Il caso Linglong-Volkswagen e il destino dell’industria europea

scritto da il 19 Dicembre 2024

Post di Andrea Taschini, manager e advisor –

Non si va in Cina a produrre per puro piacere, si va principalmente per due motivi: il primo perché si punta al più grande mercato interno del mondo, il secondo perché i fattori sistemici in Cina sono altamente competitivi.

Tra i fattori sistemici competitivi cinesi ci sono i costi energetici, leggi molto permissive in termini ambientali e ovviamente una legislazione dei diritti dei lavoratori notoriamente poco rispettose sia in termini di orari di lavoro che di tutela della persona.

Non sorprende quindi la vicenda che coinvolge Linglong, scelto molto imprudentemente da Volkswagen come partner strategico nella fornitura di pneumatici.

La fornitura di pneumatici cinesi era sempre stata evitata dalle case auto europee per motivi di sicurezza ma credo, soprattutto per motivi di immagine.

Probabilmente non c’è più da dubitare dei livelli qualitativi dei manufatti delle aziende di Pechino ma oggi sorgono prepotentemente due questioni fondamentali.

È corretto far competere le industrie europee che danno lavoro a migliaia di persone con le industrie di un paese illiberale e autoritario dove i diritti umani non sono appieno rispettati?

È giusto che le nostre imprese competano con chi non avendo equità di regole gioca necessariamente una partita diversa?

Le scelte di Volkswagen

Linglong mira a diventare uno dei maggiori produttori di pneumatici al mondo entro cinque anni. Tuttavia, la sua espansione in Europa è stata accompagnata da controversie. La fabbrica a Zrenjanin, Serbia, finanziata con 80 milioni di euro da sovvenzioni pubbliche, è stata al centro di accuse di violazioni dei diritti umani.

Alcuni rapporti, descritti dal tedesco Manager Magazin, hanno evidenziato condizioni di lavoro critiche per operai indiani e vietnamiti: passaporti sequestrati, salari trattenuti, contratti irregolari e alloggi inadeguati. Questi episodi hanno attirato l’attenzione del Parlamento Europeo, che ha espresso preoccupazione sulle ipotesi di tratta di esseri umani e lavoro forzato.

Volkswagen, principale partner commerciale di Linglong in Europa, ha dichiarato di monitorare la situazione attraverso il proprio sistema di sostenibilità, ma il rapporto con Linglong resta attivo, dato che l’azienda cinese punta a fornire dalla Serbia tutti i pneumatici per l’Europa, alimentando domande sulla coerenza tra principi dichiarati e pratiche operative. L’impianto serboè attualmente in fase di espansione e ha  una capacità annua di 14 milioni di pneumatici; ha fornito altri due grandi gruppi occidentali.

Volkswagen

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I tedeschi sappiamo bene, non sono mai andati per il sottile quando negli ultimi 20 anni hanno investito centinaia di miliardi in Cina, diventando i più importanti partner commerciali del gigante asiatico.Tuttavia l’evoluzione dello scacchiere geopolitico internazionale e il rapido quanto preoccupante declino industriale europeo impongono domande serie a cui bisogna dare risposte certe e coerenti.

Dobbiamo prepararci a un nuovo colonialismo?

Provocare il licenziamento di migliaia di operai o addirittura lo scardinamento del tessuto industriale dell’Unione europea per puri fini di lucro senza preoccuparsi delle condizioni di lavoro altrui è un’opzione ipocrita che richiama parecchio il più duro colonialismo in stile ottocentesco, in netta antitesi con i codici etici e i proclami che le aziende sbandierano fiere nei loro bilanci di sostenibilità.

È venuto il momento di porsi delle domande vere le cui risposte non devono più dare adito a dubbi non solo per un dovuto rispetto dei nostri concittadini in procinto di perdere il lavoro ma per dare credibilità alla politica europea e alle sue leggi.

Gli imprenditori oramai si chiedono sempre più spesso se i legislatori di Bruxelles difendano i nostri  interessi o piuttosto perseguano obiettivi vaghi o ancor peggio quelli di lobby la cui trasparenza e finalità non risultano affatto chiare. Tra l’altro il presidente della Commissione europea, Von der Leyen, ha confermato che il dialogo strategico sull’auto inizierà, con una certa calma, da gennaio e che servirà “se necessario ad adattare il quadro regolamentare”. Nulla di più vago, a parte le indiscrezioni o le illazioni che circolano da settimane sull’ipotesi di sanzioni meno severe.

Le responsabilità dell’establishment Ue

L’impressione generale è che l’establishment Ue stia legiferando almeno da un decennio progressivamente contro l’interesse generale delle imprese e dei cittadini fino a toccare apici surreali. E a mio parere il Green Deal è uno di questi.

Non è un caso se in 20 anni il Pil comunitario è cresciuto della metà di quello degli Stati Uniti e la bilancia commerciale è enormemente cresciuta a favore della Cina. L’economia di Pechino ha spazzato via interi settori anche ad alto valore aggiunto e ora si sta apprestando a radere al suolo anche l’Automotive, con la complicità del legislatore europeo (a meno di ripensamenti dell’ultim’ora, per quanto riguarda la spada di Damocle dei nuovi limiti di emissione della CO2, che procurerebbero sanzioni per 15-17 miliardi di euro nel corso del 2025).

Se l’Unione europea vuole sopravvivere, deve dare risposte coerenti ed univoche a tutte le questioni poste sul tavolo e lo deve fare con estrema urgenza perché l’impianto industriale continentale sta dando segnali forti di cedimento.

Come ben sappiamo non c’è pericolo più grande per le istituzioni democratiche che far sprofondare i propri popoli in una crisi economica dove manchi il lavoro o gli stipendi siano ridotti alla sussistenza.

Se non c’è in assoluto un bisogno per gli europei è proprio di una lezione di storia: abbiamo già sperimentato certi percorsi e non sentiamo la necessità di repliche.