Buoni pasto: il rischio di minare un pilastro del welfare aziendale

scritto da il 15 Novembre 2024

Post di Matilde Marandola, Presidente AIDP

In queste settimane non è passata inosservata agli occhi dei direttori delle risorse umane la notizia di una possibile rimodulazione della commissione che le società emettitrici dei buoni pasto fanno pagare alla rete convenzionata (grande distribuzione, bar, piccoli esercizi commerciali). Nell’ambito del Disegno di Legge Concorrenza, è stato infatti presentato un emendamento che introdurrebbe un tetto del 5% a tali commissioni, aprendo un dibattito su opportunità e potenziali effetti di un provvedimento che interviene su uno strumento di welfare preziosissimo. Come dimostra una ricerca realizzata recentemente da ALTIS Graduate School of Sustainable Management dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, condotta su circa 16mila dipendenti di aziende italiane, il 72% degli intervistati è concorde infatti nell’affermare che il buono pasto è in assoluto il benefit aziendale preferito dai lavoratori. Per questo motivo, ogni iniziativa che intenda modificarne il funzionamento, andrebbe soppesata attentamente. Ed è il caso di questo emendamento.

Il sistema dei buoni pasto e il ruolo delle commissioni

Le “commissioni” sono una componente fondamentale degli equilibri su cui si regge il sistema dei buoni pasto. Che, lo ricordiamo, sono un benefit riconosciuto dall’azienda al lavoratore, sotto forma di buoni acquisto utilizzabili per consumare il pranzo durante la pausa al bar o al ristorante, o per la spesa alimentare al supermercato. Le aziende comprano il buono pasto, come investimento di welfare per i propri dipendenti, da società emettitrici che applicano uno sconto sul prezzo d’acquisto; d’altra parte, le società emettitrici, al momento del rimborso del buono all’esercente che lo ha incassato, applicano una commissione, ovvero una trattenuta dal valore nominale del buono, in una percentuale variabile che mediamente, secondo dati Fipe, si attesta attorno all’11%.

buoni pasto

(Ansa)

Le conseguenze dell’emendamento: un taglio al valore dei buoni pasto

Se ora, per effetto dell’emendamento proposto tale commissione fosse livellata per tutto il mercato a una quota massima del 5%, la prima conseguenza diretta sarebbe una forte riduzione dello sconto accordato alle aziende dalle società emettitrici. Nei fatti, dunque, renderà per queste più oneroso l’investimento sul buono pasto. Le aziende vedranno un aumento dei costi del benefit e, a seconda della loro situazione contrattuale, dimensionale ed economica, reagiranno o mantenendo il benefit ma con un aumento dei costi e quindi con una futura minor disponibilità ad aumentarne il valore; oppure, in situazioni dove questo benefit non fosse contrattualizzato, a ridurne il valore per non subire un incremento dei costi non sostenibile.

I buoni pasto come leva di engagement e retention. Che succederà?

A pagare il conto di tutto questo, in prima battuta, sarebbero dunque i lavoratori. Una minore disponibilità delle aziende a investire in buoni pasto significherebbe ridurre il potere d’acquisto delle persone, in una fase per altro già fortemente penalizzata dal caro vita. In secondo luogo, a essere danneggiate sarebbero le aziende. In un mercato del lavoro in cui, per ottenere l’engagement delle persone, è cruciale offrire ai lavoratori un novero sempre più performante e ampio di benefit, che porti benessere e potere d’acquisto, il buono pasto costituisce una delle più diffuse leve sia di engagement, sia di retention. Sappiamo che oggi, soprattutto nelle nuove generazioni, è crescente l’attenzione verso tutto ciò che esula dal semplice aspetto salariale e arricchisce l’offerta complessiva: più quest’ultima è ampia, più il posto di lavoro diventa attrattivo per le giovani generazioni.

Il mondo del welfare si è enormemente evoluto, passando in pochi anni da essere una prerogativa di pochi innovatori sociali, a un requisito sempre più diffuso e richiesto da aziende e lavoratori. Il buono pasto, che si è ugualmente evoluto soprattutto grazie alla digitalizzazione, ne costituisce un elemento molto importante. Per milioni di persone, è una certezza della quotidianità lavorativa. Per migliaia di imprese, è un fattore di competitività.