categoria: Vicolo corto
Le università telematiche sotto esame e la formazione del futuro
Post di Guido Saracco, Chief Advisory on Education di Epicode Institute of Technology –
L’istruzione è un diritto sancito dall’Articolo 34 della Costituzione ed è imprescindibile tutelarlo.
In questo senso, stiamo assistendo a uno scrutinio più severo da parte delle autorità competenti nei confronti delle università telematiche e delle istituzioni private che si propongono come organi di formazione terziaria. Credo che questo sia dovuto, specialmente se e quando si vanno ad indagare realtà di fatto dipendenti dalla legge del mercato, per fugare ogni potenziale dubbio intorno alle loro pratiche.
È importante che un privato cittadino possa sentirsi libero di scegliere il percorso di studi che risponde alle sue personali esigenze e che, nel farlo, sia certo di non incappare in truffe. D’altro canto, è rilevante assicurarsi che non si possano imboccare scorciatoie prive dell’adeguato spessore formativo, stante l’equivalenza del valore del titolo di laurea indipendentemente dalla università erogante. Si tratta sempre di trovare un equilibrio, nella consapevolezza che qualcosa, comunque, va fatto.
Guardiamo alla statistica: secondo i dati Eurostat più recenti, la quota di 25-34enni italiani in possesso di un titolo di studio terziario nel 2021 era pari al 28,3 per cento (Nord: 30 per cento; Centro: 29,9 per cento; Sud: 21,6 per cento), a fronte di una media europea del 41,2 per cento. I numeri non ci sorridono: dobbiamo urgentemente laureare più studenti, ma farlo in maniera obiettiva e oculata.
Migliorare l’efficacia dei percorsi formativi
Ciò significa, a mio parere, migliorare anche l’efficacia dei percorsi formativi per ridurre i tempi medi di conseguimento della laurea e rendere più adatti i laureati a un mondo del lavoro che si fa sempre più complesso.
Un esempio: gli ingegneri magistrali si laureano in media dopo circa sette anni (due in più rispetto ai cinque previsti dal 3+2) e necessitano poi di ulteriore tempo nel mondo del lavoro per esprimere il loro enorme potenziale. Questo perché le solide conoscenze scientifiche e progettuali tipiche degli ingegneri li rendono sì apprezzati, specialmente dalle multinazionali, ma queste ultime in generale devono ancora sottoporli a un periodo di addestramento intenso che dura fino a un paio di anni prima di inserirli compiutamente nei ruoli di responsabilità che gli competono.
Io non credo che il nostro Paese si possa ancora permettere tutto questo ritardo, ma per risolvere il problema si dovrebbe cambiare in parte il modello della progettazione didattica nazionale: non ribaltando completamente il rapporto tra case studies pratici e fondamenti teorici, come avviene per esempio negli Stati Uniti, ma trovando un nuovo, giusto equilibro.
Ben venga dunque, fatta salva la doverosa qualità, la comparsa di più attori nel panorama formativo terziario italiano, incluse le università telematiche riconosciute dal MUR, o attori come l’Epicode Institute of Technology, in grado di proporre un modello alternativo a quello tradizionale.
Università telematiche, possono diminuire i tassi di abbandono?
L’iniziativa di terzi può infatti essere in grado di gettare uno sguardo nuovo e di integrare più efficacemente le opportunità offerte oggi dalla tecnologia. Epicode Institute of Technology si è voluto distinguere offrendo un corso di laurea triennale da remoto con un forte orientamento alla professionalizzazione nel settore dell’intelligenza artificiale. Ciò si traduce nel coinvolgimento di esperti internazionali, in un programma in gran parte gestito da docenti provenienti direttamente dall’industria, e in un approccio pratico. Il format del corso può inoltre consentire di adattare le tempistiche alla propria agenda e modulare l’esperienza grazie a un supporto più personalizzato, sia dal vivo che virtuale, tramite l’intelligenza artificiale.
Questo sistema potrebbe essere la soluzione per diminuire i tassi di abbandono al primo anno delle lauree di ingegneria, non perché sia più semplice, ma poiché permette agli iscritti di studiare e lavorare contemporaneamente. Ancora una volta, laureando anche studenti lavoratori in grande quantità, l’EIT svolgerà un ruolo complementare alle università nazionali con didattica in presenza.
Un modello che potrebbe ispirare il dibattito nazionale
Da professore universitario ed ex Rettore, vedo in questa realtà un modello che potrebbe ispirare il dibattito nazionale per trasferirne eventualmente alcuni aspetti positivi nei nostri ordinamenti nazionali, utili ad esempio a stabilire un migliore collegamento tra le Università italiane e il mondo del lavoro.
Questo è uno degli aspetti che più mi hanno motivato ad accettare questa nuova sfida: provare a sperimentare un nuovo e diverso modello formativo, con una maggior partecipazione dell’industria, per ridurre i tempi di inserimento nel mondo del lavoro e consolidare il profilo operativo dei laureati.