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Manovra 2025 oltre lo storytelling: leggiamola fra le righe
Post di Francesco M. Renne, commercialista e revisore, faculty member CUOA Business School, formatore in materie finanziarie e fiscali –
A volte sembra di essere su scherzi a parte.
Prima si butta là un “ci saranno sacrifici per tutti”, in concomitanza dell’uscita del Piano Strutturale di Bilancio (PSB) per i prossimi sette anni, inviato all’Unione Europea, nel quale manca la parte “programmatica” (cioè quella con le azioni che il Governo intenderà promuovere per il prossimo futuro), ma nella parte “tendenziale” (cioè quella “a legislazione vigente”) la pressione tributaria per il 2025 aumenta; subito dopo è un fiorire di “non ci saranno nuove tasse”, “le tasse le stiamo abbassando”, organico preludio all’approvazione in Consiglio dei Ministri della Legge di bilancio (Ddl) e dei decreti correttivi collegati, con annessa conferenza stampa, in cui effettivamente parrebbe che il refrain sia “credevate che vi aumentavamo le tasse, ma noi non lo facciamo”.
Infine, arrivano i numeri del Documento Programmatico di Bilancio (DPB), che raccoglie gli effetti attesi delle norme inserite nella Legge di Bilancio e… la pressione tributaria nel 2025 rimane invariata (i.e. né in aumento e né in diminuzione), ma con qualche escamotage che nasconde sapientemente qualche amara sorpresa.
Nel mentre, la ridda di ipotesi circolate (aumento delle accise diesel, contributo di solidarietà generalizzato, trasformazione in senso progressivo dell’IRES, taglio delle pensioni, revisione del catasto) sembra svanire tutto d’un tratto, sostituita dall’apparente normalità di una Legge di Bilancio da 30 miliardi, di cui 9 a deficit. Numeri, comunque, si affretta a dire il nostro ministro dell’Economia, responsabili, prudenti e in linea con gli accordi presi con la Commissione UE.
Tutto è bene (per le tasche degli italiani) quel che finisce bene?
In effetti, per poterne essere sicuri leggendo il testo definitivo della Legge di Bilancio e delle altre misure correttive, occorrerà attendere almeno fino a lunedì prossimo, quando inizierà il percorso alla Camera dei deputati. Legge approvata, dunque, ma testo ancora in corso di stesura definitiva (a proposito, dati i precedenti, una volta o l’altra occorrerà aggiornare il vocabolario della lingua italiana: al lemma “approvare in Consiglio dei Ministri” andrebbe assegnato un significato ad hoc!). E non basterà, poiché nel corso dei prossimi mesi e fino a fine dicembre, il percorso parlamentare ci ha abituato a correzioni e sorprese anche eclatanti.
Nel frattempo, uno sguardo ai numeri (scarni) resi ieri disponibili, permette di andare oltre gli storytelling di parte e provare a capire meglio cosa abbiamo davanti.
Qualche riflessione utile, leggendo tra le righe: le pensioni
I numeri della manovra, nel suo complesso, parlano di 30 miliardi per il 2025, di cui 21 coperti da minori spese o maggiori entrate e 9 a deficit. Per inciso, vengono previsti manovre per i prossimi due anni pari a 35 miliardi nel 2026 e a 40 miliardi nel 2027.
Discostandoci un po’ dalla narrazione uscita in queste ore, che sostanzialmente replica la conferenza stampa del Governo, qui si ritiene utile cercare di “leggere tra le righe” e sollevare qualche riflessione utile a (cercare di) comprendere meglio come stanno le cose.
Sul tema pensioni, che è stato tra i più dibattuti, ci sono quattro sottolineature da fare. La prima è che, nonostante le corrosive campagne elettorali passate, nemmeno quest’anno (e per fortuna, in ottica di bilancio pubblico) si abroga la Legge Fornero. La seconda è che le pensioni minime vengono rivalutate del 2,7% (circa 15 euro) e che l’aggiornamento per gli aumenti del costo della vita ufficiale saranno del 100% fino a pensioni paria a quattro volte la minima, del 90% per quelle tra 4 e 5 volte e del 75% per quelle superiori.
Quota 103, ecco che cosa succede
La terza è che vengono confermate “quota 103”, “opzione donna” e “APE sociale”, dal che ne discende che il momento per andare in pensione scatta (i) a 61 anni di età / 35 anni di contribuzione, per le donne (un anno prima per ciascun figlio, con un massimo di due anni di anticipazione), (ii) 62 anni di età / 41 anni di contribuzione per le situazioni base (con però una penalizzazione in uscita anticipata, data dal ricalcolo contributivo e un tetto pari a cinque volte al minima), (iii) 63 anni e sei mesi / 30 anni di contribuzione, per disoccupati ex Naspi o invalidità civile superiore al 74%, (iv) 63 anni e sei mesi / 36 anni di contribuzione, per i lavori usuranti e (v) 63 anni e sei mesi / 32 anni di contribuzione, pei i lavoratori del settore edile.
