Smart-working addio? Come ridisegnare il welfare aziendale

scritto da il 20 Novembre 2024

Post di Alessandro Raguseo, CEO di Reverse – 

Nel contesto lavorativo moderno quasi tutti i lavoratori, senza distinzione di ruolo, luogo di residenza o età anagrafica, cercano aziende che li mettano in condizione di bilanciare al meglio lavoro e vita privata. Si tratta di un fenomeno trasversale che interessa qualsiasi settore che ha condotto inevitabilmente le aziende a ripensare ai propri asset di welfare o a creare dei piani ex novo, con il duplice scopo di mantenere i talenti in azienda e di attirarne dei nuovi. Avere chiare le esigenze e le necessità dei dipendenti è un compito sempre più fondamentale per un’azienda che, oggi, deve saper ascoltare e cogliere le esigenze garantendo un ambiente di lavoro sereno, accogliente e inclusivo.

Negli ultimi mesi tuttavia si sta riscontrando una nuova tendenza: i big player internazionali, come ad esempio Amazon e Google, stanno richiamando in ufficio i propri dipendenti, creando così un divario tra la domanda, sempre più orientata al raggiungimento di un work-life balance soddisfacente, e l’offerta. A supporto di questo disallineamento basta leggere i dati della recente indagine “Tableau de bord, la condizione dell’occupazione e del lavoro in Italia”, realizzata dall’Istituto Piepoli; quattro lavoratori su dieci lamentano un peggioramento della qualità del lavoro, nonostante il 67% tra gli uomini e il 59% tra le donne sia consapevole che il tasso di occupazione in Italia è aumentato nell’ultimo anno.

L’offerta di lavoro cresce (lievemente), ma il lavoro non rende felici

A un lieve aumento dell’offerta non è corrisposto dunque un miglioramento delle condizioni lavorative. Al contrario la ricerca rivela come i dipendenti non siano felici sul loro posto di lavoro. Tale percezione deriva forse dalla tipologia di benefit che vengono adottati dall’azienda, tra i più comuni settimana corta e smart working. Benefici che tuttavia non possono essere applicati a una grande maggioranza dei lavoratori e creano così una distanza dettata dalla natura stessa di molte professioni.

Operai o addetti alle vendite nel retail, ad esempio, non possono aspirare a lavorare da casa, e anche le aziende non potranno mai fermare la produzione per tre giorni consecutivi con ovvia diminuzione della produttività. Per questo motivo la narrazione mediatica che esalta determinati tipi di benefit non tiene conto di alcuni fattori essenziali, quali le diverse dimensioni delle imprese, della tipologia delle professioni e della sostenibilità del business aziendale. Questo rischia di creare un malcontento al quale, obiettivamente, è complicato dare una risposta, andando a creare un inevitabile gap tra aspettative e realtà.

Prima del Covid le aziende si basavano molto spesso su modelli tradizionali, che vedevano i lavoratori accettare le condizioni dettate dall’impresa e dalla concezione stessa che si aveva del lavoro, immutabile e poco digitale. Era così, non esistevano alternative. Nel post Covid la tendenza si è invertita e i lavoratori sono arrivati ad avere aspettative sulle condizioni lavorative spesso non in linea con la sostenibilità economica dell’impresa o non in linea con un principio di equità tra dipendenti; difficile sostenere la differenza tra tutte le figure impiegatizie in smart working e quelle di produzione sempre sulle linee.

Trovare un nuovo equilibrio

Se da una parte è corretto il cambio di paradigma e che i dipendenti abbiano delle nuove esigenze e un ruolo di contrattazione attivo, è altrettanto vero che dovremmo tutti comprendere che è imprescindibile trovare un equilibrio all’interno delle imprese. Senza creare eccessive disuguaglianze, salvaguardando sempre e comunque la redditività dell’azienda visto che ciò garantisce, in ultima istanza, la sopravvivenza della stessa.

welfare

Il welfare è in continua evoluzione. Occorre ascoltare i bisogni individuali, tenendo conto anche del fattore generazionale (Designed by Freepik)

In mezzo a tutto ciò, a mediare tra le diverse esigenze, troviamo ovviamente la funzione delle Risorse umane, impegnata a conciliare la voglia di introdurre modalità di lavoro alternative e la necessità di non generare soggetti di serie A o di serie B, mantenendo un clima di collaborazione e inclusività. Se infatti il welfare parte sempre dall’ascolto dei propri dipendenti, si devono calibrare le esigenze in relazione ad un panorama di fattori più ampio.

Un welfare personalizzato

Da qui scaturisce la possibilità di abbracciare un welfare aziendale personalizzato, che possa soddisfare in maniera flessibile i bisogni individuali dei lavoratori, tenendo conto anche del fattore generazionale. Un’altra soluzione potrebbe essere quella di creare sinergie tra aziende e settore pubblico per dare vita a un sistema che possa integrarsi con le politiche del territorio, spesso tradotto in una serie di attività assistenziali che si allargano non solo al lavoratore, ma anche alla sua famiglia.

Il welfare è in continua evoluzione, ed è fondamentale analizzare i cambiamenti che si verificano a livello socio-economico, anche sul territorio. I trend sono affascinanti ed è bello abbracciarli quando si rivelano essere funzionali, ma occorre anche sempre declinarli nella propria realtà e provare a sviluppare forme di agevolazioni che siano compatibili e utili all’azienda, meglio ancora se in sinergia e con un impatto sulla comunità.