Aziende e (scarsa) comunicazione: un’altra occasione mancata?

scritto da il 22 Ottobre 2024

Post di Matteo Gavioli, co-owner & head of media relations di Espresso Communication

Se è vero, come recita il proverbio, che spesso “chi ha il pane non ha i denti”, è altrettanto frequente accorgersi che in Italia chi ha una storia da raccontare, che sia un’azienda o un personaggio, un ente o un’istituzione, non si affida a esperti di PR per raccontarla nel modo corretto. Sono tantissime infatti le realtà che letteralmente dormono sopra un vero e proprio tesoro di contenuti, ignorandone completamente il valore che potrebbero generare in termini d’autorevolezza, posizionamento e reputazione. Dallo storico artigiano sotto casa che esporta in tutto il mondo ma solo lui ne è a conoscenza, alla startup innovativa conosciuta solo dai parenti, fino alle PMI che trainano il made in Italy la cui storia è gelosamente celata negli archivi e alle associazioni che fanno un lavoro importantissimo non in grado però da sole di raggiungere il proprio target.

Pubbliche relazioni e comunicazione: in Italia -25% dal 2012

Basta consultare i dati nostrani, impietosi, sul giro d’affari del settore, soprattutto confrontandoli con il panorama europeo. Secondo un recente report firmato da Mordor Intelligence infatti il mercato delle pubbliche relazioni nel Vecchio Continente vedrà un’importante crescita nei prossimi 5 anni, passando dai 14,53 miliardi di dollari del 2024 ai 19,67 del 2029, con un’impennata dei ricavi di oltre il 35%. E in Italia? Secondo quanto evidenziato in un focus sul settore da Statista, dal 2012 a oggi il fatturato del settore ha subìto un calo vertiginoso, passando da 1,3 miliardi di dollari al misero 1,04 nel 2024: vale a dire una perdita del 25% in soli 12 anni. E non è finita qui: nel 2025 l’istituto di ricerca prevede un ulteriore lieve calo di circa 4 milioni di dollari. Un trend negativo che pare non arrestarsi.

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La mancanza d’investimenti nel settore delle PR e della comunicazione è un problema che quindi non può più essere ignorato. Dalle grandi agenzie alle piccole realtà, sono sempre di più gli addetti ai lavori che faticano a far capire quanto sia importante affidarsi a un team d’esperti per tutelare la propria immagine sui media, tradizionali e digitali. E le conseguenze sono note a tutti, essendo spesso diventate protagoniste del dibattito pubblico.

L’importanza di un buona reputazione

Campagne ministeriali fantozziane, influencer improvvisati di ogni genere, discount di servizi psicologici e alimenti glitterati per coprire secondi fini: quanti prodotti, servizi o enti sono entrati nell’occhio del ciclone mediatico e nel “tritacarne” dei social per non aver governato la comunicazione o gestito la crisi attraverso enti preposti? I fatti di cronaca l’hanno reso infatti evidente: sono sempre meno le realtà nel Bel Paese che si relazionano costantemente con la stampa di settore e generalista in grado di portare avanti efficacemente un’azione di crisis management per “contenere i danni”.

Un peccato che non solo porta a figure barbine difficili da dimenticare, ma che può costare carissimo anche in termini d’investimenti: secondo uno studio della USC Annenberg School for Communication and Journalism infatti per il 93% degli investitori una buona reputazione è fondamentale per la scelta dei partner. Un aspetto fondamentale anche per dipendenti (74%) e consumatori (62%).

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Ma non è finita qui: secondo il report 2024 dell’International Public Relations Network ben l’83% dei comunicatori utilizza l’Intelligenza Artificiale: una potente e utile innovazione che, se usata in maniera errata o superficiale, può contribuire alla diffusione di fake news o alla creazione di contenuti approssimativi.

Agenzie di comunicazione e Academy per le nuove generazioni

Nonostante possa sembrare un aspetto secondario per l’economia del Paese, che parte dalla bottega di quartiere e arriva alla multinazionale ambasciatrice del Made in Italy, questa diffusa mancanza di consapevolezza in merito al ruolo cruciale delle PR e della comunicazione rappresenta quindi un concreto pericolo per la crescita futura di piccole e grandi realtà.

Investitori stranieri, istituzioni internazionali e fondi d’investimento sono alla porta e potrebbero scegliere di utilizzare le proprie risorse in un altro paese a causa delle sempre più comuni crisi reputazionali dei brand tricolori. In un futuro davvero prossimo sarà quindi necessario invertire la rotta per non rischiare di diventare target di “serie b” per chi vuole investire nel nostro Paese. Per fare questo però devono scendere in primis in campo le agenzie di comunicazione di ogni dimensione e tutti gli attori principali del comparto delle pubbliche relazioni.

Non solo promuovendo i propri servizi in maniera più integrata, comprensibile e sostenibile per tutti coloro che vorranno accedervi, ma soprattutto tornando a svolgere il compito di “academy” per le nuove generazioni di esperti di PR. Che non possono essere limitati a infinite sessioni di recall e rassegna stampa, ma devono scendere direttamente in campo guidati dalle competenze di chi lascia il segno ogni giorno sui media e coadiuvati dalle nuove tecnologie. Saranno loro infatti a salvare la reputazione del brand Italia.