AI, grande illusione italiana. Dietro la moda, il vuoto di competenze

scritto da il 20 Dicembre 2024

Post di Mariachiara Marsella, SEO Strategist e Digital Temporary Manager –

Si chiama effetto bandwagon (noto come “effetto carrozzone”) quello per cui tendiamo a seguire la massa, a prescindere. Quando qualcosa “va di moda” può esserci il desiderio di conformarsi, magari per il solo timore di restare indietro. Tuttavia il rischio di questo modus operandi è ben palese: si possono prendere decisioni affrettate e poco strategiche.

E se c’è una cosa che ad oggi va sicuramente di moda è l’AI o meglio strumenti come ChatGpt, Gemini e via dicendo. E siccome “tutti li usano” allora anche noi dobbiamo usarli, ignorando magari i presupposti fondamentali del loro corretto utilizzo.

Prima di tutto: capire che cos’è (davvero) l’AI

A tale proposito, ricordiamo solo che l’AI non è (solo) ChatGpt o Gemini ecc. e che l’AI esiste da molto prima di questi strumenti; anche se nell’immaginario colletivo questo concetto non è chiarissimo.

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Il grafico di Google Trends mostra l’andamento delle tendenze di ricerca dei termini indicati e si veda appunto il termine “chatgpt”

I presupposti per il corretto utilizzo di questi “potenti” strumenti sono, almeno:

  • – una cultura digitale diffusa;
  • – visione strategica;
  • – competenze;
  • – risorse economiche adeguate e capacità di allocarle;
  • – capacità nel gestire possibili barriere burocratiche;
  • – capacità organizzativa a livello manageriale.

E non sono “accessori”. Ad esempio, se un’impresa adotta soluzioni AI ma la cultura digitale di tutta l’azienda è limitata a pochi individui, l’investimento (minimo o importante) che sarà stato fatto – nel migliore dei casi – non porterà risultati. Nel migliore dei casi.

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Il grafico sopra mostra le barriere all’adozione dell’AI nelle aziende italiane nel 2019 e mette in evidenza un aspetto centrale: il problema principale non è di tipo tecnologico ma organizzativo e culturale.

La vera sfida non è pagare OpenAI

Quello che più conta è creare processi decisionali guidati dai dati, ripensando, se necessario, anche i flussi di lavoro.

Eppure, nelle previsioni per il 2030, come da grafico sotto, si evince una marcata e costante crescita del mercato dell’Intelligenza Artificiale nel nostro Paese: si passa da circa 1,78 miliardi di euro nel 2020 a quasi 16 miliardi.

Sostanzialmente, pare che nonostante le difficoltà evidenziate in precedenza si abbia un’indiscussa “fiducia” in questa tecnologia.

Quel che vedo è però il rischio di confidare in una capacità quasi intrinseca degli strumenti a prescindere dal loro corretto utilizzo. Serve invece un approccio che preveda azioni mirate e investimenti strategici che consentano di accogliere adeguatamente l’innovazione.

E infatti, soltanto nel 2023, (quindi non dieci anni fa), come mostrato dal grafico sottostante (che riporta l’evoluzione dei gap di competenze IT nelle aziende italiane tra il 2023 e il 2022, suddivise per area) la fotografia è quella di un’Italia che fatica a colmare delle “assenze” importanti: data science, cloud e, appunto, intelligenza artificiale.

Ma non solo: alcune aree registrano perfino un peggioramento.

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AI, la trappola dell’illusione di competenza

La facilità di utilizzo di strumenti come ChatGPT o Gemini induce indubbiamente in inganno. Lo vedo tutti i giorni nelle quotidiane attività di consulenza per la gestione di team di digital marketing, ma lo ascolto anche nei commenti e considerazioni di amici che non si occupano di digital marketing e i cui figli usano ChatGPT per “fare” ricerche.

In realtà, creare prompt che non generino allucinazioni richiede tempo; certo, poi una volta addestrato il sistema (che non è intelligente ma elabora), trovata la “formula” adatta (e perfezionata, se serve, anche in itinere) e supervisionato il risultato (cosa che a seconda di ciò che si chiede può fare chi quell’argomento lo conosce già) allora posso sveltire enormemente il mio lavoro.

Per spiegare in modo forse più esaustivo il concetto, pensiamo a una miniera d’oro (perché di questo si tratta potenzialmente). Siamo praticamente seduti sopra una miniera d’oro ma non abbiamo né strumenti né competenze adeguate per estrarlo. Ci proviamo lo stesso ma il rischio di danneggiare pesantemente il giacimento è altissimo e quindi è alto il rischio di compromettere qualsiasi possibilità di accedervi in futuro.

Se la comunicazione in azienda non funziona

Mi verrebbe da chiedere: quante volte, anche nelle grandi aziende, avete incontrato difficoltà nel recuperare dati sparsi tra diverse piattaforme, ripulirli da errori o incongruenze perché originariamente settati male, o scoprire persino di possedere dati utili solo perché mancava comunicazione tra reparti? E allora, possiamo davvero pensare di puntare – su due piedi – all’AI quando facciamo ancora fatica a gestire e rendere accessibili le informazioni più basilari?

La sfida, insomma, come dimostrato anche dai dati non è solo tecnologica, richiede competenze, risorse, flussi di lavoro integrati, tutti elementi indispensabili per affrontare un mercato sempre più competitivo.

Per chi desidera approfondire questi temi ci sarà a breve un’occasione di confronto. Un evento pensato per le imprese, per fornire risposte e soluzioni sull’onda, sempre, della consapevolezza.