categoria: Vicolo corto
Una terza via nel passaggio generazionale
Post di Angelo Lazzari, Presidente e Fondatore della Fondazione Anna e Marco –
Il passaggio generazionale è sempre un momento delicato nella storia delle imprese, soprattutto per le PMI medio-piccole, dove manca spesso la governance, o meglio essa coincide con quella dell’imprenditore.
Da una recente analisi dell’ISTAT emerge che il 50% delle 24.000 imprese con un fatturato dai 10 ai 50 milioni, in Italia, sono controllate da una persona fisica, il fondatore.
Ogni anno, venendo a mancare il fondatore, il 2% di queste aziende deve affrontare il passaggio generazionale, per non dire la messa in discussione della continuità aziendale stessa. Ciò significa anche che il meglio dell’economia italiana, la colonna portante di tutto il nostro sistema economico, se non ben gestito può mettere in crisi intere filiere di settore.
I fondatori si possono sostituire ma non si possono replicare e la nuova figura scelta, sia all’interno della famiglia o attraverso manager esterni, secondo i dati nel 56% dei casi si è dimostrata inadeguata alla gestione dell’impresa, dopo 2 anni, in 1 caso su 3 c’è stato un calo di fatturato e nel 9% dei casi si è arrivati addirittura alla chiusura dell’attività.
C’è poi la questione degli eredi, alcuni imprenditori non li hanno e in altri casi in cui ci sono non hanno alcun interesse verso l’attività imprenditoriale. Tra le difficoltà nell’affrontare il processo di transizione generazionale, segnalate soprattutto dalle microimprese, emerge infatti l’assenza di eredi (indicata dal 16,9% delle imprese che hanno dichiarato di avere un controllo di tipo familiare), e problemi nel trasferire competenze (14%).
In questo scenario è possibile considerare un passaggio generazionale fuori dagli schemi attraverso l’opportunità di cedere la propria azienda, totalmente o parzialmente, a un ente del terzo settore rendendola una “impresa sociale”. In questo modo l’impresa continuerà a vivere e produrre ma con uno scopo sociale deciso dallo stesso fondatore, e beneficiando degli utili che saranno destinati per gli scopi umanitari indicati.
Un esempio internazionale è quello di Bosch, che ristrutturò la sua società rendendola una fondazione senza scopo di lucro. Scrisse anche le sue ultime volontà e un testamento in cui stabilì che i ricavi delle attività della società da lui fondata dovessero essere devoluti a cause umanitarie.
Allo stesso tempo tracciò le linee guida per la gestione delle attività della compagnia, che furono formulate dai suoi successori nel 1964 e che rimangono valide ancora oggi. Un esempio virtuoso nel contesto italiano, quello della Fondazione Anna e Marco che controlla la fintech Gruppo Find, primo e unico caso in Italia, che evidenzia le potenzialità, ancora spesso sottovalutate dagli imprenditori, offerte dalla creazione di una Fondazione come concreto passaggio generazionale e di business, per il buon futuro d’impresa oltre il puro intento benefico: la “terza via”.
In sintesi si tratta di pensare a “un’altra” successione, in cui non sia un’azienda profit che istituisce una fondazione no-profit, ma in cui è la no-profit a divenire proprietaria: la terza via del passaggio generazionale attraverso il terzo settore, come scelta di continuità e creazione di altro valore.