La quarta, di segno opposto all’anticipazione dell’uscita dal mondo del lavoro, è l’ampliamento del cd. “bonus Maroni”, cioè la possibilità di ritardare l’uscita dal mondo del lavoro pur avendone i requisiti (oggi vale circa il 9% della busta paga), secondo modalità ancora non note. Quale siano le intenzioni future dal Governo è qui di difficile intuizione, essendo norme che favoriscono contemporaneamente sia l’anticipo dei pensionamenti che il loro rinvio restando nel monte-occupati.
Le novità sul cuneo fiscale
Anche sul tema – spinoso – della riduzione del cuneo fiscale vi sono delle novità. Da un lato, viene confermato il provvedimento di riduzione del cuneo (era transitorio) e, invero, anche leggermente ampliata la platea di riferimento; dall’altro, viene modificato nella sua struttura, con effetti da valutare. Prima era il 7% di agevolazione fino a 25mila euro di reddito e il 6% fino a 35mila, per intero riducendo la componente contributiva. Ora diventerà sdoppiato nella sua struttura, cioè (i) invariato (7% contributivo) fino a 20mila euro di reddito e convertito in “detrazione da lavoro dipendente” (quindi fiscale) fino a 35mila, con un decalage di detta detrazione fino a 40mila euro di reddito per evitare uno “scalone” al variare di pochi euro di reddito sopra la soglia prevista. Cambia quindi l’effetto nel bilancio dello Stato: più contribuzione e meno tassazione, su tale provvedimento.
Viene poi confermata l’altra norma transitoria introdotta per il 2024, quella dell’accorpamento delle aliquote Irpef, che sono diventate solo 3 (23% fino a 28mila euro di reddito, 35% da 28mila a 50mila, 43% oltre i 50mila; a cui vanno aggiunte le addizionali comunali/regionali).
Per rendere l’idea delle dimensioni di questi due soli provvedimenti (cuneo e aliquote), stiamo parlando di circa 13 miliardi annui.
Aliquota secondo scaglione Irpef e concordato preventivo biennale
In tema Irpef, manca l’attesa riduzione dell’aliquota del secondo scaglione, da 35 a 33%; tale provvedimento è condizionato al buon esito (i.e. quante entrate genererà) del “concordato preventivo biennale” introdotto per gli autonomi e che meriterebbe una trattazione a parte (in sintesi: a qualcuno conviene; ma è norma mal scritta all’inizio, ha subito diverse modifiche, anche sostanziali e anche troppo sotto la sua scadenza, fissata al 31 ottobre; resta un’ennesima norma distorsiva dell’equità orizzontale – cioè che a parità di reddito, quale che ne sia la fonte, il carico tributario dovrebbe essere il medesimo, oltre al fatto che non tutti possono accedervi).
Per “spingere” l’adesione a questo strumento, il Legislatore è ricorso a agevolazioni sui redditi maggiori a quelli concordati inizialmente (aliquota sostitutiva sullo splafonamento) e l’introduzione della possibilità di un “ravvedimento speciale” per gli anni pregressi (quest’ultimo, oggettivamente vantaggioso, è una sorta di “simil condono”), oltre che “quasi-minacce”, nelle comunicazioni dell’Agenzia delle Entrate ai contribuenti interessati, di controlli fiscali mirati a chi non vi accede (invero, essendo un’opzione, dovrebbe essere esercitata, per così dire, “spontaneamente”).
I fondi per la Sanità e un calcio al barattolo
Sulla Sanità si è detto, sentito e scritto, molto. E anche sulla tassazione “speciale” per banche e assicurazioni, il cui gettito è stato messo in correlazione con i maggiori fondi da destinare al fondo per la sanità pubblica. Invero, i numeri parlano di 900 milioni aggiuntivi per la sanità nel 2025 (a legislazione vigente vi era già una dotazione di 4 miliardi) e 3,2 miliardi per il 2026.
Stando alle dichiarazioni del Governo, questi fondi aggiuntivi saranno finanziati dal gettito ottenibile da banche e assicurazioni, attraverso una sorta di “ripresentazione in altra forma” della tassa sugli extraprofitti (di cui ho parlato in precedente articolo). In proposito occorre dire che, stando alle prime indiscrezioni, si tratta non di un “tributo” (tassa o imposta che dir si debba) ma di un “rinvio” (parrebbe per due anni) della detrazione di alcune voci di bilancio (le quote di imposte anticipate e la deduzione delle stock option), che genererebbero per l’erario un effetto di “cassa” pari a poco meno di 3,5 miliardi.
Salta all’occhio la differenza temporale tra la previsione di entrata e di spesa sanitaria (sembrerebbero infatti decorrelate), che stride con l’enunciato governativo, e la circostanza che se di “differimento temporale” si parla, prima o poi ci sarà un “dopo” in cui queste detrazioni ora “sospese” dovranno essere “restituite” (con annesso buco di cassa in quel momento). Nulla ad ora è stato detto su come verrà gestito questo “dopo” e ad oggi pare di capire che sia un’esigenza di cassa (2025) e poi si vedrà; un “calcio al barattolo”, insomma.
