismi come la cessione del credito, lo sconto in fattura e la detrazione del 65% che, negli ultimi anni, hanno notevolmente supportato la transizione nel nostro Paese, non aiuteranno imprese italiane e cittadini a superare il primo e più grande ostacolo al passaggio alle pompe di calore, ovvero l’alto costo iniziale di investimento per il rinnovo dell’impianto.

Le associazioni di categoria si schierano

Le associazioni di settore come ANIMA Confindustria, a cui fanno capo Assotermica e Assoclima e di cui Vaillant Group fa parte, svolgono un ruolo di primaria importanza nel dialogo con i regolatori italiani ed europei ed evidenziano costantemente ai tavoli di lavoro istituzionali l’esigenza di ottenere indicazioni più definite e mirate sulle politiche di incentivazione​ e sulle modalità concrete con cui si intende riformulare le detrazioni fiscali. Il futuro del riscaldamento in Italia, l’adozione di tecnologie innovative e più efficienti e, in definitiva, l’opportunità di contribuire significativamente agli obiettivi climatici dell’Unione Europea dipendono da questo.

La collaborazione tra settore pubblico e privato, il supporto delle associazioni di categoria e delle adeguate politiche di incentivazione rappresenteranno dei fattori sempre più cruciali nel sostenere una transizione energetica che sia accessibile e sostenibile dalle famiglie e dalle imprese italiane e in grado di offrire opportunità uniche di crescita economica e il miglioramento della qualità della vita. Come Vaillant Group Italia siamo pronti a raccogliere la sfida e contribuire attivamente a un futuro sostenibile e a un’Europa più attenta all’ambiente.