Lo spinoso tema delle coperture: dai cripto-asset al quoziente familiare
Il tema delle coperture, infatti, è sempre quello più spinoso. Queste sono o meno spese o più entrate, con buona pace del mantra “non aumenteremo le tasse”. E, ovviamente, se il taglio alle spese non copre tutta la manovra…
Per dire, il viceministro Leo ha parlato di modifica della tassazione dei guadagni rinvenienti da critpo-asset (i.e. normata solo l’anno scorso, per dire), che dovrebbe passare dal 26% (come gli altri proventi finanziari) al 42%. Al di là dell’estemporaneità (e della sua possibile giustificabilità logico-giuridica) di tale intervento, è la cartina di tornasole del fatto che siamo in una situazione difficile per le casse dell’erario (come peraltro ho avuto modo di evidenziare in diversi articoli precedenti).
Anche sul “quoziente familiare”, introdotto con la annunciata revisione delle detrazioni in dichiarazione dei redditi, occorre fare attente valutazioni. Da un lato, viene annunciato un tetto unico alle detrazioni in dichiarazione dei redditi che (pare) raggrupperà parte di quelle esistenti; tale importo (pare) verrà parametrato al numero dei figli e ad un tetto massimo di reddito (sembrerebbe più basso di quello attuale), così che contribuenti con famiglie numerose e reddito fino a un certo limite avranno un beneficio, mentre contribuenti senza carichi familiari e/o senza figli e/o a reddito maggiore della (nuova) soglia, saranno penalizzati (i.e. pagheranno maggiori imposte).
Accise e catasto restano sullo sfondo
Infine, le accise e il catasto rimangono ad ora sullo sfondo, fuori (parrebbe, ad ora) dalla Legge di Bilancio. Ma nell’interlocuzione tra la Commissione Europea e il Governo sono due temi presenti (e oggetto di raccomandazione). Per le prime, a sorpresa è stato approvato “in prima lettura” un apposito Decreto Legislativo che rivede procedure e sanzioni e ben potrebbe essere il binario per “aggiungere” in seguito le modifiche ipotizzate di “armonizzazione” (i.e. rialzo) delle accise sui diesel.
Per il secondo, per ora ci si concentra sulle possibili mancate segnalazioni (i.e. con conseguenti probabili rivalutazioni) degli interventi agevolativi derivanti dai bonus edilizi. Sul tema, occorre ricordarlo, già lo scorso anno questo Governo aveva modificato le regole di esclusione dalla tassazione per gli immobili che avevano usufruito dei bonus edilizi, allungando per queste cessioni il periodo di imponibilità da cinque a dieci anni. Cioè, maggior ambito di applicazione delle imposte.
Due ipoteche sulla tenuta dei conti pubblici futuri. E un dubbio
Per concludere, occorre tenere presente che questi numeri “quadrano” – cioè non necessiteranno misure correttive (fiscali) successive – nel presupposto che le previsioni economiche inserite nel Documento Programmatico di Bilancio trovino conferma nel prossimo futuro. La pressione tributaria stimata sul PIL, senza la Legge di Bilancio in commento, sarebbe aumentata nel 2025 dello 0,5%, mentre con le previsioni contenute nella Legge di Bilancio, la pressione tributaria resta invece invariata al 42,3%. Ciò deriva da due fattori.
Il primo è previsionale, dato dalla stima di aumento del PIL; viene confermata la previsione della crescita all’1% (in termini reali) per il 2024, dell’1,2% nel 2025 e poi a seguire dell’1,1% nel 2026 (anno stimato di picco per le previsioni dell’economia mondiale) e dello 0.8% per il 2027. Il secondo è di natura “contabile”, poiché l’impatto della voce D995 – in negativo nella formula della pressione tributaria – dovrebbe contenere il valore delle entrate “iscritte” ma “incerte”, per uno 0,2% del PIL (che, guarda caso, per approssimazione è un importo vicino a quello delle entrate previste da banche e assicurazioni).
Dunque, parte delle entrate rischiano di essere incerte (a prescindere dall’evasione), proprio per loro natura fin dalla Legge di Bilancio, e la crescita del Pil 2024 rischia, secondo alcune stime, di fermarsi allo 0,8/0,9%, con conseguente dubbi che si estendono alle previsioni per gli anni successivi. Due ipoteche, quindi, sulla tenuta dei conti pubblici futuri. E, anche, un dubbio malizioso: ove servisse, lo scorporo del citato ravvedimento speciale, separandolo dall’adesione al concordato preventivo biennale, consentirebbe – allargando la platea di possibili fruitori di questo “simil condono” e a prescindere da ragionamenti di etica politica che ne scaturirebbero – di ottenere facilmente “cassa” per l’erario.
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